Fortunata combinazione: la scrittrice Camilla Baresani, vista di recente nelle sbracciate vesti di giudice a La notte degli chef, intervista l’incazzoso chef britannico Gordon Ramsay per Sette, l’inserto del Corriere. Contemporaneamente, il Guardian compila un ricco elenco di sbroccamenti televisivi dell’eroe di “Hell’s Kitchen”. Rimescolare le due cose può aiutarmi a capire se è vero, come sospetto, che tra i lettori di Dissapore si annida l’italian fan club del campione mondiale di F Word.
«Negli show televisivi è una sorta di Sgarbi della cucina. Senz’altro è un fuoriclasse dei fornelli, senz’altro è pieno di idee, senz’altro è comunicativo e irriverente. Ma il gusto di esibire il proprio cattivo carattere a volte gli prende la mano, e insulta, e s’imbizzarrisce – di fatto facendo spettacolo. Così è diventato il divo dei ragazzini e degli sprovveduti in materia culinaria, che da lui tendono ad apprendere non tanto le raffinate tecniche di cucina quanto le più scenografiche modalità di insulto. Parliamo dell’eccellente chef inglese Gordon Ramsay. I suoi reality/talent show televisivi, trasmessi in tutto il mondo (Hell’s Kitchen, Kitchen Nightmares, The F Word) lo hanno reso talmente celebre anche presso persone abituate a mangiare cibi scadenti o raffazzonati, che conta un affollatissimo “italian fan club”, come fosse un cantante o un calciatore. Tuttavia questi suoi show mostrano meglio di tanti altri programmi sugli chef in quale razza di guaio si infili chi pensa di aprire un ristorante (o di lavorarci) come fosse un piacevole diversivo, rispetto ad altri lavori di peggior fama. Disciplina, velocità, arguzia, propensione al sacrificio e una formazione che non ha nulla da invidiare a quelle dei film girati nelle accademie militari americane: questa è la vita di un aspirante chef che abbia delle ambizioni, e questa è stata anche la vita di Ramsay, oggi detentore di 9 stelle Michelin, profuse tra i suoi ristoranti sparpagliati in tutto il mondo. Declinazioni della casa madre, cioè del Gordon Ramsay Restaurant di Londra dove ha ottenuto tre stelle Michelin quando era solo trentaquattrenne. Insomma, questo Gordon Ramsay concentra in sé l’esclusività creativa e qualitativa dell’alta cucina, il pop televisivo britannico declinato all’americana, una strepitosa attitudine imprenditoriale e una buona solidità famigliare (si è sposato una sola volta, nel ’96, e ha quattro figli tutti con la moglie, cosa che per una celebrity come lui è alquanto bizzarra).
Quando gli chiedo di quali ingredienti sia composta la sua ricetta esistenziale, mi risponde: “Soprattutto determinazione e lavoro massacrante, mio e del team dei miei collaboratori, ma c’è anche un pizzico di slancio creativo che mi permette di emergere dalla folla degli anonimi”. E aggiunge: “Sono così occupato che quando ho tempo libero preferisco restare a casa con la mia famiglia. I bambini crescono in fretta e prima che volino via cerco di stare con loro”. Niente svaghi come l’arte contemporanea, che invece coinvolge molti altri chef famosi (ritengono che l’arte li ispiri nella composizione e disposizione cromatica dei piatti). Tra le sue passioni include, piuttosto, l’insegnamento e l’addestramento della brigata: “Dà grande soddisfazione vedere dei principianti prendere confidenza: benché all’inizio possa essere molto frustrante, un po’ alla volta, quando cresce la loro autostima cominciano a brillare di luce propria. Se c’è una cosa che mi dà un senso di ebbrezza è stare in una cucina affollata con una brigata di talento. Mi piace essere certo che ognuno di loro si stia dedicando al 100 per cento al suo compito e che tutti insieme stiano producendo piatti eccezionali”. Vuole essere quello che per lui sono stati Alain Ducasse e Guy Savoy, nelle cui cucine ha fatto il suo apprendistato: “Ancora oggi sono loro a ispirare il mio lavoro. Sono sempre stati decisamente al top del loro mestiere. Il loro insegnamento mi sprona a lavorare al meglio, inoltre mi hanno svelato la bellezza della cucina francese”. Ramsay, oltre ad aver acquistato quote di una scuola di alta cucina (Tante Marie, in Inghilterra), tiene eccezionalmente corsi per un pubblico non professionale nei suoi ristoranti sparsi per il mondo, tra cui i due italiani. In luglio al Forte Village, sulla costa sud della Sardegna, e in ottobre a Castel Monastero, un resort inserito in un borgo medievale nel Chianti. “Penso che quando si arriva al momento di mangiare, tutti diventiamo più avventurosi.
Così è difficile definire i cittadini di un paese in base ai loro gusti culinari,” mi spiega quando gli chiedo se, come nelle barzellette, ci sia ancora un cliché gastronomico dei cittadini dei vari paesi. “A Londra c’è un’offerta smisurata di cucine etniche, dalla giamaicana a quella cinese dello Szechuan, così noi inglesi abbiamo perso definitivamente ogni legame con la tradizione. Ma in Italia usiamo più ingredienti possibile di provenienza locale. Mi piace mettere in scena i migliori prodotti regionali, e non solo per farli conocere ai turisti che vengono da altri paesi ma anche per i locali. Amo il pesce fresco. Le aragoste sarde, e soprattutto l’olio d’oliva italiano, talmente buono che è quasi una vergogna usarlo per accompagnare altri ingredienti”. Gordon Ramsay, che da ragazzo voleva fare il calciatore professionista, finché un infortunio non ha interrotto la sua carriera, ha lo stesso cognome di un vincitore di premio Nobel per la chimica, nato come lui a Glasgow. Ne approfitto per chiedergli se sia un sostenitore della chimica in cucina, tema che qui in Italia, l’anno scorso, è stato oggetto di una pretestuosa ma popolarissima denuncia televisiva: “A essere sinceri non pratico molta cucina molecolare. La lascio tutta a Heston!”, conclude con una battuta in cui sicuramente c’è una vena di simpatica perfidia. Heston Blumenthal, il celebre chef di The Fat Duck, è il più diretto rivale britannico di Ramsay.
Infine una curiosità: qual è, secondo lui, l’innovazione imprescindibile che ha cambiato la cucina contemporanea? Immaginavo che mi rispondesse citando qualcosa che fosse difficilmente importabile in una cucina di casa (abbattitori, forni a vapore, cotture sottovuoto, pacojet…), e invece: “Il Magimix (un robot da cucina, ndr) ha rivoluzionato la cucina. Fa risparmiare così tanto tempo, e può fare così tante cose oltre al semplice mixare… è strepitoso per la maionese, per grattugiare, per tritare le erbe o le cipolle…”. Se ne deduce che, almeno su una cosa, lo stratosferico Gordon Ramsay e la nostrana regina della cucina cotta e mangiata, Benedetta Parodi, siano assolutamente d’accordo. La supremazia del mixer».
[Crediti | Link: Guardian, articolo di Camilla Baresani per Sette, Immagine: Tv.com]