Se solo prima di prepararsi un caffè con la moka i lettori seguissero le avvertenze di Disssapore (livello dell’acqua, quanto caffè, fiamma alta o bassa…), il catalogo delle loro imprecazioni (bleah, disgustoso, che schifo!) non sarebbe altrettanto esteso. Ma siccome sul caffè con la moka abbiamo già dato, è il momento di dedicarsi all’espresso, il caffè superiore. Creata da Illy nel 1999, l’Università del caffè di Trieste organizza corsi per una gran quantità di professionisti e semplici appassionati, ben 78.186 dal 2007 in poi.
Ci sono stato, e per la ricetta perfetta dell’espresso, così com’è stata codificata dall’Università, mi sono affidato a uno dei docenti, Michele Pauletic, già campione italiano baristi 2009.
Se tralasciamo la pulitura del portafiltro e il rovesciamento della tazzina sulla macchina del caffè per ragioni di igiene e affinché resti calda, le variabili che il barista deve tenere sotto controllo sono 5.
1. Temperatura dell’acqua.
2. Dosaggio della polvere di caffè.
3. Volume del liquido prodotto.
4. Tempo di estrazione.
5. Pressione di estrazione.
Sul primo punto c’è poco da dire, è sufficiente che il barista controlli il livello segnalato dalla macchina. Stessa cosa per il secondo, 7 grammi è la dose ideale.
Meno semplici i due punti successivi. Il barista dovrebbe estrarre 20/30 millilitri di liquido in 30 secondi, cosa per niente scontata dal momento che il caffè è idroscopico, cioè, modifica le sue caratteristiche di continuo in base all’umidità dell’aria.
Diventa essenziale, allora, agire sulla macinatrice. Per capire l’importanza della macinatura immaginiamo di dover versare dell’acqua calda in un secchio pieno di sabbia, l’acqua circolerà più o meno rapidamente in base alla diversa trama dei granelli. Tornando al caffè, la trama dei granelli dipende dalla macinatura dei chicchi, cambiare macinatura significa ottenere un caffè più o meno estratto, in altre parole: cambiare l’equilibrio di sapore tra acido e amaro.
Ecco perché la disputa caffecorto–caffèlungo è fuorviante: un caffè estratto per meno di 30” non riesce a esplodere tutte le componenti aromatiche perchè sottoestratto, viceversa, il barista che prolunga l’estrazione oltre i 30” servirà un caffè inevitabilmente amaro.
In definitiva, se in 30” il barista non ottiene il volume di caffè desiderato, dovrà tarare il macinino per ottenere un’ideale trama dei granelli, tenendo in conto la percentuale di umidità del momento.
Ultima variabile: la pressione della macchina. La pressione permette di estrarre gli olii interi del caffè, che sono carichi di aromi, e di ottenere la schiuma, indizio usato dal barista per capire se il caffè è stato estratto correttamente. La schiuma, blandamente amarognola, non aggiunge granché al sapore ma funge da tappo per gli aromi, costretti a non evaporare, a restare dentro la tazzina.
Ultimo consiglio del docente: “il caffè si prende senza zucchero. Chi non è è abituato all’inizio fatica, e parecchio, ma nel tempo riesce a cogliere gli aromi e le infinite sfumature di sapore”.