Nella lunga lista di pellicole cinematografiche che ruotano attorno al cibo, direttamente o indirettamente, che ne fanno un elemento metaforico o simbolico, che vedono allestire pranzi regali o domestici, finirà probabilmente anche Povere creature!, film di Yorgos Lanthimos già vincitore di numerosi premi e destinato a riceverne ancora. Di Povere creature! si è scritto molto, praticamente tutto: anche il cibo – che nel film svolge ruolo significativo – è stato minuziosamente analizzato e se i pasteis de nata sono già da tempo un fenomeno turistico di massa senza dover essere sdoganato dall’avventura di Bella Baxter a Lisbona, se per il pain au chocolat siamo già da qualche anno disposti a fare la fila fuori da una delle pasticcerie di Cédric Grolet, per il filet mignon forse è solo questione di tempo prima che qualcuno lo rispolveri dai libri di storia della gastronomia. Quanto alle aringhe, ci spingiamo a prevedere che – nonostante il clamoroso successo del film – siano destinate a rimanere dove stanno, in quell’elenco di cibi di tradizione nordica da elencare forse solo in sede di interrogazione.
Come fanno a fare un impasto così croccante?
C’è tuttavia una scena del film che contiene un dialogo – ed in particolare una battuta – che è un piccolo capolavoro capace di unire convenzioni sociali e critica gastronomica in un colpo solo. A tavola con l’avvocato Duncan Wedderburn ed un’altra coppia, Bella Baxter – che rifiuta di adeguarsi agli stilemi classici di una conversazione formale in pubblico – viene esortata a limitarsi ad usare unicamente tre espressioni: “Delizioso!”, “Meraviglioso!” e “Come fanno a fare un impasto così croccante?”. Delle tre, quella su cui vale la pena soffermarsi è l’ultima battuta.
Indipendentemente dal fatto che il film piaccia o meno, qui siamo di fronte ad un colpo magistrale inferto al mondo gastronomico, che sembra sempre più spesso accartocciarsi su sé stesso, avvitandosi attorno a frasi fatte, un numero limitato di espressioni multiuso da utilizzare alla bisogna e concetti superficialmente condivisibili sui quali si è chiamati a ritrovarsi tutti d’accordo, pena di essere tacciati di incompetenza, disfattismo, volontà di protagonismo innestata sul proposito di andare controcorrente. Quel “Come fanno a fare un impasto così croccante?” corrisponde all’abusato “connubio tra tradizione e innovazione”, alla “cucina che guarda alla contemporaneità senza dimenticare le radici”, alla “visione dei piatti improntata alla sostenibilità”, fino alla “valorizzazione delle eccellenze locali e del territorio”.
Povere creature! ci parla dal passato e dall’epoca vittoriana, ma i riferimenti sono perfettamente calati nell’oggi. Il doppio carpiato non è solo nella capacità di aver trasformato la battuta che avrebbe dovuto essere un lasciapassare per la conversazione in società in un grimaldello con cui scardinare le convenzioni sociali (Bella Baxter posizionerà, nelle frasi che dirà, la battuta e anche le altre in tutt’altro posto, capovolgendone il senso), ma anche in quella di aver dimostrato la debolezza del discorso gastronomico pubblico, di aver sollevato il velo sulle convenzioni adoperate dallo stesso – ancora in pubblico – e di aver svuotato di senso parole ed espressioni che oggi sembrano avere più la funzione di allungare un articolo che di dimostrare la capacità di sapere andare in profondità.
L’impasto croccante di Povere creature! ci parla di ruoli sociali recitati, di maschere indossate e di quello che Erving Goffman chiamava “La vita quotidiana come rappresentazione”. Insomma, nel disperato tentativo di dire cose serie, di dimostrare competenza e di esprimere giudizi in fatto di cibo (e vino), abbiamo finito per diventare più simili al sommelier di Antonio Albanese che a chi critica con competenza. Significativo, inoltre, il fatto che il frasario gastronomico consigliato appartenga ad un uomo e sia dispensato ad una donna, affinché lo adoperi al meglio: molto si è già scritto sulla critica gastronomica al femminile. Pensare a cosa avrebbe fatto Bella Baxter per scoprire “come fanno a fare un impasto così croccante”, immaginando un suo ingresso in cucina e un dito infilato nell’impasto, sarebbe un ottimo e perfetto punto di partenza.