Poche cose hanno avuto tanta fortuna ed amore come il pomodoro, in Campania. Frutto d’amore importato ed amato, fino ad essere il partner in crime del piatto italiano più conosciuto al mondo: pastasciutta al pomodoro, nata a scanso d’equivoci a Napoli.
Ma quante varietà di pomodori campani esistono? La risposta breve è: diverse, con pomodori molto diversi tra di loro. Ma prima di addentrarci nella conoscenza delle varie tipologie, interessante assai è scoprire l’origine di tutta questa fortuna del pomodoro in terra di Campania Felix. ‘O fattariello, il fatto, è molto interessante.
Come ci arrivò il pomodoro a Napoli?
Il pomodoro è un frutto avventuroso: originario del Centro-Sud America, coltivazione diffusa presso le popolazioni azteche e maya, arrivò in Europa in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo; scoperta che, da un punto di vista squisitamente alimentare, portò notevoli scambi in positivo visto che ci arrivarono cacao, patate, i già citati pomodori, caffè, diverse specie di zucca; nel Nuovo Mondo i conquistadores europei portarono diversi tipi di verdure e frumento.
Il pomodoro giunse dapprima in Spagna a seguito di missionari, mercanti e conquistatori, un bel pezzo dopo Cristoforo Colombo: siamo nel 1540, ben lontani dalla celebrazione del rosso frutto, che avverrà soltanto alcun secoli più tardi. El tomatl – così lo chiamavano le popolazioni Maya – però sembrò non essere molto apprezzato in Spagna, tanto da ipotizzare che fosse indigesto a causa di una elevata quantità di solanina, un alcaloide tossico naturalmente contenuto nel pomodoro. Per questo o per altri motivi, il pomodoro fu lungamente ignorato oppure relegato ad altri usi: tipo abbellire i giardini.
Il Regno delle Due Sicilie fu il primo territorio fuori dalla Spagna a conoscere ed apprezzare il pomodoro. Il pomo d’oro, giallo frutto che ricordava i pomi delle Esperidi, a Napoli divenne ‘a pummarola, al femminile. Significativo ricordare in questa fase come gli ampi e solidi rapporti diplomatici che la città di Napoli, la capitale, permisero e facilitarono l’ingresso del pomodoro. Si pensa che con tutta probabilità furono gli intensi scambi con la città di Siviglia a permettere al pomodoro un corridoio verso Napoli, corridoio che decretò – sebbene, con una certa lentezza – la vittoria del rosso frutto.
Sebbene alcuni ricettari di cucina iniziassero già verso la fine del Seicento a menzionare pomodori alla spagnuola (salsa di pomodoro con cipolla, timo e peperoncino tra gli ingredienti) dobbiamo aspettare almeno la riforma agricola borbonica di circa metà Settecento per avere produzioni di pomodoro più sostanziose. Il pomodoro iniziò, quindi, ad essere coltivato tutto intorno al Vesuvio ed anche oltre, prediligendo terreni ricchi d’acqua e di materiale piroclastico, che conferisce al pomodoro caratteristiche di salinità e dolcezza.
Da ricordare anche che fu Ferdinando di Borbone -nel 1770 circa – a ricevere doni molto particolari dal vicerè del Perù, tale Manuel De Amat che aveva aiutato in precedenza il regno di Napoli: tra questi doni, Ferdinando ricevette dei semi di pomodoro, un pomodoro molto particolare, destinato ad essere il benchmark di ogni pomodoro: ‘a pummarola San Marzano, il pomodoro San Marzano. Consigliato dagli agronomi di corte, Ferdinando diede ordine di piantare il San Marzano in terreni ricchi di acqua e con un’ottima esposizione al sole: zone d’elezione furono la piana dell’Agro Nolano (Nola, Marigliano, Acerra e comuni confinanti, terreni ancora oggi destinati alla DOP) e dell’Agro Nocerino Sarnese, cioè i territori bagnati dal fiume Sarno e poco distanti, con divagazioni nella prissima provincia di Avellino.
L’approdo del pomodoro San Marzano sancì la definitiva consacrazione del frutto, eletto principe della tavola napoletana: al punto che all’estero, i maccheronici italiani delle prime emigrazioni importavano San Marzano, che divenne sostitutivo in tutto e per tutto di “pomodoro”.
Con la scoperta delle tecniche di conservazione in scatola dei cibi, avvenuta sul finire dell’Ottocento, la situazione migliorò ancora notevolmente: il pomodoro era perfetto per essere pelato e conservato nel suo succo, con una lavorazione minima e minime aggiunte di conservanti; Napoli e Salerno furono quindi zone ad alta industrializzazione e qui si svolse parte della storia della famiglia Cirio. Un legame che ha segnato anni di occupazione lavorativa di generazioni di napoletani e salernitani. Agli stabilimenti Cirio, si affiancò una nutrita schiera di aziende di trasformazione di pomodoro – alcune delle quali operanti anche oggi – prettamente locali.
Negli anni Cinquanta, “l’invenzione” della Dieta Mediterranea da parte del medico statunitense Ancel Keys non fece altro che accrescere l’hype intorno al rosso frutto: ricco di antiossidanti e vitamine, fu inserito tra i cibi alla base della famosa piramide alimentare mediterranea.
Il presente del pomodoro
L’agricoltura del pomodoro, grazie anche alla conformazione ridotta dei terreni, ha sempre rappresentato una forma di economia a stampo prettamente familiare: pochi ettari di terreno per famiglia ad alta coltivabilità permettevano ai contadini conferivano il prodotto in cooperative o aziende, I latifondi del pomodoro sono più comuni nelle aree lontane dal Vesuvio, dove le grandi piane permettono coltivazioni più ampie: nella fattispecie, un’area molto utile a ciò è la Piana del Sele, in provincia di Salerno.
Ad oggi, la poesia del pomodoro si è notevolmente ridotta a beneficio di una economia spesso ben strutturata, che mira sia al consumo interno che all’export. Il pomodoro è sicuramente uno dei prodotti più significativi del made in Italy, ed anche per questo tra i più contraffatti – soprattutto quelli a marchio DOP – ma un numero sempre crescente di aziende e consumatori consapevoli sta riducendo sempre più il rischio. Sicuramente perdura nelle famiglie il rito delle butteglie: le conserve di pomodoro fatte in casa con attrezzi rudimentali e l’aiuto dell’intero condominio o masseria, che diventano un bene-rifugio nei periodi di magra e poca fantasia alimentare.
La riscoperta di questo o quell’ecotipo di pomodoro è dovuta sicuramente ad un’attenzione sempre maggiore da parte del mondo della ristorazione; in primissima fila, ritroviamo il mondo pizza, dove il pomodoro è tra gli ingredienti imprescindibili. Provate voi a mangiare una Marinara con un ottimo pomodoro, sarà come re-innamorarsi di nuovo ad ogni assaggio. Naturalmente salino, acido, va a riequilibrare note carboidratiche e talvolta stucchevoli.
Tipi di pomodori campani: quali sono?
La geografia del pomodoro in Campania è vasta e sicuramente impossibile da esaurire in un solo articolo: esistono ibridi e varietà antiche coltivate essenzialmente da contadini locali, che ne permettono la salvaguardia e la trasmissione del patrimonio agricolo.
Di seguito, elenchiamo le tipologie di pomodoro campano più famose oppure curiose: ben due pomodori si fregiano del riconoscimento DOP, mentre altri sono inseriti nel registro della regione Campania PAT (Prodotti Agroalimentari Tipici).
Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino DOP
Quasi estinto, poi ripreso, oggetto di culto e praticamente sinonimo di pomodoro: il San Marzano è il santo patrono di tutti coloro che si cimentano con sughi e pizze. La forma del pomodoro San Marzano è sinuosa, non perfettamente regolare; l’apice è pronunciato, ha il cosiddetto “pizzo” e questo è un buon modo per riconoscere questo pomodoro. Se ha il “pizzo” è San Marzano, se finisce “tondo” è un pomodoro classico italiano tipo Roma. Soltanto il prodotto in scatola può fregiarsi del marchio DOP: il pomodoro tipo San Marzano appena raccolto, fresco, non può avere la DOP. Il prodotto appena raccolto deve essere trasformato entro breve tempo per conservare inalterate le proprietà. Il periodo ideale di raccolta è dalla metà di luglio fino a settembre inoltrato, per un totale di 3, massimo 4 raccolti per avere un prodotto performante.
Come detto prima, pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino è il guilty pleasure di chef e pizzaioli di ogni parte del mondo: la Margherita al pomodoro San Marzano, dalla STG napoletana per passare al mirabile esempio di Margherita di Francesco Martucci de I Masanielli; per il resto, questo pomodoro si presta bene ai grandi sughi della tradizione campana, di quelli a lunga cottura, tipo il ragù napoletano. Complice, la grande presenza di acqua in questo pomodoro unito ad una elevata fibrosità.
Pomodoro Re Umberto (Fiascone)
Eletto il pomodoro della Costiera Amalfitana, ha origine a Tramonti ma la sua coltivazione è diffusa in tutti i comuni della fascia costiera amalfitana. E’ famoso per essere – così pare – l’antenato del pomodoro San Marzano. In effetti, si presenta all’aspetto molto simile: la bacca è lunga e dai fianchi irregolari, la buccia è sottile ed il sapore tende molto al dolciastro. Del pomodoro Re Umberto, si tende ad avere un consumo domestico per le conserve, ma anche nella lunga e consolidata tradizione della città di Tramonti in quanto a pizza e pizzaioli. I pizzaioli di Tramonti sono famosi in tutto il mondo – a causa dell’emigrazione verso le Americhe – e hanno portato con sé il mito del pomodoro Re Umberto, così tanto che i seed savers, i cacciatori di semi, ne sono andati a lungo alla ricerca. Per poi fermarsi su uno dei panorami più belli del mondo.
Pomodorino del Piennolo DOP
Probabilmente una delle icone di Napoli più rappresentate (tanto da essere presente anche nel Presepe!) e particolare sono le schiocche (letteralmente i “grappoli”) di pomodorini del Piennolo del Vesuvio: il nome è già carta d’identità di questo pomodorino, che viene coltivato sul Monte Somma e dintorni (Portici, Ercolano), dove il sole batte forte sul terreno nero e permette una maturazione precoce della bacca. Noto anche come il pomodoro che cresce senz’acqua, vista la scarsità di vene idriche sul Vesuvio. Di forma tondeggiante, si presenta pigmentato sia giallo che rosso, ricco di sali minerali grazie ai terreni vulcanicila sua caratteristica principale è l’elevata conservazione. Il disciplinare della DOP contempla sia l’attribuzione del marchio per il prodotto fresco sia per la conserva in vetro nella metodologia denominata “a pacchetelle”, cioè con il pomodorino tagliato in due parti.
Il pomodorino del piennolo, si presta bene per le conserve casalinghe ma anche industriali grazie all’alta facilità di lavorazione; per quanto riguarda, invece, le preparazioni culinarie, ci ritroviamo un prodotto versatilissimo che si rivela un vero tesoro in cucina. Grazie alle specifiche proprietà organolettiche, lo si consiglia per sughi di mare, con i mitili.
Pomodorino Corbarino
Parentesi sentimentale, il pomodorino Corbarino è tra i miei preferiti in assoluto. Una granata rossa, “a lampadina”, coltivato “a vigna”, cioè in maniera similare all’uva sui terrazzamenti dei Monti Lattari. Una posizione spettacolare, che vede il suo fulcro a Corbara – montagne che letteralmente spaccano in due un territorio dando vita a panorami costieri struggenti, allungandosi con le propaggini fino a Castellammare di Stabia – per un pomodoro che è letteralmente una granata esplosiva. Con la buccia spessa, ricco di antiossidanti e sali minerali, il pomodorino corbarino non beneficia soltanto di un terreno piroclastico ma ha anche la capacità “innata” di assorbire l’aria salmastra che sale dalla costiera. “Antenato” del pomodorino Corbarino è il pomodorino crovarese, coltivato a valle e nei paesi circostanti, dalle caratterische molto simili. Si presta bene ad essere un sugo “assoluto”: via libera a spaghetti sciué sciué ma – perché no – una pizza Marinara con pomodorini corbarini.
Pomodorino di Rofrano
Con il pomodorino di Rofrano, ci allontaniamo dalle terre d’elezione del pomodoro under Vesuvius e ci inoltriamo in un’altra terra che vede regina le bufale. Siamo in Cilento, ma lontani dalla costa del Cilento mitico di Odisseo e dei templi di Paestum: Rofrano è nell’entroterra ed apparentemente potrebbe avere ben poco d’interessante. Questo pomodorino, dalla bacca oblunga ma poco sviluppata, cresce con piante da circa 130cm sostenute da pali; se conservato adeguatamente in cassettini, si conserva sino all’aprile dell’anno successivo. Questo lo rende adattissimo agli usi fuori stagione del pomodoro. I cuochi cilentani lo hanno riscoperto come base per ottimi sughi di pesce.
Pomodoro riccio casertano
Un prodotto che fa l’identità di un intero territorio: è il pomodoro riccio casertano. Particolarmente costoluto, si presta bene alle conserve, ma richiede una metodologia molto particolare per essere raccolto: si va in campo aperto verso le dieci del mattino, quando non c’è umidità; lo si raccoglie, stando bene attenti a non staccare la buccia, molto sottile; lo si lascia riposare su paglia per qualche giorno, prima di procedere alla trasformazione. Un lavorio lento, portato avanti dall’azienda agricola La Sbecciatrice. Dal sapore dolce e particolarmente aromatico (retrogusto di paglia e fieno), per farvela breve, è il pomodoro che Franco Pepe, patron del progetto Pepe in Grani utilizza – in forma di passata di pomodoro – sulla ormai mitologica Margherita Sbagliata.
Pomodoro di Sorrento
Scenografico: ecco come descrivere il pomodoro insalataro di Sorrento, detto altrimenti “cuore di bue”. Il pomodoro di Sorrento è il pomodoro costoluto per eccellenza, presente in pallide imitazioni da supermercato un po’ ovunque; quando poi ci si ritrova davanti al vero pomodoro di Sorrento, si rimane a dir poco stupiti per dimensioni e bontà. Secondo alcuni, questo pomodoro sarebbe arrivato direttamente nella zona grazie agli intensi traffici commerciali: esportando i famosi limoni, i commercianti tornarono a casa con i semi di questo pomodoro. Il pomodoro è di grossa pezzatura, si presenta rosso con delle vistose striature verdastre appena lo si raccoglie. Il matrimonio perfetto è ovviamente in ricche insalate, come ad esempio pomodoro, trancetti di tonno e cipolle; o ancora, prodigiosa combinazione di pomodoro cuore di bue e mozzarella di bufala campana.
Pomodoro cannellino flegreo
Piccolo, tozzo, dalla forma oblunga: vita dura per questo pomodorino delizioso, chiamato “cannellino”. Siamo nelle terre della Sibilla Cumana che non ha bisogno di molte presentazioni. Questo pomodorino, pressoché dimenticato per molti anni, cerca di rivivere una nuova giovinezza grazie all’impegno di una cooperativa di aziende agricole che ne tenta il rilancio, soprattutto nel mondo della ristorazione. Attualmente, sono pochi gli ettari dedicati al pomodoro cannellino ma si spera possano aumentare con gli anni. Un suggerimento imperdibile, la margherita con base di pomodoro cannellino flegreo fatta dal pizzaiolo Guglielmo Vuolo.
[Immagini: Re Fiascone; Associazione Pomodoro cannellino flegreo]