Era il 2016, quando il New York Times, parlando di ristoranti etnici dal rapporto qualità prezzo sorprendente citava Sons of thunder, forse il primo posto nella grande mela, vicino alla sede dell’Onu, interamene dedicato al poke.
Poco dopo, includendo il poke nel dizionario 2017 dei cibi hipster, Dissapore ipotizzava per il piatto a base di pesce crudo, in genere piovra o tonno, tagliato a cubetti e condito con salsa di soia, tipico delle isole Hawai, un futuro da conquistatore di molte tavole internazionali, compresa la nostra.
[Distinguere il poke dalle kalette grazie al dizionario 2017 dei cibi hipster]
L’avvento del pesce crudo in Italia
In Italia il pesce si è mangiato da sempre cotto o almeno marinato, tranne che in una fascia adriatica, molto robusta tra Bari e Lecce. Lì è una tradizione. In tutto il resto del Paese il pesce crudo è diventato moda alla fine degli anni Settanta, quando a Milano hanno aperto i primi ristoranti di sushi, Poporoya e Mister Shiro.
Nonostante un gruppo di resistesti, del quale ci onoriamo di far parte, che ha sempre visto l’anonimo scopritore del fuoco come un benefattore dell’umanità, abbiamo assistito da allora e allegramente partecipato all’invasione di ristoranti etnici: orientali, sudamericani, africani, da ultimo hawaiani. Con il pesce crudo entrato stabilmente nelle nostre diete. Compreso il poke, ribattezzato “sushi hawaiano”.
La diffusione del poke
La diffusione del poke è iniziata un paio di anni fa, partendo dalla West Coast americana, dalle isole paradisiache del surf e del mare incantato, per poi sfondare a Londra, Parigi e anche in Italia.
Il poke –pronuncia “po-kay”– che nella lingua madre significa “tagliato a pezzi grossi”, non è solo pesce crudo, anzi, gli altri ingredienti che compongono la scenografica maxi ciotola in cui viene servito –poke bowl– sono altrettanto importanti.
Com’è fatto il poke
La regola generale prevede la presenza di pesce crudo o marinato, una base masticabile, in genere riso, il condimento di una salsa più altri ingredienti ai quali è richiesta una sferzata di sapore.
Ma per quanto liberamente composto, si chiede al poke di essere leggero, fresco e a basso contenuto calorico.
Nelle isole di origine, il poke si trova ovunque –bar, ristoranti, stazioni di servizio– preparato con pesce crudo marinato, in genere tonno, olio di sesamo, riso bollito, cipolla dolce del Maui e altri ingredienti che in genere sono avocado, noci Macadamia, peperoni, peperoncino, a volte alghe o uova di pesce.
[Poke: cose da sapere prima di fare in casa il famoso piatto hawaiano]
Immancabile il condimento a base di noci tostate, chiamato Inamona, che si ritrova anche nella cucina Thai.
In realtà del poke, sommerso da un’ondata di popolarità internazionale, si sta perdendo la vera essenza, lamentano gli hawaiani. L’eccesso di contaminazione con altre cucine, soprattutto negli Stati Uniti, avrebbe trasformato l’esotica pietanza in un pretesto per mescolare in modo arbitrario zucchini, pomodori, quinoa, ravanelli e altri ingredienti in uber insalatone svuotafrigo distanti dall’originale.
Il poke in Italia
Non hanno tutti i torti, se perfino nel già citato Sons of thunder di New York, autoproclamata “casa del cibo hawaiano”, il piatto più richiesto del menu è una bowl che comprende carote e ravanelli, cetrioli e petto d’anatra.
A Londra, da Ahi Pokè, forse il più frequentato ristorante devoto al piatto hawaiano, prevale un’insolita versione alla frutta, mentre i clienti di I Love Poke, primo ristorante italiano a tema aperto a Milano in piazza Mercanti, e rapidamente replicato sia in via Tortona 20 che in via Fabio Filzi 4, prediligono il poke con pollo e arachidi, oppure con avocado e frutta secca.
Al Pacific Poke di Torino, in via Duchessa Jolanda 1 e in via Verdi 34, la preferenza degli avventori va a una versione ipocalorica del poke.
Ma nel caso la dea bendata vi riservi un viaggio a Honolulu, capitale delle Hawai, non dimenticate di provare il lomi salmon o insalata hawaiana, che si prepara con le carni di salmone massaggiate a lungo per essere più tenere, servito freddissime con una nota di piccantezza.
[Crediti: La Stampa]