Siamo andati a intervistare Giovanni Tesauro, ingegnere aerospaziale, meteorologo certificato nonché consulente ed esperto in panificazione. Obiettivo? Scongiurare una volta per tutte la millenaria bufala dell’influenza dell’umidità dell’aria negli impasti della pizza.
Il mondo della pizza è farcito di una quantità innumerevole di leggende metropolitane, pregiudizi, dicerie ed enormi bufale. In questi mesi abbiamo avuto occasione di affrontarne parecchie: la presunta superiorità del forno a legna, del lievito madre o dei grani antichi, la disinformazione che aleggia sul concetto di molitura e la baggianata della digeribilità correlata alle ore di maturazione.
La cosa peggiore è che nel 90% dei casi tali concetti errati sono trasferiti dai professionisti, da quella sfera di “maestri” e celebrità che più degli altri dovrebbero possedere la giusta consapevolezza di metodi e processi, e che invece di norma passano nozioni infondate dal punto di vista fisico, chimico e logico, deviando il destinatario finale che, credendo alle parole di bocche di fama internazionale, torna a casa e tenta senza successo di fare la napoletana nel forno di casa.
Una delle bufale più comune nel mondo della panificazione è l’influenza dell’umidità nella creazione degli impasti. Quante volte avete sentito pronunciare la frase “il quantitativo di acqua varia in base alle condizioni di umidità esterne”?
Ecco, è una BALLA COLOSSALE.
Per smascherare tale astruso concetto, abbiamo fatto una chiacchierata con Giovanni Tesauro, Ingegnere Aerospaziale con Master in Sviluppo Umano e Ambiente, nonché Meteorologo Certificato Dekra (uno dei pochi in Italia), da 15 anni consulente e project manager per aziende e municipalità. Da 5 anni è inoltre consulente alimentare nel settore della panificazione, specializzato nelle varie tipologie di pizza e focaccia.
Di fatto, il suo background formativo lo rende la persona perfetta per rispondere alle nostre domande.
Disclaimer: nessuno sta dicendo che serve una laurea in astrofisica delle particelle per cuocere una napoletana, il punto è un altro: ci vogliamo mettere in testa che diffondere concetti privi di fondamento è una pratica dannosa e deleteria?
Allora armiamoci del nostro caro vecchio metodo scientifico, e partiamo con l’intervista.
La bufala sull’umidità
– Sono curioso Giovanni, da dove nasce questa bufala sull’umidità?
“Quando ragioniamo sulle dicerie in voga da decenni è sempre utile ricordare come è nata la pizza.
Stiamo parlando di fatto di un prodotto popolare, rivolto ad una classe di persone che non aveva nessuna richiesta particolare se non quella di riempirsi la pancia.
Oggi però, con l’evoluzione esplosiva che la gastronomia ha avuto negli ultimi 10 anni, il cibo si è trasformato in un’esperienza, e le stesse persone che cucinavano o stendevano pizze da 10-12 anni si sono ritrovate immerse in un mondo che non era il loro, davanti ad una clientela che premeva per essere più consapevole, per conoscere le ricette, i loro metodi e i loro segreti.
Gente con pochissime competenze, senza un barlume di metodo scientifico alle spalle, ha iniziato a parlare di impasti, di reazioni fisiche e chimiche, senza nemmeno sapere di cosa effettivamente stessero parlando.
La ricetta di una pizza napoletana verace? Acqua, lievito, sale e “farina quanto basta”, perché il suo quantitativo dipende dalle condizioni di temperatura e di umidità esterne; così un giorno l’impasto è idratato al 55%, un giorno al 60, quello dopo al 58 e così via“.
L’umidità atmosferica
– Ecco, spieghiamo allora per bene che cosa si intende per umidità atmosferica.
“Anzitutto quando si parla di quantità di acqua nell’aria è bene distinguere tra due differenti parametri: l’umidità assoluta e l’umidità relativa.
L’umidità assoluta (espressa in grammi di acqua su chilo di aria) è il quantitativo di acqua presente nell’aria in un volume/massa di riferimento; ad esempio in un chilo di aria (approssimabile senza grossi errori a un metro cubo) ci possono essere 5, 10 o 15 grammi di vapore acqueo in base alle temperature, e a pressione costante.
L’umidità relativa (espressa in percentuale) è il contenuto di acqua presente nell’aria in un volume/massa di riferimento rapportato al quantitativo massimo di acqua che quella massa d’aria può contenere ad una determinata temperatura.
Questo perché più la temperatura è alta, più un certo volume di aria può contenere vapore acqueo prima della saturazione.
Se ad esempio c’è il 50% di umidità relativa, l’aria può contenere ancora dell’acqua prima di condensare, poiché, a prescindere dal quantitativo assoluto presente, quello relativo è esattamente la metà del massimo possibile a quella temperatura“.
– Data la teoria, facciamo un esempio pratico per contestualizzare meglio.
“La cosa bella del metodo scientifico è che è oggettivo, possiamo benissimo dimostrare tutto rapidamente con pochi calcoli.
Prendiamo una condizione standard di un laboratorio di un panificio o di una pizzeria, che può benissimo trovarsi a 25 °C e con il 50% di umidità relativa.
Dai grafici di umidità specifica possiamo vedere che a quella temperatura, in un chilo di aria, ci sono 10g di vapore acqueo. A queste temperature e pressione possiamo tranquillamente approssimare dicendo che un chilo di aria è uguale a un metro cubo; la differenza, per i nostri scopi, è davvero trascurabile.
Ora, poniamo che in questo laboratorio ci sia un’impastatrice grande da 80 kg, che solitamente ha un diametro di 80 cm.
Stiamo parlando quindi di una macchina con una superficie di circa mezzo metro quadro, e sulla quale insiste quindi un volume di aria di un quarto di metro cubo.
Cosa vuol dire? Che se a 25 °C in un metro cubo di aria ci sono 10g di acqua, in un quarto di metro cubo ci sono 2.5g di acqua.
Ragazzi, parliamo di un’impastatrice da 80 kg: con un impasto all’80% di idratazione possiamo usare un massimo di 45 kg di farina e 35 di acqua, e mi vogliono far davvero credere che 2.5g fanno differenza se rapportati a 35.000?
Il calcolo risulta paradossale anche se consideriamo una stanza di svariati metri cubi, con il totale del vapore contenuto che si trasferisce nell’impasto, anche ammettendo che possa succedere.
Idem al contrario, ovvero nel caso in cui questo vapore dovesse essere sottratto.
Insomma, si sta parlando di fantascienza pura, roba che manco Cristopher Nolan riuscirebbe a infilare un qualche trama, e al cui confronto Inception pare un documentario di Piero Angela.
Eppure tantissimi ne parlano come se fosse qualcosa di reale, di provato, di tangibile.
È tutto meraviglioso.
È tutto incredibile.
È semplicemente ridicolo.
Ma anche ammesso che un professionista voglia davvero tenere conto di tutte le variabili, avete mai visto un igrometro nel laboratorio di un pizzaiolo?
Cosa fanno, misurano l’umidità relativa ciucciandosi il dito?”
L’umidità nella panificazione
– Ci sono casi in cui, nel processo di panificazione, bisogna tenere conto dell’umidità?
“L’unico caso in cui è bene tenere conto dell’umidità dell’aria è quando lasciamo l’impasto sul piano di lavoro, o in cassetta, in massa o stagliato, senza coprirlo; se l’aria è particolarmente secca, l’acqua sulla superficie tende a evaporare formando la pelle.
Basta, fine, non esiste altra implicazione. Il problema è che spesso ci si concentra su particolari irrilevanti, quando le criticità del processo che porta alla creazione della pizza sono ben altre.
Pensate alla storia dell’acqua di Napoli o dei grassi dell’impasto, tutte variabili che incidono per una quota infinitesimale, ma che essendo frutto di un retaggio antico e portato avanti da celebri maestri vengono date per assodate.
La pizza è una cosa complessa, ma fatta di processi semplici.
Non diventiamo matti su concetti irrilevanti”.
Grazie mille Giovanni, ora finalmente siamo tutti un po’ meteorologi della pizza.
Bene, vi è tutto chiaro?
Potete anche rileggere tutto più e più volte, Dissapore non scappa.
E soprattutto, se mai doveste sentire qualche professionista parlare dell’influenza dell’umidità dell’aria negli impasti, chiedetegli la definizione tecnica di umidità.
Potreste scoprire un nuovo lato della scienza, quella delle fiabe.