Come si fa una pizza senza glutine? Cosa cambia nella preparazione dell’impasto, rispetto a una pizza normale e perché? Quando ha senso consumare un alimento senza glutine? Scopriamolo insieme.
Sulla celiachia non si scherza.
Malattia comprovata e certificata, della quale soffrono circa l’1% della popolazione, e dai sintomi seri e importanti, da non sottovalutare. Un celiaco non può assolutamente consumare glutine, o rischierebbe problemi gastrointestinali non indifferenti.
Per le persone affette da tale malattia, è senza dubbio importante trovare dei validi sostituti agli alimenti più amati e consumati, che per un italiano sono pasta e pizza.
E tuttavia anche qui, come in qualsiasi campo, la disinformazione dilaga, si fa allarmismo inutile, diffondendo strane teorie secondo le quali il glutine sarebbe il male del mondo, consumarlo vorrebbe dire riempirsi di veleno e avvicinarsi sempre di più alla celiachia, malattia che in realtà è appurato essere a predisposizione genetica.
Cause ed esistenza della sensibilità al glutine, per altro, non sono ancora state certificate, come ha spesso spiegato Dario Bressanini in articoli o video dedicati.
E a proposito di sensibilità comprovata o meno, a preoccupare è proprio l’aumento delle persone che fanno consumo di alimenti gluten free senza soffrire di un particolare disturbo, ritenendo in maniera autodiagnostica che una dieta simile sia più sana; come ricorda il biologo Gabriele Raimondi, alcuni studi ipotizzerebbero in realtà un maggior rischio di diabete di tipo 2 associato ad un’alimentazione gluten free. In casi normali, il nostro apparato digerente non ha alcuna difficoltà a smaltire il glutine, è un dato di fatto.
Occorre quindi ripeterlo ancora una volta, si sa mai: sul senza glutine non si scherza, sia nell’uno che nell’altro caso.
Premesse fatte, vediamo insieme quali sono le differenze tra un impasto per pizza con glutine e senza glutine, in modo da avere ben chiare le prerogative di un processo tutto sommato semplice e replicabile anche a casa.
Le farine
Seppur sia vero che il grano tenero è il cereale con un maggior quantitativo di glutine, non è certamente l’unico a dover essere evitato in presenza di celiachia.
Grano duro, farro, kamut, orzo, segale e avena: anche le farine ottenute dalla loro macinazione non possono essere consumate in condizioni di iper-sensibilità.
Sono invece ammesse farine di riso, mais, sorgo, miglio, castagne, ceci, grano saraceno, quinoa e amaranto.
Va da sé che se avete a cena un celiaco non dovreste nemmeno usare lo stesso banco per stendere o lo stesso forno che utilizzate per le pizze degli altri commensali, per evitare contaminazioni di alcun tipo.
In ristorazione tale pratica la diamo ormai per scontata.
Vero?
VERO?
Quindi basta mischiare le farine per impastare una pizza?
Assolutamente no. Ciò che rende un classico prodotto lievitato come tale, è la struttura formatasi durante le fasi di impastamento e sviluppata nei successivi step di lievitazione e maturazione. Grazie al miscelamento di acqua e farina e all’azione meccanica esercitata, le proteine insolubili contenute in quest’ultima (gliadina e glutenina) si legano tra loro formando un reticolo viscoelastico che prende il nome di maglia glutinica; durante la lievitazione, l’anidride carbonica prodotta dall’azione dei lieviti viene trattenuta dalla maglia stessa, e l’impasto si espande e risulta più sviluppato, leggero e alveolato, e in fase di cottura il calore entra meglio e in maniera più efficace garantendo una maggior digeribilità dell’insieme.
Se il glutine è assente, la difficoltà sta proprio nel garantire il più possibile una struttura all’impasto, in modo da rendere l’esperienza piacevole al pari dell’originale.
Ma non basta miscelare farine a caso e versarci sopra dell’acqua.
L’espediente ad oggi più utilizzato consiste nel prevedere una piccola percentuale di addensante, stabilizzante e ispessente naturale nel mix di farine; i più utilizzati sono la gomma di xantano e la gomma di guar, spesso anche insieme.
La presenza di tali elementi consente all’impasto di legare, formando una struttura più o meno solida e definita, e soprattutto di sfruttare (anche se non in egual modo) il beneficio dell’agente lievitante usato.
Idratazione ed estensibilità
Tipicamente, gli impasti realizzati con mix specifici senza glutine hanno (a parità di tipologia di prodotto finito) un’idratazione ben più elevata della norma.
Per una simil-napoletana ad esempio, la percentuale di acqua rispetto alla farina varia tra il 75 e l’80%.
La ragione di un quantitativo di acqua così elevato è da ricercarsi anzitutto nel differente assorbimento delle farine utilizzate.
C’è un’altra ragione tuttavia ben più importante; se avete mai provato a realizzare un impasto simile, vi sarete senz’altro accorti di quanto la consistenza somigli a quella di un pongo umido.
Ebbene, il quantitativo di acqua superiore fa sì che il panetto da stendere risulti modellabile ed estensibile, l’esatto contrario del mattoncino friabile che si otterrebbe con un’idratazione del 55-60%.
Maturazione e lievitazione
Ora, trattandosi di un impasto dalle componenti semplicissime e in mancanza di una struttura proteica complessa, capirete quanti sia inutile prolungare la maturazione per un tempo indefinito.
A maggior ragione, la lievitazione prolungata rischierebbe di far collassare in fretta la poca struttura formatasi, impedendo di trattenere l’anidride carbonica faticosamente catturata.
Le uniche ragioni valide per allungare i tempi di riposo sono:
- Smaltire l’odore naturale del lievito di birra, utilizzato in quantitativo superiore alla norma perché meno efficace sulla struttura gluten free;
- Guadagnare in sapore grazie alla scomposizione degli zuccheri complessi semplici grazie all’azione di alfa e beta amilasi, utili per la reazione di maillard;
- Esigenze di processo, quali ad esempio i tempi di produzione e cottura di un ambiente professionale o casalingo.
Puntata, staglio e appretto
Ricordate cosa abbiamo detto quando abbiamo parlato delle fasi di riposo?
Ebbene, mentre la puntata serve per stabilizzare la maglia glutinica e formare una struttura che cresca verticalmente, l’appretto è necessario alla lievitazione finale, in quanto concorre a raggiungere le caratteristiche di sviluppo ed estensibilità utili per la stesura.
Capirete che nel caso di un prodotto gluten free, la puntata sia abbastanza inutile.
Un ottimo espediente è quello utilizzato da Sara Palmieri, pizzaiola gluten free della pizzeria 10 Diego Vitagliano: formare i panetti subito dopo la fase di impasto, aiutandosi con un filo d’olio EVO per agevolare la manipolazione, e richiudere il tutto in pellicola in modo da conservare la forma anche durante la permanenza in frigo, in quanto l’impasto tenderebbe altrimenti a collassare su sé stesso.
Il consiglio è inoltre quello realizzare forme più grandi del normale, in media di 290-300g, in modo da ottenere una pizza dei canonici 30-32 cm di diametro nonostante la minore espansione.
Stesura
Dimenticatevi lo schiaffo alla napoletana, i volteggi o qualsiasi acrobazia consentita.
L’impasto senza glutine è estremamente delicato, e come già detto presenta una consistenza simile a quella del pongo; l’unica cosa che potrete fare è modellare il panetto una volta lievitato, creando il cornicione che fungerà da corona per il contenimento degli ingredienti.
È sempre Sara Palmieri a dare per questa fase due ulteriori ottimi consigli: l’utilizzo di farina di riso per stendere, per una consistenza migliore, uno scarico più facilitato dell’eccesso e una tendenza minore a bruciare in forno, e lo spennellamento di olio sulla parte non condita, per agevolare la colorazione del bordo.
Inutile dirvi che i prodotti senza glutine, a causa del poco sviluppo, non si prestano ben volentieri alla realizzazione di pizze in teglia romana; viceversa, è molto più facile realizzare un’ottima tonda o una simil-napoletana, prestando i dovuti accorgimenti soprattutto in fase di stesura.
Cottura
Prendendo l’esempio del processo per napoletana, un impasto senza glutine richiederà una cottura più prolungata.
Anzitutto, il maggior quantitativo di acqua utilizzato richiede più tempo perché la struttura gelatinizzi completamente e il tutto risulti quindi perfettamente digeribile.
Secondariamente, in mancanza di uno sviluppo più classico il calore entra in maniera meno efficace, allungando i tempi di permanenza a parità di temperatura.
Sarebbe bene quindi cuocere la pizza intorno ai 400 – 430 °C per non meno di due minuti, in modo da garantire a pieno quanto sopra specificato.
Contrariamente, per una pizza NON napoletana, con i canonici 270 – 330 °C di forni domestici o professionali si richiedono bene o male dai 4 ai 6 minuti di cottura.
Tutto chiaro?
Bene, e che non vi senta dire che “la vera pizza è solo quella con il glutine”.
Tralasciando il fatto che è falso (è pizza un prodotto lievitato steso, farcito e cotto all’istante, senza ulteriori fasi di lievitazione in teglia), il piacere di una buona pizza non si dovrebbe MAI negare a nessuno.
Soprattutto a un celiaco.
[ Crediti: Dario Bressanini, Gabriele Raimondi, Fabrizio Casucci, Sara Palmieri ]