Simbolo del Made in Italy, la pizza napoletana è storia e orgoglio dei pizzaioli partenopei, inserita ufficialmente il 7 Dicembre 2017 nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. Vera ossessione nazionale, ci ostiniamo a riprodurla a casa, imbattendoci in errori inevitabili, nonostante nel raggio di 5 chilometri ciascuno di noi abbia almeno 3 pizzerie, facendo una media assolutamente non ponderata.
Altrettanto ostinatamente e nonostante ciò, siamo convinti che il forno a legna abbia proprietà sovrannaturali e, nei giorni più recenti, ci siamo messi in testa che percentuali di idratazione dell’impasto a tre cifre e lievitazioni tendenti a infinito ci permettano di raggiungere il Nirvana.
Mettiamo da parte le leggende e concentriamoci sui 6 errori da non fare nella preparazione della pizza napoletana, dall’impasto alla cottura, passando per ingredienti e tempi di preparazione.
Non saperla riconoscere
Prima di sperare di poter realizzare un’ottima napoletana, bisogna avere ben chiaro di che tipo di pizza stiamo parlando. Può sembrare un’ovvietà, ma non avete idea di quante foto circolino sui social di persone che spacciano pizze tonde per napoletane.
Chiariamoci, l’intento non è quello di fare del razzismo gastronomico o una futile guerra tra regioni; una pizza è buona se fatta con criterio, qualsiasi essa sia. È tuttavia importante saper definire dei limiti e circoscrivere i prodotti per non creare confusione. Dopotutto degli errori più comuni in cui ci imbattiamo preparando la generica “pizza” abbiamo già parlato, oggi ci concentriamo sulla partenopea.
La pizza napoletana è un prodotto da forno lievitato, steso a disco sottile e cotto a temperature che vanno, tra quelle della platea e della volta per quanto riguarda il forno a legna, dai 380 ai 485 °C, per un tempo che oscilla tra i 60 e i 90 secondi. Il risultato è una pasta molto elastica nella stesura, morbida una volta cotta, al punto da essere ripiegata su sé stessa a portafoglio o libretto. L’effetto croccante è assente o appena percettibile, il bordo rialzato (il famoso cornicione), la parte centrale sottile e coperta dai condimenti, con la maculatura tipica di una cottura rapida e aggressiva.
Se siete attenti, saprete di certo che abbiamo già esplorato in maniera approfondita il metodo per realizzarla in maniera perfetta a casa.
Saprete anche, che qualora il vostro risultato non dovesse rispettare le caratteristiche sopracitate potrà anche essere la pizza più buona del mondo, ma non sarà definibile come napoletana.
Semplicemente, avrete fatto un’ottima pizza tonda.
Sbagliare forno
Per quanto il mondo della pizza abbia diversi volti, è innegabile il fascino riscosso dalla napoletana; si tratta, senza ombra di dubbio, della tipologia che più di tutte risiede nell’immaginario collettivo, la cui immagine ci balena nella mente appena sentiamo la parola “pizza”, e che tantissima gente vorrebbe tanto riprodurre in casa.
Gioie e dolori: per quanto sia il prodotto più ambito, è anche quello impossibile da ottenere senza la strumentazione adeguata. Certo, in rete trovate fior di cianfaroni che vi promettono un risultato identico con accrocchi di svariato tipo, dalla “padella più grill”, alla pietra refrattaria nel forno a 250 °C, al barbecue, al cannello per colorare la superficie.
Abbiamo già discusso ampiamente la questione in un articolo dedicato, oltre ad aver ribadito l’assurdo binomio tra pizza e dispositivi per il barbecue, ma vi riporto qui le dovute considerazioni.
Abbiamo già definito che per realizzare una VERA pizza napoletana necessitiamo di due aspetti fondamentali:
- Una temperatura di almeno 380 °C, e preferibilmente tra i 450 °C e i 485 °C;
- La consistenza morbida, scioglievole, la possibilità di piegarla a libretto, caratteristiche raggiungibili solo ed esclusivamente con una cottura molto rapida (per l’appunto, dai 60 ai 90 secondi) che non permette alla struttura di cristallizzare, rendendo la pizza croccante e sfociando fuori dai limiti di tipologia.
Per inciso, abbiamo parlato di distribuzione di calore e di temperature alte, condizioni oggi ottenibili anche con forni a gas ed elettrici professionali e a misura domestica. Quindi no, non serve necessariamente un forno a legna e no, l’aroma di legno non dà nessun beneficio aggiuntivo.
Bene, una volta definito che per ottenerla servono 450 °C, cosa vi fa pensare di poter imbrogliare la fisica chiamando “napoletana” qualcosa di cotto a 250 °C nel vostro forno, o per 5 minuti tra padella e grill, o di colorare la superficie del vostro prodotto con un cannello per mascherare il colore pallido, o ancora di raggiungere le temperature citate con un dispositivo da barbecue senza però garantire l’uniformità di cottura per mancanza di irraggiamento dall’alto?
Davvero è vostra intenzione accontentarvi di un risultato mediocre e lontano dall’originale, sfornando pizze ogni 5 minuti?
Cosa vi hanno fatto di male il forno di casa, la teglia romana o il trancio milanese? A differenza della regina partenopea si tratta di tipologie ottenibili in maniera PERFETTA a 250 °C, grazie alla naturale distribuzione equilibrata di calore tra sopra e sotto che no, nemmeno il barbecue possiede.
Volete un consiglio? Se siete davvero fan della pizza napoletana, di quella vera, mettete da parte qualche soldino, armatevi di pazienza e affidatevi a uno dei tantissimi strumenti oggi a disposizione sul mercato progettati appositamente per raggiungere i 400 °C, ormai sempre più abbordabili, e che vi permetteranno davvero di realizzare i vostri sogni, senza accontentarvi di vie di mezzo.
Vi fermo subito dai commenti che, lo vedo, già vi balenano in testa: nessuno vi sta dicendo che per fare la pizza siate obbligati ad acquistare centinaia di euro di strumenti.
Semplicemente dovete essere coscienti che la napoletana, nel forno di casa, nel barbecue, nella padella o con il cannello, non si può fare.
Sbagliare farina e proporzioni
Per quanto la fase di impasto sia ben più semplice di quella di una teglia romana, a causa della minore idratazione, standardizzare una napoletana non è così semplice.
Occorre più che mai bilanciare correttamente la quantità di acqua con la giusta farina, al fine di ottenere un prodotto dalle caratteristiche necessarie.
La scelta della farina si rivela quindi fondamentale; non a caso per la napoletana si consiglia l’utilizzo di una farina di grano tenero di tipo 00 di forza medio-alta (280-300 W) con idratazioni del 65% circa, o di forza media (220-240 W) con idratazioni più basse, del 58-60%.
L’utilizzo di questa materia prima consente di ottenere un prodotto equilibrato, estensibile e mai tenace, la cui struttura possa gonfiarsi a dovere in presenza del cornicione risultando vuota e consentendo al calore di entrare in maniera più efficace, cuocendo la mollica nel poco tempo a disposizione.
Con le tecniche di molitura moderna è possibile raggiungere risultati simili anche con farine di tipo 1 realizzate a dovere, dove il condizionamento del grano pre-macinazione consenta un distaccamento più facile della crusca e una resa simile a quella delle farine più raffinate.
Al contrario, ben più difficile è la realizzazione di impasti per napoletana con farine integrali, troppo pesanti per poter portare agli effetti richiesti, a meno di non essere in presenza di ottime materie prime e di un mix bilanciato con farine 00 o di tipo 1.
Proprio per l’importanza di cuocere a dovere tutta la sezione in 60 – 90 secondi, è fondamentale che l’idratazione sia commisurata alla capacità di assorbimento minimo della farina e alla temperatura di cottura. Inutile fare i fenomeni idratando all’80% per poi ritrovarsi con panetti spiattellati, difficili da stendere, da cuocere e che vanno in gomma già alla seconda fetta, costringendovi a mangiare una pizza fondamentalmente cruda.
Fare un appretto corto
Se siete dei lettori attenti, avrete notato una grossa differenza tra la distinzione dei tempi di riposo necessari per realizzare la teglia romana e quello per la pizza napoletana.
Mentre nella prima avete una puntata (la fase di lievitazione/maturazione in massa) molto lunga e un appretto (l’ultima lievitazione dei panetti) più corto, di circa 4 ore a 24 °C, nella seconda avete un appretto più disteso, 8 ore a 20 °C.
Il tutto ovviamente è reso possibile non solo dalla temperatura dell’ambiente o della vostra cella, ma anche dal minor quantitativo di lievito: 0.2% sul peso della farina contro l’1% della teglia romana.
Perché tale distinzione così rigida?
Perché non è consigliabile lavorare più rapidamente, con più lievito e tempi di attesa minori?
È presto detto: mentre nel prodotto della capitale i bolloni della lievitazione sono benvoluti, in quanto ci garantiscono un’ottima alveolatura in tutta la sezione, nella specialità partenopea portano a difetti molto evidenti, rendendo difficoltosa la particolare stesura e bruciando inesorabilmente in cottura a causa della sezione sottilissima e delle alte temperature di gestione.
Per limitare la concentrazione di queste grosse masse di aria localizzate c’è una sola via: una lievitazione più equilibrata, lenta e graduale, che ne permetta una distribuzione migliore all’interno del vostro panetto.
Dimenticarsi della mise en place
Fare una teglia vi consente di prendervela relativamente comoda: una volta stesa e appoggiata sul suo supporto di cottura potete farcirla accuratamente, prendervi il tempo di curare tutti i dettagli, farlo addirittura in anticipo mentre un’altra gemella sta cuocendo.
Con la napoletana tutto ciò vi è proibito.
Scordatevi di poter stendere 10 panetti e di lasciarli sul banco, peggio ancora se farciti; una sezione così sottile, unita all’umidità della farcitura, vi farà attaccare il tutto al piano bucandola e distruggendo tutto il lavoro fatto.
Certo, potreste abbondare con la farina, ma perché sia perfetta una pizza deve avere il quantitativo minore possibile di semola rimasta sulla superficie, soprattutto considerando che a 400 °C brucerebbe inesorabilmente restituendovi un gusto amaro e sgradevole.
Meglio lavorare di testa e in maniera ordinata, preparandovi tutto l’occorrente davanti, tra ingredienti, impasto e strumenti; non siete pizzaioli, non siete abituati a lavorare con grossi numeri, quindi stendete, farcite e cuocete un panetto alla volta evitando di lasciarlo troppo tempo sul banco.
Una buona mise en place è una delle prerogative per cucinare nel modo migliore, specialmente con la napoletana.
Cuocere di fretta
Nel grilling c’è la gara a chi cuoce la fiorentina più alta in minor tempo, lasciandola ancora viva e muggente.
Al tempo stesso, nel mondo della pizza pare esserci un’assurda competizione a chi sforna napoletane in una manciata di secondi e a temperature sempre più alte.
Mi chiedo, perché?
Vi piace così tanto mangiare chewing gum?
Ragazzi davvero, fate le cose bene e senza fretta, non vi corre dietro nessuno.
Bilanciate correttamente la temperatura con l’idratazione utilizzata; ad esempio, se da definizione sappiamo che una pizza con il 58-60% di idratazione cuoce a 485 °C in 60 secondi, aumentando l’idratazione al 70% non potrà mai essere cotta nello stesso tempo e alla stessa temperatura.
Certo, se riuscite ad aprire correttamente il cornicione il calore entrerà in maniera più efficace cuocendo più rapidamente, ma a tutto c’è un limite, è questione di fisica.
Per verificare la bontà del vostro risultato avete un solo, infallibile parametro: il morso.
Se nel corso del raffreddamento la masticabilità della pizza inizierà a farsi sempre più lunga e difficoltosa, significa che c’è qualcosa che non va e dovete necessariamente adattare le variabili del processo.
Al contrario, se il prodotto sfornato conserva le sue caratteristiche strutturali anche da freddo, avete vinto.