La pizza in teglia alla romana è un prodotto tanto celebre quanto complesso, che se non realizzato con le giuste attenzioni rischia di portarsi dietro le nefaste conseguenze di molteplici errori.
Vi abbiamo spiegato il metodo, dandovi indicazioni mirate per replicarlo nel vostro ambiente domestico: dopotutto è la pizza migliore da fare in casa, quella realizzabile anche a mano e con un semplice forno a incasso, con immensa gioia e soddisfazione.
E vi abbiamo detto che, però, si tratta pur sempre di un impasto più idratato rispetto alla media: se sottovalutate le varie fasi, le materie prime, le nozioni trasmesse o peggio, vi fate prendere dalla fretta, l’epilogo non potrà che essere deludente in tutto e per tutto.
Ecco perché abbiamo raccolto gli 8 errori più comuni da evitare quando si impasta, si lascia maturare, si forma, si stende e si cuoce una pizza in teglia alla romana. Vediamoli insieme.
1. Confondere miscelazione e impastamento
C’è un concetto che si fatica a comprendere e che acquista sempre più importanza mano a mano che la complessità di un impasto cresce: l’unione degli ingredienti.
Si tratta (senza voler offendere nessuno, sia chiaro) di un retaggio delle metodologie di impasto storiche e più diffuse, quelle della vecchia scuola napoletana che richiedeva l’utilizzo di farine deboli e un’idratazione misurata.
Oggi il mondo della tonda (napoletana e non) si è ormai evoluto con deviazioni disparate sul tema, tra maturazioni prolungate, prefermenti, più o meno acqua, più o meno sale, più o meno bordo, ma solo fino a qualche decennio fa era assai difficile trovarsi davanti a un panetto idratato più del 55-58%.
La teglia romana è un prodotto ben più giovane, nato nel dopoguerra dai panettieri, sviluppato negli anni ’90 da Angelo Iezzi ed esploso nel nuovo millennio grazie a Bonci, e che tuttavia ha tardato ad espandersi per ancora qualche tempo, tanto che ancora oggi ci riportiamo dietro gli effetti degli impasti passati: si miscela, si fa una palla e la si abbandona al suo destino.
Non è così che si lavora ragazzi, nella maniera più assoluta.
Oggi più che mai, con un mercato delle farine a dir poco enorme, con la possibilità di scegliere tra un’infinità di prodotti adatti al proprio scopo, è importante saper distinguere tra il miscelare e l’impastare.
I più attenti tra voi ricorderanno sicuramente quando parlavamo di farine per pizza e delle loro caratteristiche tecniche, tra cui l’assorbimento minimo, un indicatore importantissimo ricavato nel laboratorio di un mulino e che ci consente di avere un’idea di quanta acqua è necessaria per cominciare a formare il glutine e la struttura, ovvero un impasto.
Prima di quel momento stiamo semplicemente miscelando degli ingredienti, idratando la farina e sciogliendo il lievito; se non diamo il tempo a gliadina e glutenina di formare correttamente la struttura avremo solo acqua libera e un impasto che non svilupperà durante il riposo, risulterà compatto, poco soffice e cuocerà con estrema fatica in quanto il calore non potrà entrare facilmente asciugando la mollica.
Stiamo parlando di un prodotto che deve avere delle caratteristiche pre-definite:
- Crosta croccante;
- Mollica aperta e alveolata;
- Morso corto.
Insomma, qualsiasi pizza che si presenti gommosa, cruda, secca, biscottata, bruciata o con la sezione collassata e compatta non potrà MAI essere definita una pizza in teglia alla romana.
Imparate a prendervi il giusto tempo per impastare, dando modo agli ingredienti di miscelarsi correttamente, al glutine di formarsi e all’impasto di asciugare e prendere forza, è l’unica via verso il successo.
2. Esagerare con l’idratazione (ah, la moda)
Quante volte avete sentito i classici fenomeni da baraccone millantare di impasti idratati al 100, 120 o 140%?
Siamo sempre lì, alla bistecca alla fiorentina alta dieci dita, alla maturazione del pane da 400 ore, ai piatti di pasta da 600 kg, al lievito madre di 800 anni; per il web “più è meglio”.
Scordatevelo, a meno di non voler incorrere in quella “fenomenologia della pizza cruda” di cui già abbiamo parlato in passato.
Ricordatevi sempre che tutta l’acqua in eccessoche mettete all’interno del vostro impasto andrà asciugata in fase di cottura prima della formazione della crosta, o il rischio è quello di trovarsi con una pizza buona per i primi 10 secondi, e che durante il raffreddamento si trasforma in gomma da masticare del tutto indigesta.
Il vostro impasto, perché risulti gestibile con poca fatica, dovrà essere il più possibile asciutto in ogni fase, dall’impastamento alla puntata, dallo staglio alla formatura, dalla stesura alla cottura; solo così potrete essere certi di ottenere un prodotto valido e certificato.
Dal canto mio non supero mai l’85% per una teglia romana, e di rado trovo utile oltrepassare l’80%.
Motivo per cui, per imparare a lavorare con criterio, vi ho introdotto a questo mondo con un ben più agile 75% nel metodo ufficiale che trovate al solito link.
Last but not least, l’acqua accelera la fermentazione e i processi enzimatici, e non prestate attenzione bilanciando il riposo rischiate di trovarvi con un impasto del tutto scarico e ingestibile.
Insomma, meno moda, meno paranoie e più logica.
3. Utilizzare una farina inadatta
Torniamo per un attimo al retaggio degli impasti della vecchia scuola e smontare l’ennesimo luogo comune: quando trovate in una qualsiasi ricetta la dicitura “1 kg di farina” senza la più pallida indicazione del tipo e della forza, giratevi e datevela a gambe.
Ad oggi non possiamo più permetterci di generalizzare sull’ingrediente più importante per un panificato.
Esistono farine specifiche dedicate a scopi specifici, come già vi ho raccontato a suo tempo. Ciò significa che se vi recate al supermercato comprando una farina per biscotti e pretendendo di farci una teglia romana, state pur certi che il fallimento vi aspetta dietro l’angolo.
Per poter gestire un quantitativo di acqua pari o superiore al 75%, formare il glutine e resistere ad un riposo di 24 ore avete bisogno di una farina equilibrata nella forza, nell’assorbimento minimo e nei parametri di estensibilità e tenacità.
Non è pignoleria, è scienza, è chimica e fisica, ed è l’unica cosa oggettiva di questo mondo.
Non si impasta aggiungendo acqua a caso e pregando in sette lingue il raggiungimento di un magico “punto di pasta”, ma con testa e coscienza verso le materie prime, le dosi, i tempi e lo scopo finale.
E a tal proposito, lasciatevi passare la voglia di utilizzare solo farine di cereali diversi dal grano tenero perché “è il male assoluto”; per una teglia romana il glutine è fondamentale.
Senza glutine è impossibile formare una struttura aperta e alveolata come la tipologia richiede, asciugando perfettamente la mollica e la crosta grazie all’ingresso facilitato del calore.
Senza glutine sarà pizza, ma di un altro tipo.
Quindi ancora, meno moda, meno paranoie e più logica.
4. Sottovalutare la puntata
Altro retaggio dei mondi passati: una puntata inesistente, in quanto si lavorava con farine deboli e tenaci.
Un panetto formato tardi era un panetto difficile da stendere sottile come un velo e impossibile da cuocere a 450-480 °C.
Con l’evoluzione del mondo farinaceo e l’ingresso di prodotti stabili ed equilibrati, l’importanza della puntata è emersa sempre di più.
La sua funzione è tanto semplice quanto fondamentale, specialmente per i prodotti (come la teglia romana e il pane) che necessitano di uno sviluppo verticale della mollica.
Il termine “puntata” deriva dal comportamento dell’impasto durante il riposo in massa (effettuato di norma in contenitori ermetici stretti e dai bordi alti) che “punta” contro le pareti esercitando una sorta di azione meccanica che rafforza la struttura e la crescita verso l’alto.
Un panetto con una puntata lunga e ben eseguita risulterà sostenuto, voluminoso e colmo di aria.
Al contrario, un panetto con una puntata troppo corto risulterà troppo estensibile, collassato ed eccessivamente rilassato, specialmente con quantitativi di acqua così elevati.
Li volete sti alveoli?
Allora occhio a non tralasciare questa fase, è fondamentale.
5. Non considerare staglio e formatura
Ecco, abbiamo faticato tanto per far crescere il nostro impasto nella prima fase in massa al punto di ritrovarcelo morbido e colmo di aria.
Due movimenti storti, impauriti e affrettati e roviniamo tutto.
Staglio e formatura sono fasi cruciali, in quanto al termine della maturazione in frigorifero il nostro blob rilassato risulta molto delicato e tendenzialmente umido, specialmente negli instabili frigoriferi domestici che vengono aperti 70 volte al minuto.
L’obiettivo è spezzare la pasta (e mai tagliarla) nel minor numero di frammenti possibile, e chiuderla in pochi passaggi per conservare tutta l’aria nel panetto, che dovrà essere chiuso in maniera corretta su tutta la superficie; contrariamente, i buchi rimasti si apriranno durante la lievitazione mandando in malora la stesura.
Lavorate su un ripiano asciutto, con le mani pulite e senza paura e andrà tutto nel migliore dei modi.
6. Stendere la pizza in teglia come fosse una tonda
Ultimo retaggio del passato: la stesura.
Chiariamoci, si tratta dei una delle fasi il cui perfezionamento richiede più tempo, pazienza e tanto, tanto, tantissimo allenamento.
Ma se lavoriamo nel modo sbagliato non c’è speranza di farcela.
Per esperienza, chi viene dal mondo della pizza tonda trova parecchia difficoltà nell’approccio verso la teglia; tipicamente chiude la mano e spinge tutta l’aria sul bordo, cancellando ogni traccia di aria dalla sezione centrale.
Niente di più sbagliato.
Il movimento da effettuare per la stesura di una teglia romana è completamente diverso: dovete tenere la mano aperta e premere con l’ultima falange, dando modo all’aria stessa di allargare il panetto.
Ricordatevi che parliamo di una pizza che nasce come prodotto da banco, e che come tale deve presentarsi identica in tutta la sua superficie.
Significa che dovete dimenticarvi il bordo e lavorare per ottenere una sezione e una farcitura uniforme ovunque la mordiate.
7. Aver paura di bruciare la pizza
-Quella pizza è cruda, completamente.
-Lo so, hai ragione, ma avevo paura di bruciarla.
Ho perso il conto di quante volte mi sono trovato davanti a foto di teglie completamente bianche, dove la Reazione di Maillard non aveva nemmeno avuto il tempo di bussare alla porta.
La risposta era sempre la stessa: “Avevo paura di bruciarla”.
Ragazzi, per carità, non stiamo certo parlando di una pizza napoletana, dove a 480 °C il secondo in più o in meno può realmente fare la differenza tra il crudo e il bruciato.
La teglia romana è un prodotto che cuoce in media tra i 12 e i 15 minuti, per bruciarla dovreste seriamente dimenticarvela in forno!
Cosa ancor più importante, la digeribilità di un panificato è per la maggior parte dovuta a una corretta cottura e cristallizzazione degli amidi; una pizza cruda è una pizza sbagliata, ovunque.
Dovete focalizzare la mente sul risultato da ottenere: crosta bruna, separata dalla mollica, e il bordo dorato che scrocchia sotto le vostre dita. Finché la pizza non presenta queste caratteristiche fondamentali, lasciatela in forno.
8. Lasciarla raffreddare nel modo sbagliato
Abbiamo detto che la pizza in teglia alla romana è un prodotto da banco, giusto?
Significa che, per come è stata concepita, viene preparata in anticipo, fatta rinvenire e servita al momento dell’ordine.
Le sue caratteristiche tecniche, la sua struttura, l’idratazione e la friabilità la rendono un prodotto perfetto per lo scopo, che può tornare assolutamente utile anche nel domestico.
Pensate banalmente a quando avete gente a cena o volete portare i vostri prodotti da amici o parenti per fare bella figura: preparate tutto in anticipo e quando è il momento fate rinvenire a 200 °C in forno per qualche minuto, risvegliando la croccantezza della crosta e la fragranza della farcitura.
Ecco, per ottenere il massimo da questa fase è necessario però che la teglia romana raffreddi nel modo corretto, su una griglia rialzata; contrariamente, il vapore acqueo sviluppato dal contatto tra la base calda e il piano freddo rovinerebbe inevitabilmente la tanto sognata crosta, che svanirebbe per sempre.
E per un romano, una teglia che non scrocchia e una pessima teglia.