Caffè, latte macchiato e cornetto. Si fa presto a dire – e fare – colazione all’italiana, ma non vi sembra un tantino spannometrico dire “pasta e cappuccio” come se bastasse a classificare cosa vi siete mangiati? Peccato che i fanatici del pasto al bancone non siano troppo inclini a parlare di qualità, differenze e sottigliezze delle loro frugali consumazioni. Come se non ci fossero anche lì, come in ogni arte italica che si rispetti, le immancabili fazioni.
Certo, direte, non si può stare a sindacare su qualcosa che ti mangi in un boccone, distratto dal giornale radio in sottofondo e con la macchina in doppia fila. Ma se tanto mi dà tanto, la nostra terra assolata è famosa per indire crociate culinarie per molto meno. E per andarne più che fiera.
Noi e solo noi siamo capaci di (s)ragionare per corposi quarti d’ora sulle diverse nature di un caffè al vetro e di uno in tazza grande. Noi e solo noi percepiamo con il nostro settimo senso (quello dell’orgoglio mangereccio trasmessoci dalle amorevoli cure di mammà) che sussiste un sottile discrimine fra una vellutata e un passato. Anche se poi magari, colti da ineffabilità un po’ sinceramente commossa e un po’ paracula, non sappiamo spiegarlo.
Meglio evitare, allora, di passare anche un solo minuto della nostra volatile mattinata senza assaporare davvero di che cosa sono capaci – e non – quei deliziosi e distratti fagottini che amiamo pensare come il nostro cibo patrio mattutino.
BRIOCHE.
Le sfoglie.
Dolci ma inconsistenti, falsamente piccole ma in realtà foderate di crema fino a scoppiare, le sfoglie sono le sgualdrine della pasticceria. Ti riempiono di colesterolo a basso prezzo, senza farti soffrire, anzi. Oppure ci sono quelle pentite, quelle che non volevano farti del male e si sono fermate a metà strada e quando le addenti puff! La crema dov’è? Se sgualdrina deve essere, sia almeno di quelle oneste.
Le frolle.
Disadattati. Mi verrebbe da chiamarli così. Sono quelli affetti dalla sindrome del pandistelle, che non rinuncerebbero alla consistenza biscottosa della loro colazione nemmeno sotto tortura. I peggiori sono quelli che vanno a scegliersele pure al cioccolato, come se non bastasse la pusillanimità di non togliersi dalla testa le scaffalate di frollini del supermercato neanche in quel momento di debolezza che ti ha fatto entrare – per caso – nel bar. Idealisti della colazione a casa, quelli che scelgono le frolle tradiscono, insieme ai pandistelle nella dispensa, un po’ tutta la loro concezione di economia domestica.
I cornetti surgelati.
Hanno un loro perché, e su questo quasi tutti i bar-addicted si trovano sobriamente d’accordo. Le pastine surgelate sono il giusto compromesso fra una sosta senza pretese – mica si ha tempo di fare la fila dal rinomato pasticciere tutte le sante mattine – e nessuna sosta. I cornetti surgelati, uguali in ogni città d’Italia, sono il fast food della brioche, senza per forza esserne il velenoso surrogato. Perché, chi s’accontenta, godicchia.
Le indefinibili.
Ci sono poi quelle opache, vagamente flosce, incerte se farsi vedere o no dalla teca trasparente. Sembrano quasi avanzate, o scartate con garbo dall’avventore subito prima di noi. Chissà poi perché, sembrano tutte uguali. Perfette per chi la sera prima ha alzato un po’ il gomito: ne rispecchiano lo stato d’ansia da avvinazzato postumo, che deve affrontare l’inquietudine dell’ingresso in ufficio senza ricordarsi con esattezza se ne è mai uscito. In genere sembrano vuote, a guardarle da lontano con l’occhio perso, ma poi si rivelano ripiene di tutto ciò con cui avreste voluto evitare di imbattervi.
Le false magre.
Integrale. Ai cinque cereali. Integrale al miele. Senza zucchero. Se siete scesi “Da Gigi” per raccontarvi la frottola della colazione light, avete sbagliato programma. Eppure le brioche false magre, con i loro sapori rustici di granaglie e malto, regalano sorprese specie se, ancora calde ma non troppo, vi si concedono anche per il più impuro dei piaceri da banco: l’inzuppo.
CAPPUCCINI E LATTI MACCHIATI
Tanto per cominciare confessate. Confessate a voi stessi che fate scivolare la voce verso il basso sulla desinenza plurale di quei latt* macchiat* quando ne ordinate più di uno. Perché dire latti macchiati suona proprio male, il latte è fatto per star da solo. Ed eccovi tolti d’impaccio: con amici, fidanzati e familiari, molto più semplice ordinare un italico cappuccino. Nutriente quanto basta e cremoso. Ho detto cremoso. Dov’è il vostro orgoglio corporale di figli della Lupa, allora, quando vi spacciano per cappuccino un liquido inerte con sopra una schiuma rarefatta che ha la stessa consistenza del Badedas?
Per non parlare del relativo caffè. Né troppo né poco, l’espresso perfetto nel cappuccino è quello che gioca un ruolo da protagonista senza però invadere del tutto la scena, esaltando anzi, invece di coprirlo con la gigiona robustezza arabica, il sapore più tenue del latte. Di quello buono, però. Non, come spesso accade, il brodo biancastro e senza un filo di pannosità, magari impregnato dell’inconfondibile sapore di trattamento UHT.
Da ora in poi, insomma, quando vi concedete il meritato pit-stop mattutino al caffè, imponetevi anche di non farlo a mezza coscienza. Gli italiani saranno anche un popolo di polemici senza bandiera, ma la “colazione all’italiana” val bene una tazzina di sacrosanto perfezionismo.