Ve lo diciamo subito: non è stato facile scegliere tra i piatti tipici veneti quelli più rappresentativi. Però, alla fine, girando tra le sette province, distribuite in un territorio che spazia dalle Dolomiti all’Adriatico, passando per il Lago di Garda e le colline del Prosecco (da poco patrimonio Unesco) ce l’abbiamo fatta.
Scansando falsi storici, considerando il tiramisù, rispolverando il dialetto, prendendo atto di una certa opulenza, abbiamo raccolto le 16 specialità del Veneto che secondo noi vale decisamente la pena provare, qualora ci andiate in vacanza.
Bigoli co l’anara
Spaghettoni grossi e grezzi lavorati al torchio, porosi al punto giusto da trattenere il sugo, i bigoli sono una pasta molto usata in Veneto. Questa ricetta è tipica del vicentino ma ha saputo conquistare anche le province limitrofe. Il condimento qui è l’anatra, che nella ricetta tradizionale (e contadina) apparteneva a razze derivate dal Germano reale. In origine i bigoli erano cotti nel grasso brodo in cui era stata fatta lessare l’anatra e poi conditi con un sugo preparato con le sue frattaglie. Oggi più facilmente si trova un ragù come condimento, ma non significa che il piatto abbia perso il suo fascino.
Risi e bisi
Indefinibile ricetta a metà strada tra la minestra densa ed il risotto morbido, i risi e bisi sono un piatto storico veneziano, un grande classico che sotto un’apparente semplicità nasconde insidie notevoli, dalla consistenza alla dolcezza del sapore. Proprio perché gli ingredienti sono pochi, la loro qualità deve essere altissima. In passato i bisi scelti per il piatto dogale erano quelli di Lumignano, in provincia di Vicenza. Oggi segnatevi anche quelli di Colognola ai Colli nel veronese e quelli di Baone nel padovano. Ricordatevi che è un piatto primaverile, eviterete fregature fuori stagione.
Casunzei
Tipici dell’ampezzano ma con radici che affondano nella cucina mitteleuropea, i casunzei sono dei ravioli di pasta all’uovo ripieni di barbabietole rosse. La forma a mezzaluna è inconfondibile così come il colore rosa intenso ed il sapore dolce, in cui le barbabietole trovano un degno accompagnamento nella ricotta. Il condimento immancabile non è tanto il burro fuso a cui siamo abituati nel caso dei piatti di montagna, e che diventa il premio a cui puntiamo quando organizziamo passeggiate più o meno impegnative in montagna, quanto i semi di papavero, segno dell’influenza della mitteleuropa. La loro presenza, discreta come dei piccoli granelli di pepe, non è solo un’aggiunta cromatica ma completa il piatto rendendolo memorabile.
Tortellini di Valeggio
Ogni anno a Valeggio sul Mincio, sul Ponte Visconteo, si celebra la festa del nodo d’amore, nome vagamente erotico con cui sono chiamati i tortellini tipici del piccolo comune scaligero. La leggenda fa risalire la ricetta al 1300, quando un soldato e una ninfa innamorati si rifugiarono in fondo al Mincio per sfuggire ai loro nemici, lasciando in riva al fiume un fazzoletto annodato come simbolo del loro amore. Più prosaicamente, noi passiamo al sodo e cioè al ripieno: carne di maiale, pollo, vitello, manzo, prosciutto crudo, pangrattato, parmigiano o grana padano. Si servono sia in brodo sia con burro e salvia.
Gnocchi con la fioreta
La fioreta è il nome che si usa a Recoaro per indicare la ricotta “liquida”, che si ricava per affioramento nella fase di produzione, quando non viene completamente scolata dal siero. Piatto poverissimo, è oggi una rarità preziosa. Le origini lo fanno risalire a inizio ‘900 quando i pastori in alpeggio facevano un impasto con fioreta e farina bianca, versandolo a cucchiaiate nell’acqua bollente per ricavarne morbidissimi gnocchi. La ricetta è talmente seria da farne oggetto di disciplinare. Il condimento è – neanche a dirlo – burro di malga aromatizzato con foglie di salvia ed eventualmente una grattugiata di ricotta affumicata o formaggio di malga.
Risotto all’isolana
Ve ne avevamo parlato a proposito dei risotti veneti e ci torniamo perché è una delle glorie del veronese, anzi di Isola della Scala, comune che ogni anno celebra il piatto con una fiera che dura 26 giorni. Ricetta antichissima ufficializzata nel 1985, nel 2016 è stata aggiornata raddoppiando la quantità di carne, che deve essere rigorosamente una combinazione di vitello magro e lombata di maiale. La cottura è insolita rispetto alla tradizione dei risotti veneti: il riso, ovviamente Nano Vialone Veronese Igp, viene cotto nel brodo e poi viene aggiunta la carne, tagliata a dadini e cotta precedentemente.
Baccalà alla vicentina
E’ uno dei piatti più rappresentativi della regione, orgoglio vicentino e omaggio ad una cucina in cui abbondanza di tempo e condimenti erano la regola. Ormai avete imparato che in Veneto baccalà significa stoccafisso, e fa riferimento ad una conservazione non sotto sale bensì lasciando seccare il pesce. Ora imparate anche il verbo “pipare”, che è fondamentale per la riuscita del piatto: significa che il baccalà deve cuocere a fuoco molto dolce (per circa 4 ore e mezzo, dice la ricetta originale), muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare. Se vi sentite abbastanza sicuri da maneggiare gli ingredienti fondamentali (latte, acciughe, cipolle, olio, moltissimo olio) senza aiuto, siete davvero bravi. Chi invece vuole ottenere la magnifica consistenza e la dolcezza seduttiva del piatto senza fare errori, può rivolgersi alla “Confraternita del Bacalà”: fondata a Sandrigo (VI) nel 1987 ha lo scopo di “di difendere, conservare e promuovere il piatto tipico vicentino”. I confratelli, tra stemmi, riunioni e cerimonie di investitura, sapranno darvi tutte le indicazioni per ottenere un baccalà perfetto.
Sarde in saor
Ovvero fare di necessità virtù: nato dalla necessità della gente di bordo di conservare il pesce pescato per averne disponibilità durante i viaggi in mare, le sarde in saor sono un piatto che contiene tutta la storia di Venezia, tra mare e contaminazioni gastronomiche. Ecco le cipolle di Chioggia, bianche e dolci che vengono stufate nell’olio e sfumate con l’aceto; ed ecco le uvette arrivate dal Medioriente. Poi i pinoli. Di fronte a simili ingredienti è difficile che le sarde siano in grado di mantenere un contegno: cedono e basta, disposte a strati. La stessa cosa che capiterà anche a voi, di fronte al piatto.
Lesso e Pearà veronese e Bollito padovano
Li abbiamo messi insieme per affinità, i due bolliti, anche se sappiamo che veronesi e padovani difendono ognuno la superiorità della propria versione. Noi, per non far torno a nessuno, consigliamo di assaggiarli entrambi. Il primo è il piatto delle grandi feste per eccellenza. La pearà è una salsa fatta con pane grattugiato, brodo e midollo di bue con il pepe che arriva a dare la sferzata piccante finale e che dà anche il nome alla salsa: pearà significa pepata, in dialetto. Il segreto, neanche a dirlo, sta nella cottura: più a lungo cuoce, più è buona. Le carni ideali per accompagnarla sono vitello e maiale.
Ci spostiamo a Padova per il “gran bollito”: famoso già nel 1600 e citato persino da Galileo, prevede una combinazione di tagli, e carni, nobili e meno nobili: ai tagli più prestigiosi del manzo, si aggiungono coda, lingua e testina. Quindi gallina (quella padovana ha carni morbide e gustose) e musetto. Obbligatorio l’accompagnamento con salsa verde, cren e sale grosso.“
Fegato alla veneziana
Un grande classico veneziano, che nasconde delle difficoltà: se sono due gli ingredienti – cipolle e fegato – la bravura sta nel trattarli a regola d’arte per evitare di trasformare un trionfo di morbidezza e dolcezza in un boccone amaro. Se la tradizione vuole fegato di maiale, dal gusto deciso, oggi si preferisce usare quello di vitello o di vitellone, più delicato. Sulle cipolle non si transige: bianche, rigorosamente di Chioggia, che non vanno tritate ma tagliate a metà e affettate sottilmente. La carne viene tagliata a listarelle e cucinata insieme alle cipolle.
Sopa coada
Storico piatto trevigiano, nato poverissimo e ora asceso a piatto ricercatissimo, quasi introvabile. Letteralmente significa zuppa covata, per via della lunga cottura, che nei forni delle vecchie cucine economiche poteva arrivare anche a quattro/cinque ore. Più che una zuppa è in realtà un pasticcio di piccione e pane. Le carni devono essere quelle di piccione novello, disposte a strati sul pane, bagnate da brodo e cotte in forno. Si serve, caldissima, come piatto unico, inderogabilmente nelle terrine di terracotta e accompagnata con una tazza di brodo bollente con il quale si può rendere più morbido ogni boccone.
Broeto
Il Brodetto, o broéto o boreto, di pesce è un piatto chioggiotto, le cui origini vanno ricercate dalla necessità, per i naviganti, di recuperare il pesce. Darne una ricetta univoca è praticamente impossibile date le diverse contaminazioni avvenute nel corso del tempo e grazie alle imprese dei marinari chioggiotti spintisi fino in Istria, nel Tirreno e in tutto il bacino del Mediterraneo. E infatti il numero di specie di pesci utilizzate per questa densa zuppa varia da tre a trenta. Se volete fare le cose per bene il consiglio è quello di combinare racina, scorfano, san pietro, ghiozzi, gallinella rana pescatrice con molluschi e crostacei (cicale o canocie, gamberi, mazzancolle, scampi, anche seppie, calamaretti e/o moscardini, cozze e vongole). Fondamentale l’aggiunta di un po’ di conserva di pomodoro.
Pastisada de caval
L’origine di questo piatto sembra un film di Tarantino. 30 settembre del 489: nelle campagne nei pressi di Verona si combatte una furiosa battaglia tra il Re d’Italia Odoacre ed il Re degli Ostrogoti Teodorico. Alla fine dello scontro, vinto da Teodorico, rimangono a terra migliaia di cavalli, di cui il popolo affamato fa provvista: vista la gran quantità di carne, bisogna conservarla. Ecco allora l’uso di una macerazione nel vino rosso, le spezie, le verdure e una cottura a fuoco lento. E’ un piatto per fisici poco inclini alla delicatezza, che si apprezza ancor più se accompagnato agli gnocchi (in origine quelli preparati dalle massaie del rione di San Zeno) che a Verona sono celebrati come piatto di Carnevale con la gran festa del venerdì gnocolar.
Torresani allo spiedo
E’ un amore contrastato quello che lega i piccioni al Veneto. Se a Venezia sono una piaga, a Treviso si trasformano in pasticcio e nel vicentino in esemplari da spiedo. I torresani sono i colombi di torre, che prende il nome dall’abitudine dei pennuti di nidificare sotto i tetti e nelle torri colombaie. Le origini del piatto risalgono a fine ‘400- inizio ‘500 quando la Serenissima cominciò a guardare all’entroterra creando ville con vere e proprie aziende agricole. Il torresano è quello di Breganze: è cotto sullo spiedo, su un fuoco di legna per circa un’ora, facendolo girare e spennellandolo con il suo grasso. Piccione gourmet, scansati.
Tiramisù
Veneto o friulano? Con panna o senza? Classico o destrutturato? Nonostante un acceso dibattito sulla paternità e azzardate dichiarazioni di noti chef sull’aggiunta di ingredienti non previsti, noi abbiamo deciso senza possibilità di replica di inserire il tiramisù tra i piatti regionali veneti. Da Treviso ha conquistato il mondo, diventando uno dei dolci più conosciuti e, conseguentemente, maltrattati di sempre. Se avete dei dubbi sulla ricetta, potete sempre ripassarla qui, oppure programmare un giro a Treviso e assaggiarlo nel ristorante che gli ha dato i natali, le Beccherie.
Nadalin
Quando tutti indicano il pandoro vuoi guardate il Nadalin, padre nobile e meno famoso. Si tratta di un dolce nato alla fine del 1200 secolo per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei nobili Della Scala che erano divenuti Signori di Verona. Poco lievitato, piuttosto basso, ha la forma di una stella ad otto punte, anche se i contorni sono meno netti di quelli del pandoro. Il nostro consiglio è il seguente: mentre tutti sono impegnati nel consueto dibattito natalizio, voi uscitevene con un “ma vuoi mettere il nadalin?”. Vi guarderanno tutti e farete un figurone.