Chi ci va per il mare, chi per la musica, chi per sposarsi (ecco, magari non in questo periodo..), chi per assaggiare i piatti tipici pugliesi. La Puglia è una delle mete più gettonate d’Italia e per quest’estate, i viaggi all’estero limitati all’osso e il “bonus vacanze” ad incentivarci a spendere nella Penisola, potrebbe essere una delle poche plausibili.
Non sarà certo un grosso sacrificio. Tanto vale scoprire la cucina della Puglia, profondamente mediterranea, trionfo di colori, verdure autoctone e cerali antichi. Per farlo, volgiamo appunto lo sguardo all’indietro, verso una tradizione che ancora oggi, tra discoteche e spiagge affollatissime, tiene duro in particolare nell’ambito gastronomico.
L’11 novembre 1967 veniva trasmesso in Rai un documentario intitolato Sapori di Puglia. Questo breve reportage sui piatti tipici pugliesi faceva parte di una serie a scopo divulgativo chiamata “Linea contro Linea”, a cura di Giulio Macchi. L’introduzione di questo piccolo gioiello telegastronomico alla Mario Soldati ci sembra perfetta per evocare, in sintesi, l’essenza della Puglia e della sua cucina:
La cucina pugliese è fatta di semplicità e fantasia, come umile e fantasioso è il popolo di questa terra. Orzaioli, verdurieri, terrazzani, cioè i contadini di Puglia: un popolo di formiche ha trasformato una terra di pietra e una terra senza acqua in un giardino. I nostri fiori sono il pane, le cime di rapa, le cipolle. La poesia del nostro popolo è quella dei cespi di cicorie selvatiche amarognole, delle dolcissime lattughe, delle fave fresche, dei sedani, delle melanzane bianche nere e rosse, dei cardoncelli e dei pomodori. Non si può capire la cucina di Puglia se non si riesce a penetrare nella difficile e inaspettata bellezza di questo paesaggio, fatto di grandi ceri, di luci basse, di pianure affilate come lame di coltelli e rotti qua e là dall’improvvisa apparizione di bianchi paesi incendiati dal sole.
Senza aggiungere altro a questa bellissima dedica, andiamo a scoprire i 15 piatti tipici pugliesi migliori, su tutti, quelli da provare per poter dire di aver saggiato la gastronomia della Puglia.
Acquasala
L’espressione “a pane e acqua” solitamente evoca immagini di carcere duro, digiuno religioso o ristrettezza economica. In Puglia invece si può ben dire che questi due elementi si coniughino armoniosamente nell’acquasala (o acquasale in italiano). La base di questo piatto è costituita dalla frisella, la fetta biscottata che va consumata rigorosamente inzuppata – a meno di non mettere a dura prova i vostri denti. Soffermiamoci un momento su questo prodotto da forno che, si dice, sia originario del salentino: la frisa nasce come pane da viaggio, pronto ad essere “resuscitato” con del liquido (acqua, olio, vino) al momento del bisogno. Impastata con la farina di orzo a forma di ciambellina, le viene data una prima cottura in forno a seguito della quale si divide a metà…e via in forno di nuovo per renderla bis-cotta, appunto. In Puglia è stata per secoli la base dell’alimentazione dei ceti meno abbienti, e forse proprio ai pescatori venne in mente di bagnarla con l’acqua di mare per avere pronto il condimento salato.
L’acquasala è dunque un piatto povero a base di pane vecchio o friselle bagnate con acqua e sale (a quanto pare la materia prima deve essere talmente priva di umidità da sopportare 3 minuti di ammollo senza disfarsi: diteglielo un po’ a quelle ciofeche che trovate al supermercato). Viene condito con olio di oliva, pomodori, cipolle e caroselli o cocomeri, cugini strettissimi dei cetrioli che qui in Puglia sono molto diffusi. Un pranzo estivo da gustare con un calice fresco di Verdeca, il bianco fruttato da uve autoctone.
Puccia
Viene dal profondo sud della Puglia questa forma di pane che si riempie e si svuota a seconda della provenienza. Partiamo dalla puccia leccese, il modello vincente di panino imbottito che te lo chiede proprio di essere farcito: infatti questo panino di semola senza mollica è perfetto per accogliere una bella dose di ripieno (noi consigliamo marangiane con l’agghj ngul, melanzane soffritte con pomodorini e aglio). Poi c’è la puccia caddhipulina originaria di Gallipoli, che di mollica invece abbonda e che viene preparata tradizionalmente il 7 dicembre per essere mangiata il giorno dopo, durante la Festa dell’Immacolata. Provatela con capperi e acciughe.
Infine una menzione speciale va all’uliata, versione “mini” della puccia nel cui impasto si incorporano anche olio, olive nere e peperoncino. Purtroppo per quest’anno ci siamo persi per un soffio la sagra che le viene dedicata ogni estate a Caprarica di Lecce, la Festa te la Uliata che quest’anno si è tenuta dal 27 al 30 luglio. Segnatevela per il prossimo anno.
Calzone barese
Il nostro documentario del 1967 ci segnala questa specialità dalla provincia di Bari. Il calzone ormai lo troviamo un po’ dappertutto, specialmente nelle rosticcerie un po’ vintage e dalla spessa patina di unto che ve lo vendono come pane-pizza fritto o al forno e strabordante di pomodoro e mozzarella.
Ecco, dimenticatevi questa triste immagine: nella tradizione barese il calzone è un timballo di pasta lievitata fatta a mano e riempita con olive nere, alici, cipolla fritta, uva passa e ricotta forte. Quest’ultimo ingrediente è per noi particolarmente interessante: in dialetto ricotta scuanta o aschquànd, è un latticino fermentato spalmabile dalla consistenza cremosa e dal sapore spiccatamente piccante e amarognolo.
In proposito il documentario racconta: “In Puglia affermano che è ricostituente. I turisti che vengono in Puglia la trovano o terrificante o deliziosa: questi ultimi sono perduti. Invano la cercheranno nei loro Paesi di risotti o di bolliti”. Un “dissing” da maestro che disintegra in due parole le cucine più settentrionali: Puglia 1 – Nord 0
Fav e fogghie
Lo abbiamo detto subito: in Puglia le verdure vanno fortissimo. E non stiamo parlando di verdure qualunque, ma di quegli ortaggi a foglia verde e dal gusto amaro che in genere fanno benissimo e che costituiscono la base della vera dieta mediterranea. Altro che il trittico pomodori-peperoni-melanzane, importati rispettivamente da America e Asia ed entrati prepotentemente nell’alimentazione italiana da molti meno secoli! Fav e fogghie non sono altro che la traduzione di fave e foglie, più precisamente cicorie: questo piatto tipico lo trovate anche nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Puglia. Le fave decorticate e ammollate vengono cotte e frullate; a questa cremosa purea si accompagnano le cicorie selvatiche saltate in padella con aglio, olio e peperoncino.
Ciceri e tria
Questa ricetta tipica salentina ha una doppia etimologia. Da una parte ciceri, che in latino significa ceci; dall’altra tria, che deriva dall’arabo itriya e che indica la pasta. Un piatto che sa di Vicino Oriente e che sembra risalga al periodo in cui gli Arabi dominavano sul territorio.
Ciceri e tria è la versione pugliese della pasta e ceci, piatto dall’alto apporto proteico per complementarietà (tra cereali e legumi) e quindi portata sostanziosa per le classi meno abbienti che la carne se la sognavano. L’apporto originale di questa ricetta sta nella consistenza: circa un terzo della pasta infatti non viene bollito ma fritto, regalando sensazioni croccanti tra un boccone e l’altro. Bravi Arabi e salentini per questa collaborazione gastronomica interessante e originale.
Orecchiette
Giungiamo dritti al cuore dei primi piatti con questo autentico emblema della cucina pugliese. Originarie di Bari, le orecchiette sono un tipo di pasta casareccia di semola che viene chiamata in dialetto l’strasc’nat. Il motivo ce lo spiegava già nel 1967 il nostro sempre solerte narratore: “Da questa pasta si ricavano lunghi e sottili rotoli che vengono poi tagliati nella giusta proporzione. Quindi le donne, con un gesto apparentemente semplice, e invece di una precisione che solo con una lunga pratica si può acquistare, incavano a conchiglia questa pasta con un colpo di pollice”. La pasta viene quindi “trascinata” sul tavolo e poi fatta seccare al sole.
Il condimento per antonomasia delle orecchiette sono le cime di rapa, fatte saltare con olio, sale e filetti di acciuga (qui la nostra ricetta); a Bari si trova anche la versione con le cime di cola, il cavolfiore verde pugliese. Altri sughi classici sono il carnivoro ragù di brasciole, involtini di cavallo o vitello; e il vegetariano pomodorini e ricotta marzotica, un tipo di ricotta salata fatta maturare in cestelli di giunco di forma tronco-conica, e dal profumo tipicamente salmastro.
Tiella barese
Rimaniamo nei dintorni di Bari per assaggiare questo piatto unico. La tiella barese prende il nome dal contenitore in cui vengono posti riso, patate e cozze pronti per essere infornati. Nella taieddha, il tegame di terracotta dal diametro di circa 25 cm, vengono incorporati anche pomodori, cipolla, aglio, prezzemolo e pangrattato (perché con la crosticina è tutto più buono). Non vi diciamo niente di più: abbiamo già pronta la ricetta perfetta.
Frittata di lampascioni
Il lampascione è una pianta erbacea e prettamente selvatica della macchia mediterranea pugliese. “I lampascioni si rifiutano di essere coltivati: nascono tra le pietre queste piccole cipolle che non hanno affatto il sapore di cipolle. Sono amarognoli e dolciastri allo stesso tempo: non accettano altro condimento che l’olio di Puglia e il pepe”. Il nostro amico narratore ci ha già spoilerato tutto: i bulbi del lampascione crescono circa 20 cm sotto terra e sono simili a delle cipolline, dal sapore decisamente più amaro che può essere in parte eliminato con l’ammollo prolungato in acqua.
Il loro profilo aromatico importante chiama per forza di cose preparazioni semplici: di solito sono saltati in padella interi, messi sott’olio o sotto la cenere. L’unico altro ingrediente che tollerano sono le uova: ecco quindi la frittata di lampascioni, piatto tipico della primavera-estate pugliese. Per realizzarla i bulbi vengono incisi più volte perpendicolarmente, di modo che una volta messi a stufare si schiudano come piccoli fiori e possano essere schiacciati: quando sono praticamente pronti, si aggiungono le uova sbattute. Il sapore un po’ “complicato” potrà non piacere a tutti, ma quando si tratta di esperimenti culinari chi siamo noi per tirarci indietro?
Cozze arraganate
Andiamo a respirare un po’ di brezza marina a Taranto, non tanto per la paternità della ricetta, quanto per la provenienza della materia prima. La cozza tarantina è allevata da secoli nella laguna di Taranto chiamata Mar Piccolo, zona ideale per far proliferare questo mitile carnoso grazie alle numerose correnti di acqua dolce (citri) che si mescolano a quella salata del mare.
Questi esemplari sono piccoli, carnosi e dolci, dal colore bianco-rosato: ci troviamo tutti d’accordo su quanto ci starebbero bene con riso e patate nella tiella o in una bella impepata. Qui vi segnaliamo le cozze arraganate, specialità pugliese che indica le cozze ripiene e gratinate al forno. Per prepararle occorre pulirle, aprirle a metà e riempirle con uovo, prezzemolo e formaggio; infine si cospargono di olio, aglio e pangrattato e si infornano per pochi minuti.
Gnumariedd
“Gli gnumariedd sono il piatto forte: involtini di intestini di vitello o agnello da leccarsi le dita…e da bruciarsele”. Inizia e finisce così l’intervento del documentario sugli gnumariedd. Questi piccoli involtini di interiora (fegato, polmone, milza) vengono tagliati a piccoli pezzi e avvolti nelle budella di vitello o agnello: possono essere cucinati alla griglia, in umido con pomodoro e alloro e al forno con patate. Attenti a non scottarvi!
Bombette
Forse la zona più visitata della Puglia dopo il richiamo de lu sole, lu mare, lu ientu del Salento (prima o poi lo dovevamo dire), la Valle d’Itria è famosa per i suoi paesaggi rurali su cui si ergono trulli e masserie. Non solo: quello che più ci attira in questa zona è lo street food esplosivo tipico dei comuni di Martina Franca, Cisternino e Locorotondo. Stiamo parlando della bombetta, l’involtino di capocollo di maiale dal cuore filante di formaggio, a scelta tra caciocavallo podolico o canestrato pugliese.
Il formaggio tagliato a cubetti viene posto nelle fettine di carne sottili in modo da sigillarle: dopo la cottura sulla brace, le bombette saranno pronte per sganciare tutto il loro ripieno delicato e incandescente. Vi lasciamo la ricetta (a prova di bombetta ovviamente) e il consiglio di berci su un bel calice di Gioia del Colle Doc, il rosso a base di primitivo.
Pasticciotto
Torniamo a Lecce per far la festa alle nostre papille gustative con questo dolce che ha fatto ormai il giro del mondo e ne ha viste di tutti i colori. Il pasticciotto è un ricco cofanetto di bontà da colazione: si tratta di un tortino ovale di pasta frolla ripieno di crema pasticcera.
Le origini di questo dolce si fanno risalire ai più antichi ricettari italiani del Cinquecento ma, visto il significato molto vago che viene di solito dato al termine pasticcio e suoi derivati, siamo sicuri che ci si riferisse proprio a questa ricetta? Se proprio dobbiamo credere a una leggenda, allora scegliamo quella secondo cui venne inventato per caso nel 1745 da Nicola Ascalone, pasticcere di Galatina. Rimasto senza abbastanza impasto per una torta, costui decise comunque di cuocere il poco che aveva in un recipiente più piccolo: il pasticciotto da asporto ebbe successo immediato e imperituro, tanto che la storica pasticceria è rimasta in piedi fino ai giorni nostri. Andateci per verificare se la leggenda è vera e per affondare i denti nel suo golosissimo prodotto di punta.
Cartellate
Non ve le auguriamo sui denti, anzi sì: perché le cartellate in questione si mangiano molto volentieri, soprattutto a Natale. Queste sfoglie di pasta fritta a base di farina, olio e vino bianco vengono arrangiate in una forma molto particolare: c’è chi dice che stia a rappresentare l’aureola di Gesù Bambino, chi la corona di spine del Gesù in croce. Il significato evidentemente religioso si scontra con il profanissimo peccato di gola, che alla vista di questo dolce croccante e cosparso di miele, vincotto, spezie e mandorle, si scatena in modo decisamente irresistibile.
Sasanello gravinese
A prima vista questo biscottone scuro non ci dice niente di che. Poi lo assaggiamo. Il sasanello gravinese è il classico brutto-ma-buono (persino vegano, pensate un po’) tipico di Gravina di Puglia e di tutta la Murgia pugliese. L’impasto di questo dolce casereccio è a base di farina, zucchero, vincotto di fichi, olio, buccia di arancia, cannella, chiodi di garofano e cacao. Soffice e speziato è un dolce non stucchevole, quindi pericoloso: senza accorgervene potreste divorarne una teglia intera.
Biscotto di Ceglie
Finiamo questa avventura pugliese con un prodotto che è anche Presidio Slow Food. Il biscotto di Ceglie è il dolce tipico di Ceglie Messapica, in dialetto pisquett’l: si tratta di un biscottino ripieno a base di farina di mandorle da varietà autoctone (Sepp D’Amic, Spappacarnale, Sciacallo, Zia Pasqua, Gianfreda, Mingunna) che, purtroppo, sono a rischio di estinzione. Maledetti californiani. Torniamo a noi: le mandorle vengono in parte tostate, finemente tritate e impastate a mano con zucchero, miele, limone, rosolio di agrumi e uova. Si formano così delle strisce di pasta su cui viene posta la marmellata di ciliegie o uva, entrambe rigorosamente da cultivar locali. L’impasto viene arrotolato su se stesso in modo da formare dei piccoli cubetti dal cuore di frutta: cotti in forno, possono eventualmente essere inzuppati in una glassa di zucchero e cacao.