Prima o poi si doveva arrivare a una resa dei conti. Dopo la nostra incursione in terra spagnola, prosegue il nostro viaggio alla scoperta della cucina europea. Prossima fermata: le regioni francesi, con la loro gastronomia. Ovvero i piatti tipici francesi per comprendere la sua cultura culinaria.
Nostra personalissima eterna rivale, specialmente nel campo delle C – Calcio (meglio soprassedere), Cinema (no comment), e quello che qui ci sta più a cuore, il Cibo (affiancato da una enorme V di Vino) –, la Francia e la sua cucina scatenano in noi italiani emozioni contrastanti. Se ce la prendiamo tanto a cuore però, si vede che l’argomento scotta e noi, naturalmente, non ci tiriamo indietro quando il gioco culinario si fa duro. Dunque mettetevi comodi: mesdames et messieurs, è arrivato finalmente il momento di addentrarci nelle fila della ricchissima cucina francese, dal 2010 fra i Patrimoni Immateriali dell’Umanità secondo l’Unesco con sede a Parigi (okay okay, è un riconoscimento meritato).
Partiremo dal nord-ovest bretone per giungere fino ai cancelli di casa nostra, giusto una manciata di miglia sopra la Sardegna, per offrirvi una panoramica culinaria della più vasta nazione dell’Unione Europea.
Eccola, attraverso 13 piatti tipici francesi corrispondenti alle sue –relativamente di nuova formazione – 13 regioni amministrative. Pronti, partenza, on y va!
Galette de sarrasin (Bretagna)
Una regione che solo nel nome rievoca non una, ma ben due relazioni problematiche. La prima è un po’ colpa nostra, anzi dei nostri progenitori: i Romani conquistarono la Bretagna intorno all’anno 50 AC, durante la campagna gallica condotta da Giulio Cesare (Gallia est omnis divisa in partes tres ci ricorda qualcosa in effetti). Il nome Britannia deriva dall’isola più grande verso cui la penisola francese si protende, la Gran Bretagna appunto, anch’essa provincia romana.
L’altra relazione problematica, stavolta sul piano economico e politico, è proprio tra i francesi e i loro antichi cugini inglesi: i primi chiamano i secondi les rosbifs, termine poco dignitoso per designare i “mangiatori di roast-beef”. Gli inglesi, che non si fanno sfuggire l’occasione per sfoggiare lo humour che li contraddistingue, ricambiano con un simpatico (ma neanche troppo) froggies: tenetevi le rane che noi andiamo benissimo di birra e bistecca. Insomma, noi ce la mettiamo tutta per parlare di argomenti che esulino dal cibo, ma se questo torna sempre prepotentemente, anche nelle situazioni più impensabili, non possiamo farci niente.
Torniamo a noi e al piatto tipico locale, la galette de sarrasin. Variante regionale salata della crêpe bretonne (l’altra famosissima specialità nativa che con questo nome designa esclusivamente una preparazione dolce), è una crespella di grano saraceno che viene cotta nella tuile, una padella di ferro apposita utilizzata in Bretagna dal XV secolo. L’impasto della galette è un semplicissimo mix di farina di grano saraceno, acqua e sale che viene versato nella tuile molto calda e ben imburrata. In origine questa crespella veniva consumata così com’era, addirittura sbriciolata nel sidro o nel latte come una specie di porridge. Oggi la troverete farcita con i più svariati ingredienti: provatela in stile continental breakfast con formaggio sbriciolato, uovo e prosciutto, a maggior ragione per fare un dispetto a quegli incorreggibili isolani inglesi.
Coquilles Saint-Jacques à la crème (Normandia)
Quando si pensa alla ricchezza gastronomica della Normandia, regione affacciata sulla Manica e storicamente imparentata con i reali inglesi che stanno dall’altra parte, non sorprende che i normanni nel corso dei secoli siano arrivati in così tanti posti diversi. Oltre alla Gran Bretagna, si sono insediati in Irlanda, Spagna, Terra Santa e naturalmente a casa nostra, istituendo il Regno di Sicilia. Cosa mangiano dunque questi normanni per essere così vigorosi e pieni di spirito di conquista?
La terra estremamente fertile della Normandia favorisce il pascolo delle razze bovine autoctone, la normanna e la jersey. Dal loro latte si ricavano gli oltremodo inflazionati burro e panna, oltre al celeberrimo Camembert de Normandie AOC, protetto da denominazione geografica. L’altra grande ricchezza è costituita dai frutteti, con una grande biodiversità di pere e soprattutto mele da cui si ricavano sidro e Calvados. Infine una menzione onoraria va ai frutti di mare, fra cui spiccano ostriche, cozze e capesante che contraddistinguono i menu di quasi tutti i bistrot e ristoranti affacciati sulla costa.
Le coquilles Saint-Jacques à la crème sono il tentativo ben riuscito di mettere insieme tutti gli elementi strutturali del paniere normanno. Le capesante rosolate nel burro sono servite nelle loro bellissime conchiglie e condite con una specie di besciamella a base di crème frâiche, farina e un goccio di Calvados. Gustatele a Granville, comune costiero specializzato nella pesca di questi prelibatissimi frutti di mare che si sciolgono in bocca, e accompagnatele se volete con un bicchierino di acquavite di mele.
Flamiche aux maroilles (Hauts de France)
Come suggerisce il nome, Hauts de France è l’agglomerato regionale più settentrionale della Francia. La geografia e la storia hanno determinato in modo radicale le preferenze gastronomiche degli Ch’tis, gli abitanti della zona chiamati così per il loro singolarissimo dialetto incomprensibile ai più (un po’ come il bergamasco de’ noantri per intenderci). Da una parte c’è la vicinanza fisica con il Belgio e con la zona delle Fiandre sul versante est della regione, da cui deriva una cultura della birra (sia come bevanda, sia come ingrediente) che nella Francia del vino è, insieme all’Alsazia, praticamente un caso più unico che raro. Dall’altra è la storia economica e sociale a metterci lo zampino: la presenza del carbone in questi territori ha scatenato l’industria mineraria, che nel XIX e XX secolo ha visto l’immigrazione di moltissimi lavoratori, soprattutto dall’Europa orientale. Dalla loro presenza derivano molti piatti tipici d’ispirazione polacca.
Una cucina di burro e di birra dunque, e non lo diciamo solo per la gioia dei fan di Harry Potter che aspettano ancora di farsi un boccale ai Tre Manici di Scopa. I prodotti tipici che troviamo ricordano molto la lista da imparare a memoria alle medie per la lezione di geografia: patate, barbabietola da zucchero, indivia, aringhe, cicoria, coniglio. Il piatto tipico di cui vogliamo parlare qui però vede il formaggio come protagonista: il maroilles è una Denominazione di Origine Protetta a base di latte vaccino. Ha pasta molle e crosta lavata e si sposa benissimo con la flamiche, la torta salata a pasta lievitata tipica della regione. Pare che, disposto a pezzi con la crosta sulla superficie della torta, spennellato con tuorlo d’uovo e messo in forno, faccia una crosticina da paura.
Croque monsieur (Île de France)
Parigi è la capitale. Punto. Che si parli di Francia, moda o gastronomia rimane sempre lei, sfavillante e sui tacchi a dettare legge in materia. Tutto quello che viene coltivato o allevato nell’Île de France prima o poi finisce qui e, vista la fertilità del terreno, si tratta di tanta roba (in tutti i sensi). D’altronde, se la regione si chiama “isola di Francia” una ragione c’è: l’intera area è delimitata dai fiumi Oise, Marna, Aisne, Yonne ed Eure e in più è attraversata dalla Senna. Un territorio ricco dunque, la cui abbondanza si riflette sulla grande varietà di frutta e ortaggi: gli asparagi di Argenteuil, le ciliegie di Montmorency, le pesche di Montreuil, gli champignons di Parigi sono solo alcune delle specialità da cornucopia che potete trovare nei dintorni. Altri prodotti elaborati qui sono diventati talmente pop che li potete trovare pure nel supermercato sotto casa, ad esempio il Brie o il Grand Marnier.
Insomma lo abbiamo capito, lanciare le tendenze in campo culinario è una categoria in cui Parigi si è sempre lanciata e la sua stella brilla da parecchio tempo. Il croque monsieur fa parte di questo firmamento: essenzialmente un toast ripieno di formaggio e prosciutto, questo sandwich iconico parigino venne inventato nel 1910 e ancora oggi rimane uno dei piatti imperdibili della Ville Lumière. Se pensiamo agli influencers catapultati indietro ai primi del Novecento, possiamo immaginarci questi signori ben vestiti, con tanto di baffi e cappello, che si affannano dietro al dagherrotipo per tentare di fotografare il croque monsieur al Boulevard des Capucines prima che diventi freddo. Impresa impossibile, meglio aspettare l’avvento di Instagram.
Flammenkueche (Grand Est)
Purtroppo è successo. Avremmo voluto occuparci separatamente di due delle più grandi espressioni del vino francese per avere il tempo di focalizzarci su ciascuna di esse e invece niente, ce le troviamo accorpate in un’unica regione e dobbiamo adeguarci di conseguenza. Partiamo dall’Alsazia: terra di bianchi aromatici da evoluzione, i profumi non li troviamo soltanto nei calici di Gewürztraminer, Pinot Grigio, Riesling e Moscato (i quattro vitigni “nobili” del vigneto alsaziano). Il panorama dei piccoli villaggi dispersi tra le vigne è infatti un tripudio di fiori che orna le casette stile tedesco – siamo al confine con Germania e Svizzera – in un sogno technicolor che ci ricorda tanto scenografie da Biancaneve e i Sette Nani. Di questa vicinanza teutonica risente anche la cucina: ingredienti come birra, cavolo e formaggio costituiscono la base di molti piatti tipici che, anche nel nome, di francese hanno ben poco.
La Champagne, almeno sul piano vitivinicolo, non ha bisogno di molte presentazioni: emblema della bollicina festiva e del metodo di spumantizzazione che la contraddistingue, è conosciuta in tutto il mondo grazie a quei due-tre marchi storici che ormai sono quasi sinonimo di notte brava in discoteca. Eppure c’è di più: ad esempio una miriade di piccoli vignerons che non fanno certo numeri da industria e che lavorano la terra in modo rispettoso, sull’onda della riscoperta biologica e biodinamica. Sorprendentemente le loro bottiglie costano molto meno di quello che ci si può immaginare: se ci capitate probabilmente saranno lieti di offrirvi una degustazione non solo di vino ma anche di cucina tipica, campagnola come il nome che in fondo designa questa regione.
Uova, patate, salsiccia e legumi si accompagnano a un bel calice di Champagne che sgrassa tutto e alleggerisce anima e digestione.
Dunque il piatto tipico: dura con questa varietà, ma se vogliamo mantenerci sul popolare e poco costoso ci dirigiamo in Alsazia e ordiniamo una bella flammenkueche. Possiamo provare timidamente a definirla pizza alsaziana mentre ci cospargiamo il capo di cenere: la base di farina, lievito, acqua, sale, olio (e fin qui ci siamo) viene condita con qualunque cosa e non è raro trovare almeno due pagine di menu unicamente dedicate ai toppings della flammenkueche. La variante più tipica è condita con crème frâiche, formaggio, cipolla e lardo o pancetta che viene cotta in forno e di solito servita come antipasto.
Oeufs en meurette (Borgogna – Franche-Comté)
Proseguiamo il viaggio attraverso il vigneto francese con la Borgogna, regione che (ci scuserete) fa uscire senza ritegno la nostra vena poetica. Disegnata dai dolci pendii il cui terreno nasconde un tesoro di inestimabile valore, la Borgogna è forse il luogo in cui la geomorfologia più di ogni altro elemento definisce la qualità del vino. Una zona dai suoli così biodiversi che ogni parcella, definita climat, dà un vino marcatamente espressivo e unico nel suo genere. Le dorsali delle côtes impiantate a vigneto definiscono il paesaggio: la più famosa è senza dubbio la Côte d’Or, regno incontrastato del Pinot nero più caro del mondo, in particolare se proveniente dalla zona settentrionale della Côte de Nuits. L’altro elegantissimo gigante della produzione è lo Chardonnay, celebrato nei villaggi di Chablis e Puligny-Montrachet.
Il vino in Borgogna è protagonista anche in cucina, ingrediente distintivo di molti piatti tipici, alcuni fra i quali non si sono fermati entro i confini regionali ma sono diventati must nazionali per antonomasia. Due esempi emblematici sono il boeuf bourguignon e il coq au vin nelle cui preparazioni è fondamentale un bel bicchiere di rosso strutturato. Qui vogliamo segnalarvi gli oeufs en meurette, piatto tradizionale borgognone di uova in camicia in salsa meurette a base di vino rosso, pancetta, cipolle e scalogni fatti rosolare nel burro. Dimenticate le posate: il piatto, dalla consistenza morbida e cremosa, chiama inevitabilmente la scarpetta di pane casereccio (mano destra) e il calice di Pinot nero (mano sinistra). Avete le istruzioni, applicatevi!
Tarte Tatin (Centre – Val de Loire)
Se il tentativo di individuare un riferimento culinario per il Grand Est era un compito arduo, la ricerca del piatto tipico all’interno del vasto Centre lo è ancora di più. Già il nome dice tutto e niente: un mappazzone geografico e amministrativo che accorpa le regioni storiche di Berry, Orléans e Touraine e, non contento, si appropria pure di un pezzo di Loira. In termini gastronomici, una deflagrazione. Questo mostro di Frankenstein regionale attraversato da fiumi e foreste è ricchissimo di prelibatezze gastronomiche: fra i prodotti tipici citiamo la rillette di Tours, un insaccato spalmabile, la lenticchia verde di Berry e la géline della Touraine, una razza di pollo dal piumaggio nero.
Noi giochiamo di strategia e ne approfittiamo per raccontare la storia di una ricetta oscura, nata per sbaglio o per puro calcolo consapevole, chi lo sa. Fine Ottocento, interno cucina dell’hotel Tatin, gestito dalle sorelle Stéphanie e Caroline nel villaggio di Lamotte-Beuvron a circa 30 km da Orléans. Stéphanie sforna una torta di mele cucinata al contrario, la frutta caramellata posta sul fondo dello stampo e la pasta brisée sopra: non sapremo mai il perché. Fatto sta che la torta capovolta ha un successo incredibile e diventa uno dei classici della pasticceria francese. La storia della tarte Tatin potrebbe anche essere completamente inventata, una mera operazione di marketing d’altri tempi a cura del gastronomo Curnonsky che, guarda caso, sdoganò il dessert a Parigi negli anni Venti: a voi la scelta se crederci oppure no. Oggi a noi rimane la sostanza di una torta piacevolmente caramellata e appiccicosa che fa sempre la sua bella figura. Anche con le pesche, potete scommetterci.
Fouée (Pays de la Loire)
Ci spostiamo di nuovo ad ovest sull’Atlantico per visitare questa splendida regione caratterizzata dallo scorrere del fiume Loira, su cui si affacciano castelli fiabeschi. La Valle della Loira ha una gastronomia molto diversificata che possiamo analizzare partendo dalle sue coste ventose ritirandoci gradualmente verso l’entroterra. Troviamo quindi pesce azzurro, soprattutto sardine grigliate a Saint-Gilles e le deliziose chaudrées di Vendée, zuppe di pesciolini poveri che rinfrancano lo spirito (specialmente con un bel bicchiere di Muscadet). L’oceano ci regala anche l’alga salicornia (“l’insalata di mare”) e alcuni tipi di sale particolarmente ricchi di oligoelementi, come il sel de Guerande e de Noirmoutier. Seguendo il corso della Loira ci imbattiamo nelle preparazioni a base di pesci d’acqua dolce, soprattutto anguille e luccioperca. Poi la selvaggina volatile e gli insaccati: a Mans rillettes e boudins blancs; nell’Anjou rillauds, andouillettes e gogues (al vostro colesterolo basterà sapere che si tratta di preparazioni a base di sangue e grasso di maiale, i dettagli ve li risparmiamo).
In tutto ciò anche il vino gioca un ruolo di primo piano visto che la Valle della Loira è (tanto per cambiare) uno dei maggiori bacini di produzione di bianchi. Una carrellata giusto per capirci: lo Chenin blanc è il vitigno del momento, tendenza gastrofighetta da qui ai bar à vins naturels di New York. Tenetelo d’occhio. Il Sauvignon blanc della Loira regala emozioni con i celeberrimi (e costosi) Sancerre e Pouilly Fumé. Completano il quadro Muscadet, compagno di merende di crostacei e frutti di mare, Cabernet Franc e Gamay, i due rossi soli soletti nel panorama bianco locale.
Di fronte a tanta abbondanza e diversità abbiamo deciso di orientarci verso uno snack molto semplice, tipico delle regioni più interne dei Pays de la Loire. La fouée, provate a pronunciarla, è proprio quello che sembra: una focaccina ripiena tipica dell’Anjou, la cui ricetta viene descritta nientedimeno che da Rabelais nel suo “Gargantua e Pantagruele”. Derivata dagli avanzi della pasta di pane, questa pagnottina gonfia può essere imbottita da qualunque ingrediente. Se siete nei paraggi vi consigliamo dei pâte di carne come rillette o grillon, per i vegetariani buttatevi sulle mogettes, i fagioli bianchi di Vendée.
Canelé (Nouvelle Aquitaine)
Siamo di fronte a un’altra mega regione, la cui gastronomia è figlia di almeno sei tradizioni diverse: quella guascona, basca, di Guienna, del Limousin, del Périgord e della Charente. La Nouvelle Aquitaine è a ben vedere la regione amministrativa più estesa della Francia attuale, con una lunghissima costa atlantica, i Pirenei a sud e e il cuore rosso e liquido di Bordeaux al centro. Tra i numerosissimi prodotti vanno assolutamente menzionati i foie gras di anatra e oca, i tartufi del Périgord, le vacche del Limousin e il maiale nero della Guascogna.
Se prendiamo in considerazione “solo” la capitale Bordeaux vediamo che si apre un capitolo a parte in cui vanno considerate storia, economia, politica e agricoltura. Noi ci limitiamo al vino naturalmente, frutto di assemblaggio di uve rosse (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot) la cui qualità si misura con il prestigio degli châteaux. Poi se vogliamo finire in dolcezza c’è sempre il Sauternes, il prezioso muffato che sembra oro liquido ottenuto da uve Sémillon e Sauvignon blanc.
Dopo questo giro di bevute importanti può essere che ci venga un languorino: possiamo allora contare sul dolce tipico del bordolese, il canelé. Questo piccolo cilindro di pasta striata (l’altezza si aggira intorno ai 5 cm) è il pasticcino aromatizzato al rum e vaniglia dalla superficie delicatamente caramellata e il morbido ripieno di crema pasticciera. Nel solito dibattito circa l’origine, la leggenda, le indiscrezioni, come al solito se ne dicono di tutti i colori. L’unica cosa certa ce la dimostrano gli ingredienti, frutto delle importazioni dalle colonie della France d’outre-mer. Un pasticcino internazionale, speziato al punto giusto, da consumare (se riuscite) con moderazione.
Aligot (Auvergne – Rhône – Alpes)
Ci basta attraversare il traforo del Monte Bianco per essere catapultati nel paesaggio montano che caratterizza l’Auvergne – Rhône – Alpes . Delimitata dall’arco alpino, attraversata dal Massiccio Centrale e scavata dalla valle del Rodano, questa regione offre paesaggi mozzafiato, paradiso per escursionisti e sciatori. La cucina è perfetta per chi deve bruciare tante calorie: tipicamente montana, è caratterizzata da appetitosi insaccati, zuppe di formaggio, torte di patate e corposi stufati di legumi – da non perdere le lenticchie verdi di Puy a denominazione di origine protetta – che accompagnano le carni.
Trekking e alta quota stimolano l’appetito più delle acque termali di Vichy. Per fortuna a placare la fame ci pensa l’aligot, piatto dei viandanti che attraversavano le montagne per continuare il loro cammino sulla Via Podensis, uno dei quattro percorsi francesi che conduce i pellegrini a Santiago de Compostela. Questa specialità dalla consistenza piacevolmente filante è fatta di purè di patate, toma fresca, burro e aglio che spesso viene accompagnata da una salsiccia: d’altronde come si fa senza contorno? L’origine dell’aligot offre un’ulteriore riflessione sul suo legame con la religione: sembra sia il frutto del sinodo fra tre vescovi, ognuno dei quali portò l’ingrediente tipico della propria diocesi, ovvero pane dall’Haut Pays d’Auvergne, crema di latte da Gévaudan e formaggio da Rouergue. Un’alleanza che possiamo considerare saldamente cementata dalla densità elastica di questo piatto tipico.
Cassoulet (Occitania)
Giungiamo finalmente alle coste mediterranee con questa regione che contiene in sé la Languedoc-Roussillon e la zona del Midi-Pyrenées. L’identità culturale qui non tiene conto dei confini politici: le popolazioni occitane, con i loro usi e costumi e soprattutto la lingua, evoluzione dell’occitano antico o lingua d’oc, sono sparpagliate intorno a tutta l’area mediterranea. Li troviamo in Val di Susa, Provenza, Rodano, Alta Loira, Aquitania, Liguria, Guascogna, Pirenei, addirittura a Guardia Piemontese, un paesino di duemila anime in provincia di Cosenza. Cosa succede quando gli occitani con il loro carnevale, le danze sfrenate collettive e i canti folkloristici si incontrano con i catalani, che di certo non si tirano indietro quando si tratta di far festa? Secondo noi si divertono un casino (alla faccia dei francesi) e sicuramente ne approfittano per farsi delle belle mangiate insieme.
La cucina riflette la diversità di tradizioni e ambienti: ingredienti tipicamente costieri come baccalà, sardine e olio d’oliva si alternano a prodotti dell’entroterra quali castagne, mele renette e riso. Per questa vasta regione abbiamo scelto una via di mezzo: il cassoulet è il piatto tipico della Languedoc-Roussillon, uno stufato di fagioli e salsiccia cucinato e servito nella casseruola di terracotta.
A Tarn, dipartimento al centro dell’Occitania, esiste una variante chiamata cassoulet de morue, che consiste in una preparazione praticamente identica che però sostituisce la carne con il baccalà. Piatto di magro rimedia all’ardua responsabilità di non scontentare nessuno.
Bouillabaisse (Provence – Alpes – Côte d’Azur)
In Italia abbiamo la Dolce Vita; in Provenza, ammettiamolo, hanno la Bella Vita. Sia che vi rechiate in Costa Azzurra sullo yacht, sia che decidiate di esplorare i vigneti spazzati dalla forza del Mistral, troverete che il paesaggio color pastello dei nostri vicini provenzali ha un effetto di pace dei sensi che raramente si trova altrove. La cucina è tipicamente mediterranea e se vi piacciono i colori nel piatto avrete l’imbarazzo della scelta. Fra i pani tipici ricordiamo la fougasse e la pissaladière nizzarda, entrambe simili alla nostra focaccia, che potete generosamente spalmare di tapenade di olive nere o accompagnare alla salade niçoise. Tra gli ortaggi spicca la melanzana, protagonista della bohémienne (melanzana e pomodori stufati), il caviar d’aubergine (melanzane ripiene), il papeton d’aubergine (piatto tipico di Avignone a base di uova e melanzane) e la celeberrima ratatouille. Poi la panisse e la socca, varianti della nostra farinata, le olive, i cereali antichi come il petit épeautre o piccolo farro, le carni di agnello e di toro della Camargue…potremmo continuare all’infinito.
Ci fermiamo con la fantasia e con la salivazione a mille per concentrarci sulla bouillabaisse, la zuppa di pesce tipica marsigliese servita in due tempi. Il pescato di scoglio si fa bollire a lungo in acqua, vino bianco, aglio, olio e zafferano: una volta cotto viene separato dal liquido. Si serve prima la zuppa accompagnata da crostini di pane, patate bollite e rouille, una sorta di maionese provenzale a base di fegato di rana pescatrice, pomodoro, patate, aglio, olio e tuorlo d’uovo pestati insieme; poi è la volta del pesce. Buona da soli, ottima in compagnia, divina con un rosato provenzale come si deve.
Migliacciu (Corsica)
Terminiamo questo lungo viaggio praticamente a casa nostra. La Corsica se ne sta lì, un po’ ambigua tra Piemonte e Sardegna, forse in crisi d’identità con una lingua e una cultura che non assomiglia né alla patria francese né ai vicini italiani. Timida e tranquilla perla del Tirreno ha poche città, molte montagne e moltissime pecore: d’altro canto circa un quarto dell’intero territorio è costituito dal Parco naturale regionale della Corsica, istituito nel 1972.
La cucina è estremamente semplice e l’alimento di base è stato per secoli la castagna, introdotta dalla dominazione della Repubblica Marinara di Genova. I formaggi ovini sono altrettanto importanti, mentre negli ultimi anni i salumi di maiale corso hanno acquistato una notorietà senza precedenti, merito delle castagne che costituiscono il nutrimento principale dei suini locali, imparentati con i cinghiali selvatici. Completano il quadro olio e vino, giusto per fugare ogni dubbio sul fatto che ci troviamo in pieno Mediterraneo.
Il migliacciu è la preparazione tipica con cui aprire il vostro pranzo in Corsica. Si tratta di una specie di pasta lievitata impastata con siero di latte e formaggio che viene divisa in forme rotonde e spennellata con uova e latte. Dopo averli fatti riposare, i dischi di pasta si adagiano su foglie di castagno e si cuociono nel forno a legna. Alla fine il nostro migliacciu assomiglierà a una confortevole nuvola di carboidrati soffice e cremosa che aspetta solo di essere baciata (alla francese, ça va sans dire).