I 19 piatti tipici della cucina filippina

Dolce, acido, salato. La cucina filippina si delinea tra i contrasti di sapori e di culture. Abbiamo provato a riassumerla attraverso i suoi 19 piatti tipici imprescindibili.

I 19 piatti tipici della cucina filippina

Ci sono pochi posti al mondo come le Filippine, la cui identità è stata pesantemente influenzata dai popoli che l’hanno attraversata e colonizzata. Ciò vale per molti aspetti culturali, religiosi, linguistici: ma anche e soprattutto per la cucina. Dagli scambi con la Cina, alla dominazione della Spagna, fino alla prolungata presenza di basi militari statunitensi, le Filippine ne hanno assorbito ingredienti, piatti e modi di mangiare. Oltre naturalmente a una base di tecniche e produzioni native.

Come si caratterizza? Partiamo dai sapori di base che ne costituiscono il profilo organolettico: dolce, acido, salato. Quella filippina è una cucina dei contrasti, ricerca continua di bilanciamento fra questi tre sapori. Per questo molti piatti prevedono l’accostamento del salato per accentuare il dolce, dell’acido per elevare il salato, e così via. Non per niente, fra gli ingredienti che ricorrono troviamo zucchero e aceto di canna, che qui è prodotto tipico; kalamansi, una varietà di agrume simile a un piccolissimo lime; cocco e derivati, polpa olio e latte; mango e ube, tubero dal caratteristico colore viola usato soprattutto per i dolci.

Non fatevi ingannare dalle primizie “tropicali”. Il modo di mangiare filippino è molto più simile al nostro di quanto non si pensi. Innanzitutto niente bacchette, si mangia con le posate e svariati piatti sono a misura di fingerfood. Anche i pasti principali ricalcano quelli occidentali: dalla colazione, abbondante con l’immancabile kapeng (caffè) locale; alla meryenda, lo snack del pomeriggio che include dim sum dolci e salati; fino ai pulutan, una serie di mini portate stile tapas spagnole.

Alla base dell’alimentazione c’è il riso, bianco lungo oppure glutinoso usato nei dessert. Si mangiano molta carne e pesce, comprese interiora sotto forma di spiedino, zuppe e stufati. Da notare il consumo di alimenti conservati come longganisa (salsiccia dalla spagnola longaniza), kesong puti (formaggio fresco), cioccolato e caffè. Anche qui, come in Thailandia, la cucina non è esattamente vegetarian-friendly.

Così si delinea la cucina filippina, tra ingredienti e sapori asiatici e influenze occidentali. Ecco quali sono, da sisig a lumpia, sinigang, adobo, pancit e lechón.

Silog

silog

Cosa c’è di meglio di un’abbondante colazione? Silog è il suffisso-macedonia filippino che ne identifica il gruppo più diffuso. Il termine infatti è una crasi tra sinangág (riso fritto) e itlog (uovo). I piatti silog dunque di solito prevedono un tris di carne, uovo fritto e riso saltato all’aglio. Per capire di volta in volta quale carne è contemplata, basta guardare il suffisso: tapsilog con affettato; hotsilog con würstel o hot dog; longsilog con salsiccia o longganisa; tosilog con bacon o tocino.

Champorado

champorrado

Un altro classico da colazione è il champorado, porridge di riso al cacao. Questo dessert è legato a doppio filo con il messicano champurrado, e lo testimonia l’uso di tsokolate o cioccolata calda tipica filippina. Di solito la base è costituita da sticky rice e cacao, qui prevalentemente criollo. Alcune versioni rurali includono anche lacrime di Giobbe, cereale senza glutine dal caratteristico aspetto perlaceo.

Il porridge è completato da zucchero di canna e latte condensato. Attenzione perché non è finita qui: per apprezzarlo davvero, il champorado va abbinato a pesce essiccato. La tecnica per prepararlo si chiama daing o tuyo: il pescato (sardine, cefalone, rabbit fish) viene eviscerato, tagliato esattamente a metà, salato e lasciato asciugare al sole su apposite griglie di legno. Croccante, sapido e umami, questo pairing è sorprendentemente delizioso.

Kapeng

caffè-liberica

Nessuna colazione, anzi nessun pasto nelle Filippine è completo senza kapeng barako. Vale a dire, caffè. Quasi tutto di varietà locale Coffea liberia, coltivata e consumata soltanto qui soprattutto nelle provincie di Batangas e Cavite. Nella foto si nota la differenza rispetto alle enormemente più diffuse arabica e robusta: i chicchi di liberia sono più grandi e asimmetrici, caratterizzati da una punta “uncinata”. Possiedono un retrogusto speziato che ricorda i semi di anice e la noce moscata, con note erbacee di jackfruit e tostate di cioccolato e arachidi.  Secondo il costume filippino, si zucchera con muscovado dalla caratteristica dolcezza aromatica e balsamica.

La pianta del caffè è stata introdotta da monaci spagnoli a metà Settecento. Nel 1880 le Filippine erano il quarto produttore mondiale, ma l’industria è collassata un decennio più tardi a causa di un fungo che ha decimato le piantagioni. Oggi la sua produzione si attesta al 2% con produzioni sempre più piccole e difficoltose da portare avanti. Per questo motivo il caffè Barako è stato incluso nell’Arca del Gusto Slow Food.

Sisig

sisig

Dall’isola di Luzón arriva il sisig, piatto che proverbialmente non butta via niente. In questo caso ci si concentra sulla testa del maiale: orecchie, guance, muso. La parola sisig fa riferimento al modo di prepararlo, ovvero una marinatura agrodolce con kalamansi o aceto, sale, pepe. La carne viene tagliata, bollita e passata alla griglia. Una volta condita, vengono aggiunte cipolle fritte, fegatini di pollo e uovo crudo.

Il sisig è considerato una tapas tipica dell’aperitivo per accompagnare drinks e birra. Alcune varianti prevedono l’aggiunta di maionese, cotenna croccante, animelle, pancetta. Molto simile il dinakdakan, “insalata” di maiale alla griglia con condimento agrodolce e peperoncino. A differenza del sisig contiene cervello di maiale, ingrediente tradizionale che funge da emulsione e regala al piatto una consistenza cremosa.

Lumpia

involtini primavera al forno su un piatto con ciotola di salsa di soia

Gli involtini primavera filippini hanno una storia lunghissima che, ovviamente, giunge dalla Cina. Sono arrivati tra 900 e 1500 tramite gli scambi con immigrati e mercanti di lingua Hokkien. Da cui il nome, unione di lun (soffice o umido) e pia (torta o pasta). Rispetto agli spring rolls diffusi in tutto il sud-est asiatico, i lumpia filippini sono più lunghi e con una pasta più sottile. L’involucro è costituito da un semplice impasto di farina, acqua e sale che prima della cottura viene spennellato con uovo. Il ripieno può avere numerose varianti, sia salate che dolci. Eccone alcune:

  • Lumpiang Shanghai: i più diffusi con ripieno di maiale, cipolla, carota, spezie. Vengono fritti e serviti con salsa agrodolce, aceto, ketchup di pomodoro e/o banana.
  • Lumpiang gulay: in teoria corrispondono ai vegetariani con uovo e verdure, ma spesso vengono aggiunti maiale o gamberetti.
  • Dinamita: versione “esplosiva” con peperoncino intero fritto, spesso accompagnato da formaggio fresco, macinato di manzo o maiale, chorizo e/o pancetta.
  • Turón: lumpia dolci caramellati con ripieno di banana, ube o jackfruit. Vengono serviti con miele o salsa al latte condensato.
  • Daral: lumpia dolci a base di riso glutinoso, polpa e latte di cocco.

Balut

balut

Fra gli snack davvero curiosi delle Filippine c’è sicuramente il balut. Si tratta di un uovo sodo fecondato: vale a dire che al posto di albume e tuorlo, dentro ci trovate un embrione di pulcino o anatroccolo. Sorpresa! Va detto che questo street food non è così comune nell’alimentazione quotidiana, anzi possiamo dire che oggi il suo consumo è sempre meno apprezzato in quanto associato a una condizione di povertà. Tuttavia il balut ha acquisito popolarità fra i turisti come “challenge”, merito anche di programmi tv come Bizarre Foods with Andrew Zimmern.

Le uova di gallina o anatra fecondate vengono incubate per un periodo che va da 14 a 18 giorni. Per capire quando bollirle va osservato il mamatong: si tratta del momento in cui l’embrione si sposta nella parte superiore del guscio, al di sopra di albume e tuorlo. Tutto del balut può essere consumato, anche il “brodo” che lo avvolge (idealmente da succhiare prima di aprire del tutto il guscio). Nelle Filippine viene servito stile shot con sale, aceto, aglio e peperoncino. Può anche essere fritto in omelette, stufato, o usato come ripieno di torte salate.

Sinigang

Sinigang_na_Hipon

Sinigang significa “piatto stufato” e deriva direttamente dal verbo Tagalog sigang, stufare. Si tratta di una diffusissima zuppa agrodolce di pesce e/o carne in cui il sapore acido regna sovrano. I diversi ingredienti per ottenerlo ne costituiscono le differenti tipologie: il più usato è sampalok o tamarindo, ma anche aceto di canna, mango verde, kalamansi, anguria, guava. Il brodo include verdure quali pomodoro, okra, spinaci d’acqua, cipolla, melanzana. Quanto alla proteina, ci si può sbizzarrire tra pollo, manzo, maiale, gamberi, cefalone o pesce latte. Considerata la sua composizione, la sinigang viene considerata una portata unica e completa da abbinare al riso.

Pancit

Pancit

Il pancit è senza dubbio uno dei piatti di noodles più noti e variegati del Sud-est asiatico. Squisitamente fusion, il pancit unisce Cina e Spagna in un’unica preparazione. Da una parte infatti troviamo i noodles,  introdotti secoli or sono dagli immigrati e mercanti cinesi; dall’altra il metodo di cottura guisado o sauté preso in prestito dagli spagnoli. Il piatto è talmente diffuso che in filippino pancit è diventato il nome generico per indicare tutti i piatti di pasta.

Come di distinguono le diverse tipologie? La principale differenza riguarda il tipo di noodles: canton all’uovo, bihon vermicelli di riso, misua di frumento, palabok a base di amido, sotanghon cellophan, lomi stile bigoli. Ci sono poi specialità regionali (Malabon, Abra, Bato, Cabagan), metodi di cottura (in brodo o brasati), tipi di ingredienti e condimenti in combinazione tra loro. L’unica vera costante sembra essere il kalamansi, servito sempre fresco da spremere. Ecco alcune varietà tipiche:

  • Pancit palabok: noodles di riso sottili conditi con salsa ai gamberetti. I topping includono uova sode, cotenna fritta, fiocchi di pesce, cipollotto.
  • Pancit lomi: noodles freschi all’uovo molto spessi serviti in brodo di maiale o pollo. La popolare ricetta di Batangas include polpette o involtini di carne.
  • Pancit canton: più simili ai noodles cinesi, sono sempre cucinati stir-fry e conditi con un mix di salsa di soia e oyster.
  • Pancit bihon: fra gli street food più popolari, si tratta di vermicelli con carne (pollo, maiale) e verdure.
  • Pancit Malabon: tagliatelle spesse di riso ai frutti di mare e salsa di pesce.

Filipino spaghetti

Spaghetti-Filippine

Sembra un’eresia, ma qui c’è da aprire il discorso spaghetti alla “bolognese” in stile filippino. Non è un piatto “tipico” nel senso che la sua storia (se tale può definirsi) è recentissima. Ma è diventato così popolare, nelle Filippine e nel mondo, che vale la pena spiegare che cos’è e da dove arriva. Come per la nostra carbonara, la combo di ingredienti per realizzare i Filipino spaghetti è stata introdotta dagli americani. Ricordiamo che le Filippine sono state colonia statunitense dal 1898 al 1946, periodo ribattezzato come American Commonwealth.

Dire però che sono spaghetti in salsa bolognese (almeno per come è concepita in America) non basta. Perché durante la seconda guerra mondiale accade qualcosa: le razioni di pomodoro scarseggiano. Così i filippini prendono due piccioni con una fava, ovvero non rinunciare al piatto e aggiungergli pure la componente zuccherina di cui vanno ghiotti. Così nascono i Filipino spaghetti con ketchup dolce alla banana.

Vi lascio un momento per riprendere fiato. Perché adesso arriva l’iperventilazione: altri ingredienti comunissimi sono carne in scatola, brodo di funghi, latte in polvere, sciroppo, persino bevande gassate dolci. Il motivo principale del loro successo, oltre alle papille virate su sapori diametralmente opposti ai nostri? Il fast food Jollibee, colosso che propaga questo comfort food in mezzo mondo.

Kare-kare

kare-kare

Kare-kare sta per curry, in versione filippina ovviamente. La sua storia è piuttosto antica e, come ogni piatto tipico che si rispetti, ha molteplici versioni. La più accreditata sembrerebbe ricondurre il kare-kare al curry indiano, a sua volta diffuso nell’arcipelago durante la dominazione britannica. Più o meno nativo, questo stufato di carne in salsa di arachidi è annoverato fra i piatti festivi per eccellenza.

Viene tradizionalmente cotto nel palayok, la pentola di argilla che funge anche da contenitore di servizio. Il taglio più utilizzato è la coda di bue, ma possono esserci anche trippa, zampone di maiale, capra, pollo. Il collagene rilasciato dalla carne fa da base per la salsa. A questa vengono aggiunte arachidi tostate o burro di arachidi e riso glutinoso come addensanti. Un altro elemento fondamentale è l’annatto in semi, utilizzato per il colore rosso e il gusto speziato. A completare il piatto ci sono verdure (fiori di banana, fagiolini, melanzana) e la salsa di accompagnamento bagoong o pasta di gamberetti.

Mechado

kaldereta

Gli stufati con salsa di pomodoro sono una novità rispetto agli usi indigeni. Il pomodoro infatti è arrivato con gli spagnoli, e ancora oggi costituisce l’ossatura di molti piatti tipici. Fra cui il mechado, una sorta di brasato di manzo lardellato. Il nome deriva dallo spagnolo mechar o farcire, dall’uso di inserire pezzi di grasso di maiale nelle fette di carne.

I filippini però non si sono limitati a prendere la ricetta: la hanno resa signature con tocchi squisitamente locali. Gli ingredienti chiave per realizzarlo infatti sono salsa di soia e kalamansi, che insieme al pepe costituiscono la base della marinatura. Dopo averle lardellate, le fette di manzo si scottano in olio bollente, e infine si brasano con cipolla, salsa di pesce e appunto pomodoro. Ecco altri piatti tipici simili al mechado:

  • Kaldereta: stufato di capra in salsa di pomodoro con patate, olive, peperoni.
  • Afritada: stufato di pollo o manzo fritado (stir fry) al pomodoro, servito con riso bianco, patate, peperoni.
  • Puchero: spezzatino simile al cocido madrileno, qui con manzo, banana e pomodoro.

Adobo

adobo

Da molti l’adobo è considerato il piatto nazionale filippino. Il motivo è più d’uno: si tratta di una delle poche preparazioni indigene non contaminata da influenze coloniali; utilizza un metodo tradizionale di cottura; di norma gli ingredienti sono strettamente locali. Partiamo dal termine: adobo indica uno dei quattro metodi di preparazione/conservazione degli alimenti tramite aceto nelle Filippine. In questo caso si parla di uno carne stufata nell’aceto con aglio, sale e spezie.

A seconda degli ingredienti di base, l’adobo acquisisce nomi diversi. Adobong puti o bianco, con sale; adobong itim o nero, con salsa di soia; adobong dilaw o giallo, con aggiunta di curcuma. Lo stesso vale per la proteina di riferimento. Adobong baka con manzo, adobong manók con pollo, adobong hipon con gamberi, e così via. A tenere insieme questa vastissima gamma di piatti c’è l’inconfondibile sapore di fondo, acidulo e speziato.

L’intensità può essere aggiustata o accentuata con aggiunta di ingredienti tipici del sud-est asiatico quali zenzero, lemongrass, latte di cocco e siling labuyo, un piccolo peperoncino nativo dell’arcipelago. Per assorbirne il gusto pungente, l’adobo viene quasi sempre servito su un letto di riso bianco.

Humba

spezzatino di maiale alla birra

Un’altra classe di stufati molto in voga nelle filippine è quella che vede protagonista il maiale. L’humba è un piatto tipico delle isole Visayas con una chiara influenza cinese. Il nome infatti deriva da hong bah, dialetto Hokkien per pancia di maiale brasata che in effetti è proprio ciò di cui si tratta. La sua particolarità sta nell’ingrediente di base che la contraddistingue: il tausi, ovvero una salsa di fagioli neri fermentati che le conferisce un retrogusto umami e dolciastro.

La carne viene marinata in salsa di soia, aceto, aglio, alloro, pepe. Dopo averla scottata in aglio e olio, vengono aggiunti tausi, zucchero mucovado e germogli di banana. Il risultato finale è uno stracotto di maiale caramellato dalla consistenza morbidissima e gusto agrodolce. L’humba si mangia con riso ed eventuale aggiunta di uova sode. Ecco altri piatti simili:

  • Pata tim: stinco di maiale stufato, marinato in salsa di soia, zucchero, pepe, anice, alloro e servito con bok choy e funghi.
  • Estofado: maiale stufato cotto in aceto e salsa di soia, con banana fritta, carote e salsiccia.
  • Dinuguan: stufato di interiora e sangue di maiale speziato e aromatizzato con aglio e aceto.

Lechón

lechon

Nessuna fiesta filippina è completa senza lechón. Il maialino arrosto, si sa, esiste in numerose parti del mondo compresa la nostra, basti pensare al porceddu sardo. Il lechón filippino, nonostante il nome prestato dallo spagnolo, non include necessariamente il maialino da latte. Anzi, il termine è usato per tutte le preparazioni simili (non solo per il maiale) e oggi si riferisce più alla tecnica di cottura allo spiedo che all’ingrediente in sé.

Tornando al lechón inteso come maiale, nelle Filippine esistono due principali scuole di pensiero. La prima arriva da Manila e prevede una farcia con lemongrass, cipollotto, alloro, sale, pepe e una salsa di accompagnamento al fegato. La seconda da Cebu: la carne è senza ripieno, semplicemente massaggiata con sale e pepe e servita con una salsa più aromatica (aceto, zucchero, aglio) sempre a base di fegato. La cottura, su braci o gusci di cocco, coinvolge molto tempo e molte persone. Motivo in più per organizzarci una festa intorno.

Isaw

spiedini-interiora

Già che siamo sul barbecue, perché non aggiungere degli appetitosi spiedini? Se amate le interiora, le Filippine fanno per voi. Gli isaw sono gli spiedini di interiora (maiale, anatra, pollo) attorcigliati su se stessi e cotti su griglia o brace. Avete presente gli gnummareddi pugliesi o la stigghiola palermitana? Ecco il concetto è quello. Solo che siamo nelle Filippine, e i sapori sono decisamente diversi. La caratteristica principale degli isaw è la marinatura: ketchup, olio, salsa di soia, aglio. E non dimenticate la sawsawan o salsina per inzupparli. Piccante e agrodolce con cipolla, aceto e peperoncino.

Ube halayá

Ube_halaya,_Filipino_dessert

Uno dei prodotti tipici e unici delle Filippine è l’ube (Dioscorea alata). Si tratta di un tubero dal caratteristico colore viola dovuto a una grossa quantità di antocianine. Il suo profilo organolettico è in linea con patata dolce e yam: dolciastro, terroso, ricorda la frutta secca. A differenza di altri tuberi però l’ube viene quasi esclusivamente utilizzata nei dessert, tra cui gelato, marmellata, cheesecake, latte aromatizzato.

L’ube halayá è tra i più popolari delle Filippine: si tratta di una crema dolce a base di purè di ube e latte condensato. Viene usata molto spesso come ingrediente di base, ad esempio come ripieno. Ma può anche essere gustata come dolce al cucchiaio sotto forma di budino. Alcuni topping tipici prevedono cocco in scaglie, sciroppo di cocco, crema di latte condensato.

Halo-Halo

Halo-Halo

Cosa c’è di meglio di un bel mix-mix ghiacciato per sfuggire al caldo estivo? Questa la traduzione letterale di halo-halo, un dessert composto da tanti altri dessert da servire rigorosamente freddo. Simile al nipponico kakigori, l’halo-halo risale agli anni ’20-’30 in cui molti immigrati giapponesi frequentavano l’arcipelago. I suoi ingredienti di base sono ghiaccio e latte condensato, vaccino o di cocco a seconda delle preferenze.

Dopodiché, l’apoteosi dello zucchero. I topping dell’halo-halo sono tantissimi e dolcissimi: ube halayá, banana sciroppata, fagioli o ceci dolci, perle di tapioca, gelatina di cocco, patata dolce, mais, leche flan (una sorta di crème caramel), jackfruit, gelato. Iniziarlo è facilissimo, ma provate a finirlo senza avere un picco glicemico.

Puto

Puto-filippino

Per strada e nei mercati filippini non si contano i banchetti che vendono puto o tortini di riso al vapore. A base di riso glutinoso e in tantissimi colori diversi, i puto sono uno snack estremamente popolare, nutriente ed economico. Per prepararli occorre fermentare il riso per almeno una notte prima di macinarlo e cuocerlo. Le vaporiere in metallo o bambù spesso sono corredate da foglia di banano, che avvolge i tortini in modo da poterli servire facilmente e soprattutto non farli attaccare. Una volta pronti, si servono con cocco grattugiato, zucchero di palma, mango a fette. Spesso la pastella viene colorata e aromatizzata con pandan (verde) ube (viola), cioccolato, vaniglia.

Bibingka

bibingka

Chiudiamo con il bibingka, torta di riso al formaggio filippina. Negli anni è diventato prima una merienda tipica, poi uno fra i dolci natalizi più diffusi e apprezzati. La ricetta tradizionale prevede un mix di riso glutinoso e farina di cassava semplicemente impastato con acqua. Questo viene cotto in foglia di banano all’interno di un contenitore in terracotta. Nel corso della cottura vengono aggiunti i topping, tipicamente formaggio grattugiato e uovo sodo di anatra. Le versioni moderne del bibingka però si spostano decisamente sul dolce. L’impasto è spesso arricchito con latte, uovo, burro e margarina; i topping prevedono cocco (in scaglie e/o sciroppo), zucchero di palma, jackfruit, latte condensato.