Il pranzo di Pasqua, un rito che gli ebrei trasmettono da generazioni, di padre in figlio, è simbolo di un legame con il cibo diverso dal nostro, forse più intenso. Ce lo racconta in poche righe l’amico e commentatore, Dan Lerner, produttore di vino e fratello del celebre giornalista Gad. Che augura Pesach Tov ai lettori di Dissapore.
La religione è -dovrebbe essere!- questione molto personale. A volte però trasmette valori sui quali vale la pena soffermarsi senza pregiudizi, e in questo le tradizioni aiutano. Da mercoledì sera e per otto giorni è Pesach, la Pasqua ebraica, che celebra e ricorda la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Ogni ebreo deve viverla e pensarla come accaduta oggi, e a lui stesso. La prima sera la cena si snoda lungo un racconto, haggadah, con un ordine preciso, seder.
La cena stessa è un precetto religioso, simbolico. Le tradizioni alimentari sono tante quante sone le comunità della diaspora, ma una cosa si trova su ogni tavola attorno alla quale è riunita una famiglia ebrea: un piatto, semplice e carico di simboli.
Tre matzot, pani azzimi, in ricordo del pane preparato senza lievitazione per la fretta della fuga. Una zampa di agnello arrostita, in ricordo del sacrificio pasquale. Un uovo sodo, per la sua forma senza principio nè fine simbolo dell’eternità della vita. Ricordo di ogni lutto e di ogni rinascita. Tre specie di erbe amare: sedano sempre, e lattuga e indivia, doni -amari- della terra. Haroseth, composta di frutta il cui aspetto deve ricordare il cemento e la malta che gli schiavi ebrei dovevano preparare per gli oppressori egiziani. Aceto, o acqua salata, in cui intingere le erbe amare, ricordo delle lacrime versate.
Haggadah dunque, racconto. E’ la festa in cui i bambini sono protagonisti: a loro si deve spiegare il valore della libertà, di ogni libertà, affinchè possano essere adulti liberi, e possano raccontarlo in futuro ai loro figli. Non è brutta cosa che ciò passi attraverso la potente simbologia di una costa di sedano, di un uovo sodo, di un pane diverso, del cibo insomma. Dan Lerner