Perché la pasta buona non tiene il dente

Siamo sicuri che la pasta al dente sia sinonimo di pasta di qualità? La pasta artigianale prodotta con il grano italiano non può tenere le lunghe cotture, vi spieghiamo perché.

Perché la pasta buona non tiene il dente

Da quando il gastrofighettismo ha preso piede, le marche di pasta “buone” si tramandano di sussurro in sussurro tra gli appassionati come si fa con le leggi esoteriche della massoneria. Ma cosa vuol dire pasta buona? In generale con pasta buona si intende una pasta prodotta in Italia, con tecniche artigianali partendo da grani duri locali che garantiscono un sapore intenso e non standardizzato. Eppure [sappiamo che lo avete notato] è una pasta che deve essere cotta con attenzione, perché fatica a tenere il dente molto di più di quelle paste più economiche prodotte da grandi gruppi industriali e vendute sugli scaffali del supermercato.

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Qualche tempo fa intervistai dei piccoli produttori di grano duro nel Delta del Po, che trasformavano direttamente la pasta che poi circuitava nei ristoranti più attenti della zona. Il kit di vendita prevedeva anche la consulenza con un tecnico di mulino che avrebbe spiegato allo chef come cuocere la pasta alla perfezione. In quella pasta, il tempo di cottura indicato sulla confezione variava con il variare delle annate di produzione. Non mi stupirebbe che la stessa cosa avvenisse anche con altri piccoli marchi, che usano grani duri italiani.

Cosa determina il fatto che la pasta tenga il dente?

campo con pesticidi

La pasta che tende a mantenere meglio la consistenza è prodotta con semola di grano duro ricca di proteine, che contribuisce alla formazione di un reticolo glutinico robusto, capace di trattenere l’amido e dare tenuta alla pasta durante la cottura. Normalmente, il grano duro coltivato in Italia, oltre a non essere in quantità necessaria a coprire il fabbisogno nazionale, non ha nemmeno le qualità proteiche corrette per garantire la tenuta al dente. Per molto tempo tuttavia in Italia è girata la vulgata che pasta di qualità significhi una pasta capace di tenere bene la cottura.

Il glifosato, un convitato di pietra

essiccazione della pasta

La prima cosa da sapere è che il grano duro ricco di proteine cresce al freddo. Il problema delle colture di grano nei paesi freddi è però, allo stesso tempo, la difficoltà di portare il grano a piena maturazione. Il glifosato è un erbicida sistemico ad ampio spettro utilizzato principalmente per eliminare le erbacce e altri vegetali indesiderati; è stato sviluppato negli anni ’70 dalla Monsanto, con il suo prodotto di punta, RoundUp. Nella coltura del grano, il glifosato viene utilizzato in alcuni paesi freddi come il Canada (da cui proviene anche la celebre Manitoba) per accelerare la maturazione e l’essiccazione del grano, specialmente in annate caratterizzate da temperature basse e umidità elevate. In questi contesti il glifosato aiuta ad abbassare rapidamente il livello di umidità del frumento, prevenendo il rischio di pre-germinazione, che danneggerebbe la qualità dei chicchi.

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Uno dei casi più discussi riguardo al glifosato nella pasta è stato lo studio del 2022 condotto in Svizzera dalla rivista K-Tipp, che ha testato 18 marche di pasta, trovando residui di glifosato in 4 marchi italiani: Agnesi, Divella, Garofalo e Combino (distribuito da Lidl); lo studio era stato riportato dalla rivista Il Salvagente, che da anni aggiorna regolarmente sulla qualità della pasta italiana tramite dei test condotti in proprio su lotti delle marche più comuni. La notizia del test più recente, datata all’estate 2024, riduce i marchi a due: Conad e Garofalo. Dobbiamo precisare che, in ogni caso, le quantità rilevate sono molto basse e ben al di sotto dei limiti consentiti dalla legge europea, tuttavia è anche necessario notare che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato il glifosato come un “probabile cancerogeno”.

L’essicazione: il nostro (unico) valore aggiunto

L’unica arma in mano ai produttori nazionali per dare ulteriore nervo alla pasta è l’essiccazione. L’essicazione della pasta rappresenta una fase cruciale del processo di produzione, fondamentale per garantirne la conservazione ma anche la tenuta durante la cottura. Dopo che l’impasto di semola di grano duro e acqua è stato formato e modellato, la pasta fresca contiene ancora un’elevata quantità di umidità (circa il 30%); l’essiccazione riduce questo valore a meno del 12,5%, consentendo alla pasta di essere stoccata e distribuita senza deteriorarsi.

Esistono principalmente due metodi di essiccazione: a lenta a bassa temperatura e rapida ad alta temperatura. L’essiccazione lenta, tradizionalmente usata dai piccoli pastifici artigianali, avviene a temperature tra i 40°C e i 60°C e può durare dalle 12 fino a 48 ore. L’essiccazione lenta a bassa temperatura preserva la rete proteica senza stressarla eccessivamente; in questo modo, la pasta mantiene una maggiore elasticità e consistenza durante la cottura, evitando che si ammorbidisca troppo rapidamente o si sfaldi.

Ma è solo un aiutino. Se comprate la pasta buona di cui sopra, abituatevi a cotture di pochi minuti, controllate il tempo sulla confezione e, comunque, fate attenzione a che non scuocia. La pasta che dopo venti minuti è ancora dura è nata per evitare che nel mondo servissero quei piattoni di roba bianca e collosa a cui era abituato chi viaggiava fuori dal Paese negli anni Novanta, non per voi.