Se avevi ancora in mente l’idea che per fare il cuoco occorressero una Scuola Alberghiera o lunghi anni di gavetta nelle retrovie di una Grande Cucina a pulire verdure e combattere con aragoste vive, beh, sei vecchio e gommoso. Se credi che ci sia qualcosa di vero nelle parole del Profeta di Verità Gianfranco Vissani quando in quella celebre videointervista dice che fare lo chef significa soprattutto “sudore sulle cosce”, sei archeologia della formazione. Oggi, dice Repubblica nel suo Affari&Finanza on line, basta fare il manager in una banca, una società di investimenti o una multinazionale. Poi ci pensa la crisi: un fuoco di fila di licenziamenti apre voragini nelle file dei “colletti bianchi” che abbandonano la vita a 12000 piedi d’altitudine sui Jet intercontinentali per dedicarsi a qualcosa di più terreno, concreto, appunto la cucina.
L’anelito di creatività e l’eccessiva pressione sono il carburante per cogliere al volo l’occasione e trasformare l’emergenza in una opportunità. Del resto lo dice la stessa ISTAT già da tempo, le professioni dirigenziali sono in netta flessione, così come pare che la richiesta di Manager da parte delle imprese sia in netto calo (-45%), mentre cresce la difficoltà di trovare un’occupazione di pari livello per il manager di 45-50 anni. In crescita invece la richiesta di cuochi.
Eppure noi qui, dal nostro osservatorio privilegiato, sentiamo tanti professionisti della ristorazione parlare di situazioni al limite del collasso e locali che sopravvivono solo grazie alla passione e al sacrificio, con un conto economico che inviterebbe a riflettere…
Immagine: provincia di Roma