Ricordo il mio babbo quando ero piccolo: “Finisci l’ultimo boccone e di corsa, in Africa sarebbe oro”. Semplificazione che ai miei occhi di bambino rendeva l’idea. Oggi, se c’è una categoria sociale che proprio non digerisco è quella di chi lascia cibo nel piatto. C’è da vergognarsene e basta, non faccio sconti a chi lo fa 1) per vezzo, 2) per scarso senso della misura (riempio a volontà poi mangio finché mi va), 3) perché “la pietanza non è di mio gradimento, avanti un’altra”, 4) perché sta brutto fare la scarpetta – l’ho letto al liceo sul manuale del Bon Ton – 5) o perché “non ho più fame, mica posso star male”.
Senza parlare della sottospecie con le aggravanti, i gurmé. Ho visto gente fare centinaia di chilometri per poi abbandonare sistematicamente a metà ogni piatto, qualcun altro analizzare un boccone controluce prima di lasciarlo lì a marcire, neanche fosse in missione segreta per l’Asl. Ma a tutto c’è un limite, eh. Perché poi quando si parla di sprechi, di cassettoni della spazzatura pieni di roba buona, eccoci tutti in coro a pontificare di fame nel mondo, risparmio energetico, chilometro zero e alimentazione sana, scimmiottanto a memoria l’ultimo petrinismo buono, pulito e giusto.
Delle fiere con cibo da vetrina poi buttato nel cesso non parlo per amor di carità, ma i piatti che fanno la stessa fine con tacito assenso di chi non se ne cura sono tutt’altro “fottuto campo da gioco” (cit.). Caro gurmé, io te lo dico. Se mi stai accanto sappi che t’infilerò la forchetta nel piatto e con piacere, dimenticando la mia dieta. Ma ricorda, il male-educato irrispettoso sei tu, non io.
[foto: b5]