In principio era un ambito sacchetto, di dimensioni medio-piccole, dalla grafica spartana ma squillante.
Il tesoro non erano tanto le patatine, uno degli snack più popolari e diffusi nel mondo, che rendevano le mani un ricettacolo olioso da untore minorenne; il desiderio quasi carnale –che i più giovani non hanno vissuto e non possono capire– era rivolto alla “sorpresa”. Manine fosforescenti attacca e stacca o giochi da principessine in erba, ingenua felicità condita da merende rumorose al sapore di patatina fritta.
Gli anni Settanta
Erano gli anni Settanta: mentre gli americani potevano già scegliere tra decine di versioni, forti dell’invenzione delle patate fritte in sacchetto avvenuta il 24 agosto 1853 grazie al loro connazionale George Crum, di professione cuoco, il dilemma cosmico che consumava gli italiani nell’alimentari era tra due e due sole confezioni:
1) Le patatine classiche
2) Le patatine stick, dei bastoncini oggi probabilmente fuori commercio dopo aver rischiato di strozzare più d’un bambino nel virtuosismo atletico dell’auto-ingozzo a capo reclinato doppio carpiato.
Di olio di girasole ne è passato sotto i ponti, oggi la deriva pseudo-anarchica (in realtà studiatissima dal marketing) della patatina aromatizzata tocca livelli dadaisti insperati anche dagli sceneggiatori di Beautiful.
Il temibile gusto pizza, primo tentativo di patatina aromatizzata
Mentre nei paesi anglofoni paprika e panna acida già impazzavano tra gli scaffali, in Italia una delle prime variazioni sul tema della patatina aromatizzata in sacchetto fu il “gusto pizza”.
Quanta travolgente tenerezza mi assale oggi al pensiero di quel sapore che tentava goffamente di somigliare ad altro. Dovevamo capirlo allora.
La pizza non è replicabile, nonostante la diabolica copertura delle patatine ricordasse da lontano l’origano inacidito. Da quel momento è iniziato il tracollo.
E non si è più fermato.
In una parabola malinconica gli alimentari di provincia soffrono si trasformano e poi chiudono, eppure anche lì arrivano le patatine inglesi dai prezzi folli al gusto di pepe nero o aceto di mele.
Da Esselunga lo scaffale delle patatine ha colonizzato interi spazi un tempo dedicati ai salatini per esporre variazioni sul tema sempre più spinte e sperimentali.
Gusto mediterraneo, bacon, cipolla. Il momento più basso della parabola discendente è il gusto “amido”.
L’arrivo in Italia delle Pringles: l’innocenza perduta
Ma come non ricordare in questa lunga serie di fraintendimenti sull’evoluzione delle patate fritte in sacchetto l’arrivo in Italia delle Pringles, già deprecabili nel gusto classico, ancor più nelle versioni fantasiose per l’epoca (oggi quasi banali).
Nel frattempo gli anni d’oro del gadget a sorpresa dentro il sacchetto si erano estinti, in favore dell’epoca gourmet con le patatine che iniziano a farsi chiamare –esoticamente– “chips”.
Irrompe Cracco: l’inizio della fine
Poscia, ad azzerare ogni traccia di buon senso arriva chef Cracco. Assurto a testimonial delle patatine San Carlo facendo gridare allo scandalo i puristi dell’alta cucina che lo stimavano uno di loro, viene elevato a simbolo della patatina aromatizzata gourmet, il suo faccione appare spalmato sui camioncini delle consegne e spammato senza sosta in tv.
Il gusto “pepe rosa e lime”, vertice indiscusso della patata che s’atteggia, impazza negli aperitivi casalinghi. “Fior di senape”, “cocco” (?!) e “curcuma”, ora persino “salame” e “finocchietto”: viene voglia di istituire il reato di apologia della patatina “al gusto di”.
Oggi il nazionalismo è in ascesa
E siamo a oggi. Dalla politica il nazionalismo arriva anche nelle patatine, accanto ai gusti sempre più esotici e sempre più fusion spuntano mirabolanti confezioni aromatizzate al pesto e alla carbonara firmate da Crick Crock, o (udite udite) alla cacio e pepe (Pata).
I grandi classici della cucina italiana ridotti a X-taste, uno dei sintomi più agghiaccianti della nostra ormai prossima estinzione come specie.