Mettere in dubbio ogni certezza, accettando di confrontare la pastiera napoletana di mamma, quella tramandata di madre in figlia, con quella del tele-chef Antonino Cannavacciuolo.
L’Italia è una Repubblica fondata su una miriade di ricette tradizionali. 60 milioni di rigorosissime, segretissime e originali ricette tradizionali.
La pastiera, tanto per dire. Ogni famiglia partenopea fa la sua, motivo per cui nascono le innumerevoli varianti che vi abbiamo raccontato. Come mi ha detto la mia amica Barbara, a cui ho prestato la ricetta della pastiera di famiglia, “ho capito che nei decenni la pastiera di famiglia si è plasmata sui gusti della famiglia stessa. Questa è la pastiera: l’armonia di quello che piace a ognuno, senza tralasciare i capisaldi della tradizione”.
Ma che bel pensiero pasquale. Però, cara Barbara, qui non c’è mica spazio per l’armonia. La ricetta della mia famiglia è LA ricetta della pastiera, e sono certa che tutti gli altri a cui Barbara ha chiesto consiglio le direbbero la stessa identica cosa. Perché l’Italia sarà pure una Repubblica, ma quando si parla di cibo della tradizione non c’è democrazia che tenga. Se c’è una cosa su cui noi Italiani sappiamo essere suscettibili, quelle sono le ricette di famiglia. Quei foglietti sporchi e unti scritti a mano dalla nonna, preziosi e programmati per autodistruggersi non appena accenni a modificarli con una variante creativa.
Tanto per rendere l’idea, Vincenzo De Luca che minaccia di mandarmi un lanciafiamme se esco di casa non è nulla a confronto di una qualunque delle donne della mia famiglia se provassi a sostenere che nella pastiera napoletana ci vanno i canditi. Che poi io mica lo so davvero, se nella pastiera originale (ammesso che ce ne sia una) ci vanno i canditi. Da noi non si mettono, e stop. Guai a chi prova a dire il contrario.
Eppure, quest’anno, l’ubriacatura da isolamento forzato e prolungato ha dato un tocco di brio alla nostra Pasqua e – udite udite – mia mamma ha acconsentito a provare una nuova ricetta per la pastiera. Non una a caso, naturalmente, ma quella di Antonino Cannavacciuolo.
Il procedimento: la ricetta di Cannavacciuolo vs quella della mia famiglia
Mai avrei pensato di proporre a mia mamma di apportare modifiche alla sua pastiera che – ve lo giuro – è davvero pazzesca (d’altronde, è LA pastiera originale, no?). Ma volevo fare una prova, con il preciso obiettivo – lo ammetto – di dire che la ricetta di famiglia è più buona di quella di Cannavacciuolo.
Ed è così che ho convinto mia mamma a tentare: “mamma, dai, mettiamo al muro uno chef due stelle Michelin”. Dunque siamo partite con il diabolico progetto.
Il primo ostacolo, in tempi di Coronavirus, è stato reperire tutti gli ingredienti. Eravamo certe che se fossimo andate al supermercato per comprare cose tipo 350 grammi di ricotta di bufala o 55 grammi di farina di mandorle ci avrebbero arrestato. Se per la farina di mandorle ci è venuta incontro una zia, spiegandoci che potevamo farla semplicemente tritando le mandorle, per la ricotta di bufala ci ha pensato chef Cannavacciuolo, che nella ricetta ci ha dato il permesso di usare la ricotta vaccina.
Dobbiamo ammettere che ci siamo spaventate anche davanti a cose come il “burro in pomata” o i 75 grammi di uova che ci hanno costrette a digitare su Google “come si pesano le uova”, ma alla fine siamo venute a capo della lista ingredienti.
Con qualche perplessità, certo. Per dire, l’utilizzo dello zucchero a velo per fare la pasta frolla. O la presenza (brr) dei canditi nel ripieno. La preparazione – sostiene mia mamma, io mi sono limitata a coordinare – non è stata più complessa del previsto. Tutto è filato liscio, a parte una frolla dai bordi più alti rispetto a quella a cui siamo abituati, e un ripieno più abbondante.
L’assaggio: la terribile scoperta
A fine cottura già gongolo: con questa scusa quest’anno non ho una, ma due pastiere da mangiare. E mi perdoni la mia nonnina se in una ci sono i canditi.
Il profumo è buonissimo, e questo vale per entrambe le pastiere. L’aspetto è piuttosto diverso: quella con la ricetta firmata da Cannavacciuolo è più alta, più carica di pastafrolla, e ha un colore che tende più al giallo.
E qui, quasi quasi, mi fermerei. Perché è difficile essere imparziali nell’assaggio, quando uno dei due assaggi ti fa esplodere nel cervello una miriade di ricordi d’infanzia, soprattutto quando sei chiuso in casa da tempo e non sai quando potrai riabracciarere la tua famiglia. Dunque, signor Cannavacciuolo, se mi sta leggendo, sappia che la sfida era persa in partenza, e non poteva essere altrimenti.
Eppure.
Da un lato c’è la pastiera di famiglia. Perfetta, non troppo dolce, con un equilibrio sapientemente dosato negli anni tra ricotta, zucchero, grano. Quel sapore lì, quello da cui parte ogni raffronto con le altre pastiere (inevitabilmente perdenti). La pasta frolla di mia mamma è un po’ più spessa del dovuto, ma a noi piace così, un po’ più consistente e un pelino indietro nella cottura.
In una parola: wow.
E poi c’è la pastiera di Cannavacciuolo. Con una pasta frolla più invadente, e un ripieno che mi verrebbe da definire meno elegante del nostro. Più pieno, più ricco, più goloso. Forse, pure più napoletano.
Ragazzi: buonissimo.
Sulla pasta frolla, mi spiace ma vince mammà. Sul ripieno devo ammettere che sono in difficoltà (e non solo io, se mia mamma, abbattuta e quasi in lacrime, mi dice dopo il primo assaggio: “ma lo sai che è più buona quella di Cannavacciuolo?”). La cannella fa un’enorme differenza nel ripieno, conferendogli davvero una carica in più. E il tutto non risulta troppo dolce, come spesso accade con le pastiere, ma sufficientemente equilibrato. Certo, però, i canditi. Sui canditi proprio non riesco a farcela. Ma canditi a parte, l’obiettivo di sbugiardare Antonino Cannavacciuolo e la sua ricetta della pastiera è andato miseramente fallito.
Ma non era a Natale, che dovevamo essere tutti più buoni?
Post Scriptum
Nel caso ve lo stiate chiedendo, tutta questa preparazione è avvenuta a distanza: io in una casa, mia madre nell’altra, con l’aiuto di videochat e messaggi whatsapp. Poi lo scambio di pastiere e casatielli a distanza nell’androne del palazzo, con fiumi di lacrime e un groppo in gola che rimane per ore. Che Pasqua strana, quella con due pastiere diverse.