Non dite pastiera napoletana se non conoscete LE pastiere. Varianti, tipologie diffuse sacre (mai sentito parlare di capellini d’angelo?) e dissacranti interpretazioni contemporanee. Fate conto che dicendo “pastiera”, in base alla zona della Campania, in cui ci troviamo, rischiamo di trovarci nel piatto cose completamente differenti.
Io che sono nata, cresciuta e pasciuta fino alla maggiore età dall’altro lato del Vesuvio, cioè “all’altra provincia”, una specie di Sampei con i piedi nelle sorgenti del fiume sacro agli dei (il Saron di Strabone, tipo) e le mani sempre sporche di pomodoro, quando iniziai ad avere a che fare con Partenope (primi amori, università, lavoro), scoprii che la pastiera non era sempre quella che io avevo immaginato che fosse: la pastiera a Salerno era un’altra.
Ora, questo non per dirvi quanto io mi sia sentita Caterina va in città, ma per farvi capire che anche 15 o 20 chilometri, in una regione con una radicatissima e folta tradizione gastronomica, possono cambiare ingredienti e connotazioni.
Per intenderci, nella provincia di Salerno ad Ovest del Vesuvio la pastiera è la frittata di maccheroni (salata). Di contraltare, la pastiera dolce viene qui chiamata pizza di grano. Un po’ arcaica come formula linguistica.
L’interpretazione dolce della pastiera è quella più diffusa, che sia ripiena di grano o riso o ancora fatta di pasta sottilissima e cucuzzata, il minimo comune denominatore pare uno: è consumata tradizionalmente nel periodo di Pasqua (arco temporale: un paio di settimane), si associa alla Primavera, alla rinascita, all’abbondanza.
Nonostante la preparazione prevalentemente casalinga, molte pasticcerie napoletane sono rinomate per la pastiera che producono tutto l’anno, con la felicità di chi la pastiera non vuole farla in casa – non è esattamente un procedimento facile, tutto sommato neanche breve come una chiffon cake – e dei turisti, letteralmente in visibilio.
La pastiera si mimetizza nelle tradizioni, eppure alcune sue varianti conosciute sono così radicate da guadagnarsi un capitolo nella lunga e gloriosa storia di questo dolce iconico.
Pastiera con grano Tumminia, Senatore Cappelli e altri “grani alternativi”
Questa è una varietà di pastiera molto diffusa negli ultimi anni in Cilento, Campania – territorio votato per conformazione e carattere al recupero di alcune tipologie di frumento che in passato (ma anche, in qualche caso, nel presente) davano corpo al bilancio delle economie contadine familiari. Noi abbiamo assaggiato la versione del pasticciere Angelo Grippa di Eboli, ma voi potete riprodurla in casa con i consigli che ci ha dato. Per la pastafrolla, utilizzare strutto (e non burro, quindi) e zucchero di canna grezzo; per il ripieno, ricotta di bufala e grani di varietà Risciola, Saragolla, Senatore Cappelli. Il risultato è una pastiera dai colori vivaci, con gli odori un po’ smorzati rispetto a quella classica e leggermente più umida: qui è complice la ricotta di bufala.
Certo, sappiamo bene che potreste non avere proprio dietro l’angolo l’azienda agricola di fiducia o il bottegaio pronto a preparare per voi il sacchetto di grani antichi da cuocere nel latte. Su consiglio di Angelo Grippa, vi consigliamo di contattare l’azienda agricola Michele Ferrante per una spedizione. Anzi, visto che ci siete, guardate anche gli altri prodotti presenti sul sito: molti i presidi Slow Food e le biodiversità che questo contadino resistente si ostina a portare avanti, potreste fare un bell’ordine cumulativo di eccellenze difficilmente reperibili altrove.
Pastiera di riso
Capitolo ripieni alternativi: se non è frumento, è riso. E’ molto, molto diffusa nelle province fuori Napoli, come ad esempio Benevento e Salerno, oltre che nel Cilento inoltrato. Anzi, girovagando per il web scopro una curiosa diatriba riguardo l’origine, visto che i salernitani in odore di secessione ne rivendicano la nascita molto prima di quella farcita col grano. La pastiera di riso non è ampiamente diffusa nelle pasticcerie, ma è “facile”, una volta imparata la metologia della pastiera classica, poterla replicare in casa. La pastiera di riso può rappresentare anche un’ottima alternativa per i celiaci oppure ipersensibili al glutine: la pastiera ne è effettivamente un’orgia, privarsi di sapori primaverili così belli sarebbe un peccato. Ovviamente, nel caso di pastiera di riso gluten free, s’intende anche sostituire la farina glutinica con una adatta per quanto riguarda la pastafrolla. Se invece intendiamo soltanto modificare il ripieno, basterà lessare il riso ed unirlo al composto solito della pastiera tradizionale.
Pastiera “capellini d’angelo” (con la pasta)
La pastiera di pasta eccola qua, versione dolce. Il formato di pasta, in questo caso è quello chiamato “capelli d’angelo”, cioè gli spaghetti sottilissimi. In dialetto, viene chiamata ‘a pastiera ‘e ferellini, cioè pastiera di “capellini”. Qualcuno potrebbe storcere il naso davanti a questo utilizzo improprio della pastasciutta: questo dolce è originario di cittadine come Torre Annunziata e Torre del Greco, in provincia di Napoli.
Per chi non ha dimestichezza, in queste zone immediatamente a ridosso di Gragnano veniva e viene prodotta ad oggi moltissima pasta secca, un tempo lasciata ad asciugare all’esterno, nei viali principali, con il vento che “saliva” dal mare. E’ facile pensare che, con molta probabilità, la pastiera ‘e ferellini derivi da questa tradizionale lavorazione ed abbondanza di pasta secca in questi centri. In queste zone, alcune pasticcerie portano avanti la tradizione della “pastiera di pasta”, come la Pasticceria Mennella.
Il procedimento è meno corposo della sontuosa pastiera tradizionale, ma non meno soddisfacente: dopo aver cotto la pasta in maniera tradizionale, lasciarla scolare bene; unirla poi al composto di uova, zucchero, eventuali canditi ed aromi, tra i quali fiori d’arancio ed un pizzico di cannella. Importante è cospargere il ruoto di sugna e zucchero, così come la superficie della pastiera: questo aiuterà a caramellizzare la superficie, creando un crunch deliziosamente in contrasto con la “morbidezza” della pasta interna.
Pastiere “contemporanee”
Come se non bastasse, quelle che non mancano sono le re-interpretazioni contemporanee della pastiera: un dolce così amato non poteva passare inosservato nel fine dining. Passiamo velocemente in rassegna le interpretazioni più contemporanee e magari non reperibili in questo periodo: mi sovvengono, tra le altre, l’iconica pastiera scomposta e stratificata di Lino Scarallo a Palazzo Petrucci (una stella Michelin); la “pastiera a modo mio” del pastry chef Angelo Mattia Tramontano al Gran Caffè Napoli di Castellammare di Stabia (e che abbiamo debitamente recensito); ricordo anche i gelati gusto pastiera, che per me hanno sempre rappresentano la primavera, con i fiori d’arancio, la ricotta e i chicchi di grano come ingredienti principali.
Uno su tutti, a Napoli città, il gelato alla pastiera della cioccolateria Gay Odin.
Uno dei miei mashup preferiti dolciari (tra i pochi che mi concedo) è sicuramente il lievitato alla pastiera. Viene chiamato Pastiera Lievitata (se ci riferiamo a quella del compianto Maestro Alfonso Pepe, che per primo la mise a punto), oppure ancora Pan Pastiera, della Pasticceria De Vivo di Pompei. Nell’ultimo caso, la composizione è questa: l’impasto – molto setoso – viene arricchito con chicchi di grano, essenza di zagare, e ricotta, con filetti di arancia canditi sulla superficie.