Negli ultimi anni panettieri e pasticcieri, pizzaioli e lievitisti, professionisti dell’arte bianca e agguerriti home baker, insomma tutti quelli che impavidi tentano il proprio panettone, Everest dei lievitati, sono coinvolti in una spietata gara a chi ce l’ha più grosso: l’alveolo.
La colpa come al solito è di smartphone e social network, ma non perché siano troppo moderni e tecnologici: al contrario, perché sono rudimentali e arretrati. Se fosse possibile mettere in gioco non dico il gusto ma almeno l’olfatto, far sentire gli odori del pane appena sfornato, della brioche farcita con crema alla vaniglia del Madagascar, sarebbe tutto più semplice e giusto. Invece così, bisogna affidarsi al più ingannevole dei cinque sensi: la vista.
E quindi, se nella pizza puoi sbizzarrirti con farciture succulente e topping gourmet, con il pane che fai? O ti butti sullo scoring, sui tagli che si fanno sopra la pagnotta prima di infilarla nel forno, ma lì davvero bisogna essere artisti. Oppure vai di mollica: esaurita (mai troppo in fretta) la moda del carbone vegetale e con altri generi di colorazione (vedi i pani blu del Brasile) che per fortuna stentano a decollare, si punta sulla forma. Quindi sull’alveolo.
Complici le farine di forza, ormai in grado di reggere anche macinature a pietra e integrali, si è aperto il festival del buco. E non a caso i primi sono stati i panificatori, a postare pagnotte in sezione, con caverne che ci passerebbe un orso in letargo. Che poi spesso, dal raffronto con la mal celata mano che regge il pane, si deduce che quella che sembra una forma da chilo in realtà è uno sfilatino, e quindi quello non è un traforo ma un forellino, ma non importa: quello che conta, come si dice, è l’intenzione.
Poi sono arrivati i pizzaioli. Prima i campioni della scrocchiarella alla romana, con dei pertugi da far invidia al gruyère. I napoletani allora, per non esser da meno, e non potendo derogare alla tradizione della base sottilissima, si sono buttati sul cornicione: ed è nata la pizza a canotto (fino a due o tre anni fa “a canotto” erano per lo più le labbra ritoccate col filler: ora bisogna arrivare nella famigerata seconda pagina di google per trovare gli epigoni di Angelina Jolie).
In tale panorama, in simile testosteronica tenzone, è naturale che a un certo punto comparisse il re dei lievitati, il supereroe dello sviluppo verticale, il dolce che già nella sua forma richiama evidenti simbolismi fallici: il panettone. (Ecco, dovrei dire come mi ha suggerito un’amica che la moda di espandere gli alveoli è come il trend delle soubrette anni 80 di gonfiarsi le tette. Ma mi sembra che abbia molto più a che fare con la mascolinità tossica, da cui chef e cucine professionali sono tutt’altro che esenti: enlarge your p*nis.)
E infatti negli ultimissimi tempi siamo perseguitati da immagini, link sponsorizzati e post consigliati: mentre prima era tutto un puntare su glassature luccicanti e confezioni chic, e poi c’è stato il periodo dei brevi video di panettoni che vengono schiacciati e ritornano alla forma originaria a dimostrare sofficità e morbidezza, ora il must è quello. Taglio in sezione, farcia traboccante di cioccolato e altre delizie, ma soprattutto alveoli, bolle, gallerie.
Che cos’è un alveolo
Ma che cos’è un alveolo? È un buco con della pasta lievitata attorno. Tralasciamo in questa sede la pur interessantissima questione ontologica su cosa sia un buco – domanda che vi fa ridere ma a cui non è affatto facile rispondere: è aria, è vuoto, è nulla? È ciò che lo circonda? Su questo i filosofi Varzi e Casati ci hanno scritto addirittura un libro, Buchi e altre superficialità.
Allora chiediamoci: a cosa serve un alveolo? Dipende. Nella pizza, per esempio, come insegnano i maestri, è una spia della corretta lievitazione. Come un misurino, un gruppo di controllo: dato che il resto del panetto è ammaccato e per di più coperto di pummarola, dallo sviluppo del cornicione vediamo se l’impasto è stato fatto come si deve, e la lievitazione condotta con sapienza. Un semplice metro di paragone, quindi, anche se non solo: ovviamente se il cornicione è lievitato bene, non è spugnoso o mezzo crudo, ve lo potete anche mangiare, anzi dovete.
Nel pane, l’alveolatura svolge una funzione simile, anche se ovviamente estesa a tutto il prodotto. Andiamo nel tecnico, ma credo non nell’astruso: la produzione di gas operata dai lieviti, gas che poi vengono trattenuti dalla maglia glutinica, serve a cuocere alla perfezione l’impasto. Il calore si diffonde nei buchi (che oltre alla CO2, sono prodotti anche dall’aria e dall’acqua che evapora) e il pane diventa più leggero e digeribile, oltre che più buono. Provate a fare una pagnotta senza lievito, ma non sottile come un pane azzimo, e sarà chiaro.
Questo pippone per dire che anche nel pane, soprattutto nel pane, l’alveolo non ha – non dovrebbe avere – un valore in sé: è uno strumento, non un fine. E non è neanche sinonimo, l’alveolo grande, di pane leggero: ci sono pani che sono una piuma, come gli schifosissimi ma visivamente ineccepibili pani in cassetta industriali, eppure hanno un’alveolatura fittissima e regolare. Viceversa, ci sono pani, come alcuni caserecci a pasta madre di esecuzione incerta, che hanno alveolatura irregolare, con buchi enormi in certi punti, e pasta compatta semicruda in altri. Per il resto, dipende dai gusti, e dagli usi: se tutte le fette di pane che mi date hanno i buchi come l’emmental, ma dove diavolo la spalmo la crema di nocciole?
E nel panettone? Nel panettone i buchi non dovrebbero esserci proprio. Lasciamo stare gli antenati dei panettoni, pani dolci carichi di grasso e frutta secca, ma pesanti e duri da mandare giù. Il panettone contemporaneo è per definizione un lievitato ricco ma leggero, umido ma morbido, soffice e a pasta uniforme. Lo dice anche il disciplinare: “di struttura soffice ad alveolatura allungata”, quella per capirci che quando si staccano i pezzi con le mani assume la caratteristica forma filante, verticale. E vabbè, i disciplinari sono quello che sono, lo sappiamo, ma anche gli orologi rotti segnano l’ora giusta due volte al giorno.
Insomma, cari amici lievitisti, fatemi sto regalo di Natale: datevi una calmata con le bolle. Perché poi l’internet non perdona, conserva memoria di tutto. Mi è venuto in mente questo meme sui mullet anni 80/90 e le barbe da hipster contemporanee.
Un giorno potremo guardare ai tunnel nei panettoni con lo stesso misto di orrore e tenerezza con cui adesso osserviamo la margarina e la pasta panna salmone e vodka. Ma quel giorno, ahimé, non è oggi.