Quanti anni sono passati da quando Motta era una sineddoche per dire panettone? Una decina? Facciamo una decina, mentre osserviamo, inermi, l’ascesa inarrestabile del panettone, da prodotto della grande distribuzione organizzata relegato a qualche rarefatta pasticceria milanese (e non) a Everest dei lievitati, obiettivo non solo di panettieri e chef, oltreché di qualunque pasticcere voglia farsi rispettare.
Moda, oggetto culturale, protagonista di concorsi, classifiche, premi di ogni sorta, motivo di orgoglio: è la pizza di noi milanesi.
Ebbene, da qualche tempo a questa parte il panettone artigianale è entrato nelle nostre case, e non solo perché siamo disposti a spendere 30 euro, alle volte 40 euro al chilo per un lievitato di Natale griffato: proviamo addirittura a farcelo tra le mura domestiche, con il forno che passa al convento, spremendoci le meningi, sperperando tempo (e soldi).
Ma il panettone si può davvero fare in casa? Ecco i cinque motivi per cui, secondo noi, no.
Il contesto casalingo
Partiamo da un presupposto fondamentale: il concetto di “contesto casalingo” è ormai abbastanza relativo.
Oggi infatti le strumentazioni all’avanguardia in ambito gastronomico sono ormai disponibili anche per ambienti più ristretti.
Abbattitori, forni, essiccatori, estrattori, macchine per il sottovuoto, impastatrici professionali sia a spirale che a braccia tuffanti, e tanto altro ancora.
Con un investimento mirato e neanche troppo esoso, gli appassionati dell’arte bianca (e della cucina in via generale) possono davvero trasformare un’area della casa in un piccolo laboratorio.
Fidatevi, ho visto cose che mi hanno letteralmente fatto sbiancare dall’invidia.
Ora, se per fare pane e pizza ad ottimi livelli una simile strumentazione è certamente utile ma non fondamentale, per il panettone serve senza ombra di dubbio qualche accortezza in più.
Stiamo parlando di un lievitato molto difficile, forse l’apice della panificazione, che richiede un’ottima conoscenza delle materie prime, del processo e soprattutto tanto tempo e pazienza.
Stiamo parlando di un dolce la cui struttura deve sostenere un grosso quantitativo di uova, grassi e sospensioni, sorreggere un’altezza non indifferente e durare almeno un mese.
Stiamo parlando di un processo minuzioso, attento e rigoroso, che richiede anche un focus particolare a norme igieniche e sanitarie, visto che tutto il viaggio che porta dal pre-impasto al prodotto finale dura anche una settimana.
Concorderete con me che la fetta di appassionati che possiedono strumentazioni all’avanguardia costituisca comunque una parte ancora molto bassa.
Anziché impastatrici a braccia tuffanti, forni a convezione e celle di lievitazione, la maggior parte può fare uso di una planetaria, di un forno classico a incasso e di una temperatura ambiente ormai troppo variabile.
E quanto tutto ciò influisce sul rendimento finale?
Pesantemente, ma vediamo insieme il perché.
Il tempo
Tre impasti, lievitazione a temperatura controllata, cottura e riposo.
Il processo che trasforma gli ingredienti al panettone cotto e finito dura dai 2 ai 3 giorni a seconda delle variabili, ma prima di poter essere consumato il dolce deve rimanere appeso a raffreddare dalle 2 alle 12 ore, e almeno altri 5-7 giorni in una busta con alcol puro a 95° nebulizzato perché sprigioni al meglio tutti i profumi.
Nella vostra quotidianità, quante volte vi capita di avere 3 giorni a disposizione da dedicare per il 75% al controllo del lievitato?
Con la vita frenetica di questi tempi credo sia un caso abbastanza raro.
Il panettone richiede un’attenzione costante e una precisione enorme: i vari impasti devono lievitare a 28 °C per parecchie ore (3-4 per il pre-impasto, 10-12 per il primo impasto e 6-7 per l’impasto finale), e se la temperatura non è stabile (ovvero se non si possiede una cella dedicata) si è costretti ad attendere parecchio di più.
Per altro, anche con una cella, in caso di errori durante l’esecuzione o di un pre-fermento non in salute, la schedulazione può subire fortissime variazioni e impedimenti.
Lo ripeto: stiamo parlando di una lavorazione molto complessa, dove una minima distrazione può portare ad un colossale fallimento, dove ogni ingrediente gioca un ruolo fondamentale e imprescindibile per il risultato finale, a partire dal lievito madre.
Il lievito
Ah, il lievito madre, il protagonista delle favole moderne, re di ogni leggenda metropolitana possibile e immaginabile sulla panificazione.
Ne avevamo già parlato, ricordate?
Ci eravamo detti quanto, per preparazioni come la pizza, i bonus apportati da questo storico pre-fermento fossero pressoché inutili.
Un buon lievito madre in perfetta salute (e quindi con un pH di 4.5) garantisce pregi quali profumi più marcati, una struttura sostenuta, aperta e “filante” e una shelf-life prolungata.
E tuttavia, un lievito madre in cattive condizioni crea problemi di mollica e rende troppo acidi e bagnati i prodotti, rendendo difficoltosa sia la lievitazione che la successiva cottura.
Considerato il grosso impegno nel mantenere in buona salute un lievito madre, in una pizza (che vi pappate subito, farcite all’inverosimile e non deve avere chissà che struttura) è altamente sconsigliato gettarsi in un un processo altalenante, ma per i grandi lievitati le cose cambiano.
Vi basti pensare che per il disciplinare un panettone non può nemmeno definirsi tale se non è stato realizzato con lievito madre.
Ora, al netto delle imposizioni da tradizione (di cui come ben sapete non mi frega assolutamente nulla), è innegabile quanto un prefermento sia fondamentale per la buona riuscita del prodotto finito.
Tanti professionisti sostengono che sia possibile fare dell’ottimo panettone con pre-impasti a base di lievito di birra (come la biga), in quanto se ben gestiti portano a risultati molto vicini a quelli della pasta madre, senza per altro richiedere lo stesso impegno.
Che sia l’una o l’altra il discorso non cambia: senza l’ausilio di un pre-fermento non è praticamente possibile realizzare un impasto e una maglia glutinica sufficientemente forte da poter sostenere elementi pesanti come burro, uova e sospensioni.
Fidatevi quando vi dico che il pre-fermento caratterizza fortemente il prodotto finito.
Se in altre preparazioni può essere una semplice base, un sostegno, un aiuto, qui è l’ingrediente principale di tutto il processo produttivo.
Prefermenti diversi possono portare a risultati completamente diversi.
La ricetta (ancora) non vi serve assolutamente a nulla: eddai, fate i bravi, non si può chiedere la ricetta di un lievitato di 3 giorni.
E anche accettato tale compromesso, provate a pensare ad una tipica situazione che ormai sento sempre più spesso: passate un mese a buttar farina per rinfrescare il lievito madre, poi qualcosa va storto, il panettone non cresce e buttate pure quello.
E tanti saluti al controllo degli sprechi, importante come non mai di questi tempi.
Gli ingredienti e i costi
Anche perché, diciamocelo, realizzare un panettone non è una faccenda poi così economica.
Vi siete mai chiesti perché i prodotti artigianali costano in media dai 25 ai 40 euro al chilo? Non è perché si parla di grandi nomi o di gente che se la mena e fa pagare il marchio, ma è soprattutto perché gli ingredienti necessari hanno un costo davvero elevato.
Se sulla questione sospensioni la maggior parte ormai si attrezza per prodursele in autonomia (altrimenti spenderebbe un patrimonio solo di uvetta e canditi) soprattutto sul burro i prezzi lievitano.
Anche perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, c’è burro e burro: nel 99% dei casi (a parte qualche nazionalista convinto) chi produce un panettone si rifà al burro francese, che ha una lavorazione qualitativamente superiore a quella italiana in quanto viene prodotto per centrifugazione e non affioramento.
Il discorso è molto semplice: in Italia il burro si accoda alla produzione di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, che nel nostro paese per ovvi motivi hanno un’importanza maggiore.
E tuttavia, essendo l’affioramento totalmente necessario per la lavorazione di questi formaggi, il burro che ne risulta non è all’altezza di quello estero, che invece produce il burro per centrifugazione direttamente dal latte.
I grassi sono fondamentali nell’impasto di un panettone in quanto rendono la mollica estensibile e malleabile, e avvolgendo le molecole di anidride carbonica durante la lievitazione le stabilizzano, conferendo anche maggior scioglievolezza, sofficità e omogeneità di alveolatura e mollica, oltre ad un aiuto non indifferente alla shelf-life.
Un burro francese di qualità può costare anche 30 euro al chilo.
Immaginatevi quindi quest’altra situazione: comprate del normalissimo burro al supermercato, tornate a casa, provate a fare il panettone ma non vi esce, e buttate tutto. Ritornate al supermercato, spendete 10 euro per un burro migliore ma ancora non perfetto, e buttate tutto di nuovo.
La lavorazione
E non finisce qui, perché l’altro enorme collo di bottiglia è determinato dalla lavorazione dei due impasti, specialmente del secondo.
Non vi basta certo comprare una farina di forza elevata per mettervi in sicurezza, e nemmeno avere il lievito madre più sano del mondo.
Se sbagliate il metodo di inserimento soprattutto degli elementi più pesanti (uova, burro, uvetta e canditi) l’impasto può sfaldarsi inesorabilmente e divenire irrecuperabile.
Burro e uova devono essere aggiunti poco alla volta e solo quando la precedente quantità è stata assorbita, così come lo zucchero, enormemente sottovalutato, che genera parecchia umidità nell’impasto.
Le sospensioni non devono mai essere versate prima che la maglia glutinica sia ben formata e salda, perché ne costituiscono di fatto un’interruzione, e andrebbero a compromettere struttura e lievitazione.
E ancora, scordatevi di poter fare un simile impasto a mano: l’energia cinetica di una macchina professionale è fondamentale per poter incordare un impasto così complesso.
Certo, ho visto ottimi panettoni fatti con una planetaria classica, ma a parte il risicato limite quantitativo di impastamento (in una vasca da 7 litri ci fate un panettone, massimo due) il grosso problema è il surriscaldamento che queste macchine portano: se l’impasto supera i 27-28 °C dovete fermarvi e lasciarlo raffreddare rapidamente, o rischiate di compromettere anche qui la struttura e la lievitazione del prodotto.
Le impastatrici professionali di oggi al contrario vi consentono di lavorare in tutta tranquillità, grazie allo studio fatto sugli attriti e sui rapporti tra le varie componenti, che scaldano pochissimo la massa in lavorazione.
Per concludere, ci tengo a darvi un forte messaggio: realizzare un prodotto simile con le proprie mani è di una soddisfazione indescrivibile, un sentimento che auguro davvero a tutti.
Ma per arrivarci serve tempo, allenamento, pratica con impasti più semplici e soprattutto tanta pazienza, precisione e consapevolezza.
Buttarsi dietro a un panettone con timing risicati e una ricettina stampata alla mano è il modo più veloce per riempire il vostro sacco dell’immondizia.
E ancora, rifugiarsi in preparati industriali, semilavorati o in impasti diretti con il solo lievito di birra, è una strada sicura fino a un certo punto, perché il prodotto finale non sarà mai all’altezza delle aspettative.
Fare un panettone in casa è possibile, si.
Ma vi sentite davvero pronti e preparati per buttarvi nell’impresa?