“Ho aggiunto nell’impasto un po’ di farina di grano duro, per dare croccantezza“. Quante volte avete sentito questa frase? Quante volte un amico, lo zio, il cugino vi ha consigliato di inserire un percentuale di semola nell’impasto del vostro pane, per renderlo più croccante? Quante volte siete andati in una pizzeria e avete letto sul menu “impasto speciale con farina di grano duro, più croccante e profumato”?
Ebbene, è finalmente arrivato il tempo di smontare insieme questa bufala senza tempo.
La bufala
Sarò sincero: amo alla follia il grano duro. Il nostro Paese (in particolare il sud Italia) possiede una varietà incredibile di questo cereale, tante delle quali poco conosciute eppure dalle incredibili caratteristiche.
Il motivo per cui scelgo questo cereale, ogni qual volta devo realizzare un pane o una focaccia, è per la sua grande morbidezza e per il profumo intenso della mollica.
Proprio così, la morbidezza, non la croccantezza e la friabilità della crosta. Se c’è qualcosa che il grano duro fatica a conferire (a meno di non usare metodi specifici) è proprio la caratteristica più decantata, promossa e comunicata.
Da dove abbia avuto origine questa bufala è un vero mistero; probabilmente è legata al fatto che si tratta di un cereale di base giallognolo, che storicamente tendeva a colorare maggiormente la crosta del pane, contrapposti ai piccoli filoncini del Nord Italia di grano tenero, più bianchi e morbidi.
Ma il mondo del pane (e della pizza) avanza, e dobbiamo essere sempre pronti a dire le cose come stanno.
Per tal motivo, abbiamo costruito un test comparativo per voi, che vi invitiamo a riprovare a casa, e che vi dimostrerà quanto erronea sia questa eterna convinzione. Al termine del test seguirà anche una spiegazione tecnica del risultato.
La doppia prova: i parametri del test
Per il nostro test abbiamo realizzato due pani diversi con lievito madre, seguendo l’esatta ricetta (pubblicata su Dissapore) che potete trovare a questo link.
Tutte le variabili sono state mantenute pressoché identiche: quantitativo di lievito, idratazione (75% sul peso della farina), sale, tempi e modalità di riposo, nonché la cottura a 250 °C in una pentola di ghisa.
L’unica cosa a variare è stata, logicamente, la farina. Abbiamo scelto per il primo pane del grano duro semolato (ovvero privato della maggior parte della crusca), una varietà molto profumata, debole e con un contenuto di ceneri assimilabile ad una tipo 1 di grano tenero (trovate qui un veloce ripasso sulle tipologie di farina). Per il secondo pane abbiamo invece scelto una farina di tipo 1 debole (con un W indicato principalmente per frolla e grissini).
Il motivo di queste due scelte è molto semplice: da un lato si è voluto ricercare una somiglianza il più possibile vicina per quanto riguarda la risposta all’acqua e la tenuta ai tempi di lievitazione (il grano duro di norma non è particolarmente forte, né adatto a riposi lunghi); dall’altro, lavorare con caratteristiche reologiche di questo tipo mette sotto stress entrambi i prodotti, che tendenzialmente con una farina meno forte avranno più probabilità di generare croccantezza.
Perché vi sia chiaro, pensate alla differenza tra un cracker e un pan brioches: perché per il primo si usa una farina più debole?
Perché un maggior quantitativo di glutine rende più tenaci i legami proteici, che saranno quindi più difficili da spezzare.
Per finire, anche le pagnotte verranno realizzate con lo stesso quantitativo e riposte nello stesso cestino, per lo stesso tempo alle stesse temperature: 1 kg, in cestini da 20 cm coperti da un panno di lino, e riposeranno per 12 ore a 8 °C.
Il test: il pane con farina di grano duro
Ricapitoliamo velocemente il processo visto nella ricetta.
Dopo aver rinfrescato correttamente il nostro lievito, mettiamolo nella nostra impastatrice con la farina di grano duro, metà dell’acqua e misceliamo.
A glutine formato aggiungiamo il sale e l’acqua rimanente a filo, fino a chiudere ad una temperatura di 23-24 °C, con massa liscia, asciutta ed elastica.
Diamo quindi una forma all’impasto e mettiamolo al caldo a lievitare per 2-3 ore a 26-28 °C, fino al raddoppio.
Terminata la puntata, rovesciamo l’impasto su una spianatoia, chiudiamo leggermente per la preforma, poi diamo la forma finale dopo 30 minuti ripiegando e chiudendo bene i lembi dell’impasto.
Trasferiamo a testa in giù in un cestino coperto da un panno di lino leggermente infarinato, mettiamo un velo di farina anche sulla pagnotta e chiudiamo il panno; facciamo quindi partire per 1 ora a temperatura ambiente, poi mettiamo il tutto in cella a 8 °C per 12 ore.
A questo punto siamo pronti per cuocere: forno pre-riscaldato (insieme alla pentola di ghisa) a 250 °C, rovesciamo la pagnotta nella pentola, diamo un taglio e posizioniamo nella parte bassa del forno per 40 minuti con coperchio, e 20 minuti senza abbassando a 200 °C.
Sforniamo e lasciamo riposare su griglia rialzata almeno 2 ore prima di sezionarlo.
A questo punto, osserviamo bene il risultato per un giudizio di tutte le caratteristiche.
Colore uniforme, di un ambrato tendente al giallo, e la crosta esterna presenta qualche bollicina poco evidente.
Dal volume, dall’apertura del taglio e da quella della mollica giudichiamo invece l’espansione, di media entità; il taglio si è allargato ma senza esplodere, mentre la mollica si presenta con un’alveolatura molto fine e uniforme, sebbene non presenti nessun punto di collasso o cedimento (sintomo di una lievitazione svolta correttamente).
La crosta è mediamente spessa, di un colore dorato scuro, ma la cosa importante è che è relativamente ancorata alla mollica.
Sono, neanche a dirlo, i tratti distintivi di un impasto da grano duro: mollica uniforme, morbida e spugnosa, colore ambrato tendente al giallo, profumi e sapori più marcati, crosta più spessa e morbida.
La smentita: il pane con farina di grano tenero
Passiamo al secondo test con il grano tenero; il procedimento è lo stesso, quindi non staremo a ripeterlo.
Vi avverto che noterete parecchie differenze già all’utilizzo: la particolare struttura del glutine del grano duro e il suo assorbimento differente rende gli impasti più umidi, molto simili a quelli per gnocchi.
In questo caso invece troverete senz’altro una formatura più asciutta e agevole da lavorare, nonostante la bassa forza.
Rovesciamo nella nostra pentola, pratichiamo il taglio, cuociamo nelle medesime tempistiche e lasciamo raffreddare due ore prima di sezionare.
Detto fatto, osserviamo il nostro risultato.
Colore sempre molto uniforme, ma tendente al bruno, con bollicine molto evidenti e sparse su tutta la superficie.
La cosa impressionante è la crosta, molto sottile e con crepe ben visibili, che suggeriscono una friabilità estrema. L’espansione è poi decisamente più imponente del primo test; basta osservare il volume raggiunto in pentola, l’apertura del taglio e della mollica, molto diverse.
Da notare infine la crosta, che in molte parti si distacca dalla mollica, offrendo ampie zone vuote proprio sul contorno.
Sono, di fatto, le caratteristiche di un prodotto realizzato con il grano tenero: mollica aperta ed eterogenea, colore bruno, profumi più neutri ed equilibrati, crosta sottile e croccante.
La spiegazione tecnica
A questo punto siamo pronti per il verdetto finale: il grano duro non conferisce croccantezza.
“Sì l’ho capito, ma perché?” direte voi.
La spiegazione (come anticipato e suggerito anche dal giudizio dei test singoli) è da ricercare nella particolare struttura del glutine formato dal grano duro, più chiuso e tenace.
La maglia glutinica è corta e stretta, fitta e resistente, con conseguenti alveoli piccoli e uniformemente distribuiti. É il motivo per cui di fatto spesso si consiglia di praticare l’autolisi per questi impasti, in modo da consentire alle reazioni enzimatiche di proteolisi di aumentare l’estensibilità dei legami.
Al contrario, il grano tenero ha una maglia molto più equilibrata, con un’espansione ben più agevole e una maglia glutinica più aperta ed estesa, con conseguenti alveoli più grandi ed eterogenei.
Tale caratteristica si ripercuote inevitabilmente sull’espansione dei prodotti; è possibile vederlo già nel volume finale delle nostre pagnotte:
Con il grano duro, raggiungiamo un’espansione media, e nel cestino c’è ancora spazio.
Stesso contenitore, ma con il grano tenero il volume è completamente coperto.
Un concetto direttamente collegato è la reazione della crosta.
Nel grano duro, la minore espansione impedisce alla mollica di staccarsi completamente dallo strato esterno; la reazione di Maillard copre quindi uno strato maggiore, realizzando una crosta più spessa, ma che avendo poca aria nella parte sottostante cuoce in maniera più lenta, in quanto il calore entra in modo meno efficace.
Al contrario, l’espansione esplosiva del grano tenero consente alla crosta di dilatarsi, risultando più sottile; grazie all’apertura maggiore il calore entra meglio, in maniera più rapida ed efficace e rende l’esterno molto croccante e friabile.
Bene, ora che abbiamo smentito l’ennesima bufala panificatoria con un doppio test, siete pronti a dare il benservito a vostro cugino la prossima volta che vi consiglierà della semola per rendere più croccante la vostra pizza.
Il grano duro teniamolo per fare una stupenda focaccia barese, morbida, unta e saporita.