È sempre il momento giusto per portare in tavola un grande secondo di mare. Come l’orata al forno senza errori. Acquistata dal pescivendolo di fiducia, pescata, fresca, l’occhio vivo, la pelle argentea, la polpa soda ed elastica che, premuta con un dito, torna subito ben rigonfia.
Una bontà che sarebbe un delitto rovinare sbagliando questo e quello. Eccovi allora la consueta carrellata di errori da evitare per una preparazione perfetta di questo pesce, l’orata al forno. Errori che, naturalmente, si applicano a qualunque pesce intero (spigola, dentice, cernia o quel che offre la pescheria) di dimensioni medie, grandi o grandissime, fra i 5-600 grammi, da porzione, e i 2 chili abbondanti, adatti a una bella cena fra amici.
Che ve ne saranno grati a lungo.
1. Non pulirla e lavarla bene
Come tutto, anche un’orata deve essere ben preparata per la cottura. Va da sé che deve essere pulita dalle interiora e squamata. Occorre tagliare anche le pinne dorsale, ventrali e ai lati delle branchie. Poi il pesce va lavato, dentro e fuori, e asciugato con cura con abbondante carta da cucina.
Capitolo condimenti: sale e pepe esternamente e internamente, erbe e aromi – se vi va – nel ventre, olio uniforme. Io preferisco massaggiarlo sull’orata, prima di salare e pepare, piuttosto che irrorarlo una volta in teglia lasciandolo scorrere via.
I pesci più grandi si possono incidere sui fianchi con due, tre tagli netti e paralleli, che faciliteranno la penetrazione dei condimenti e, in cottura, quella del calore.
Aggiungete comunque un filo d’olio della teglia che vi aiuterà a ottenere un fondo ricco, come spieghiamo al punto 4.
2. Sbagliare temperatura di cottura
È il grande punto di domanda di fronte a ogni cottura al forno: quanti gradi? Io sono per i 200° anche se orate di grandi dimensioni possono essere avvantaggiate da una ventina di grandi in meno in modo che abbiano tutto il tempo di cuocere all’interno senza bruciare fuori.
Premesso che personalmente non ho mai visto qualcuno che riuscisse a bruciare il pesce, naturalmente umido. Piuttosto, esiste il rischio opposto, e ve ne parlo tra poco.
Tornando alle temperature, più basse vi farebbero fare un pesce bollito (a proposito, infornatelo a forno già caldo). Mentre più alte asciugherebbero eccessivamente la polpa.
Stessa cosa la funzione ventilata. Anche se: io il pesce lo cucino statico, però ventilo negli ultimi minuti perché la pelle superiore, se diventa croccante, invece di scartarla in fase di pulizia (vedi punto 5), la faccio finire nel mio piatto.
3. Lasciarla al sangue
Questo è veramente l’Errore con la E maiuscola. Accingersi a pulire l’orata senza riuscire a staccare i filetti, avvinghiati alla lisca centrale ancora rossa di sangue, è pulp, brutto da vedere e peggio da mangiare.
Come fare per cuocerla a puntino? Oltre alla giusta temperatura, potete tenere conto dei tempi: dai 25 minuti di un’orata intorno ai 5-600 grammi si va a salire fino a 35 per un chilo di peso, 40-50 o persino un’ora per taglie grandi e grandissime.
Potete naturalmente guardare l’occhio, che da nero e vivo deve essere diventato bianco e decisamente morto. Sbirciare nelle branchie, che non devono essere più rosse ma marrone scuro. Sollevare il ventre, per verificare che all’interno la carne sia opaca, non più traslucida.
Ma, nel dubbio, un controllo al cuore va fatto. Potete incidere la polpa con un coltellino sottile e affilato, nella parte centrale più spessa dell’orata, fino a toccare la spina dorsale, allargando leggermente l’apertura per controllare che non ci sia sangue.
Oppure, ed è sempre la cosa migliore, infilare nello stesso punto un termometro a sonda: la giusta temperatura interna è intorno ai 65°, superati i 70° la polpa si spappa.
4. Snobbare il fondo
L’orata ha dei succhi. Tanti succhi. Che durante la cottura precipitano sul fondo formando già solo con l’olio, il sale e il pepe un sughetto delizioso.
Vietato lasciarlo lì: sfilettato il pesce (vedi punto successivo), scolatelo filtrandolo attraverso un colino e irroratelo sulla polpa.
Ovvio che si può arricchire con mille altre cose: un paio di spicchi d’aglio vestiti e schiacciati, qualche pomodorino spaccato, rametti di erbe, vino bianco.
Solo, non eccedete con i liquidi perché, aggiunti a quelli rilasciati naturalmente dall’orata, formerebbero un bagnetto che lesserebbe troppo il fondo del pesce.
C’è poi il “letto di”: patate, che si inzuppano del sughetto di cui sopra. Ma anche fettine di limone, se vi piace, biologico e ben lavato.
Inutile dire che il letto di patate vi obbliga a spostare il pesce su un vassoio per porzionarlo, come vado a spiegarvi.
5. Servirla male in tavola
Se non avete fatto l’alberghiero o, comunque, non possedete l’abilità necessaria per sfilettare con disinvoltura l’orata cotta, non c’è niente di peggio che armeggiare con paletta e cucchiaio per fare le porzioni, cercando di scrollare dai polpastrelli pezzetti di pelle e sfilando lische con le unghie. Mentre tutti vi guardano.
Molto meglio portarla in tavola per farla ammirare, incassare con garbo i complimenti, poi ritrarvi a smembrarla nell’intimità della vostra cucina o, comunque, dando le spalle agli ospiti.
Resta che la tecnica è abbastanza semplice.
Utensili: cucchiaio e paletta, oppure forchetta, che però occorre utilizzare con delicatezza per evitare che i rebbi sfaldino eccessivamente la polpa.
Per prima cosa, incidete con il cucchiaio, usato di taglio, la polpa all’altezza della testa e della coda, poi staccate le piccole spine dorsali: man mano che producete scarti, toglieteli dalla teglia e metteteli in un piatto a parte, altrimenti se ne vanno in giro e finisce che li servite insieme ai filetti.
A questo punto, sollevate delicatamente la pelle ed eliminatela. Eliminate anche le lische ventrali.
Praticate un’incisione lungo la spina, sollevate con grande delicatezza il filetto dorsale e quello ventrale (è ora che una paletta lunga si rivela utilissima) e trasferiteli nel piatto di servizio o in quelli individuali.
Piccola nota: se servite un grande pesce, fate le porzioni cercando di mettere nei singoli piatti sia parti di dorso che parti di ventre.
Afferrate la coda e sollevate la lisca, che verrà via con la testa. Staccate quest’ultima e mettetela sul piatto di servizio (o in uno a parte), che contiene un sacco di roba buona da spiluccare.
Non avete che da ricavare gli ultimi due filetti, separandoli delicatamente dalla pelle sottostante.
E concludo: l’operazione non è rapidissima (sempre se non avete fatto l’alberghiero eccetera eccetera): piatti caldi sono un’ottima idea.
Cosa dite? State andando in pescheria? Vengo anch’io.