L’altro giorno qualcuno parlava sui social del tema dei “guilty pleasure” scrivendo di non avere nessun guilty pleasure perché se non sei cattolico la morale del peccato non ti appartiene. E in effetti è così, ma non per me che nella cultura dei chierichetti e dei confessionali ci ho sguazzato fin da bambina. Passato che ho condiviso con Fra Francesco Roger, il frate francescano che pubblicò nel XVIII secolo il libro “Art de la Cuina, llibre cuina menorquina” in cui è riportata la prima attestazione scritta della ricetta della maionese, che lui però chiama aioli.
Sulla confusione tra aioli e maionese si potrebbe scrivere un trattato anche tra i gourmet più ferrati, così come su dove debba cadere l’accento nella pronuncia di aioli. Le assonanze però ci vengono in soccorso e sebbene le due creme sembrino molto simili, nella prima c’è l’aglio a fare la differenza, mentre nella seconda i tuorli delle uova. La preparazione dell’aioli del frate ricorre almeno in due passaggi, in cui la crema fa da accompagnamento ai piatti, identità che nel tempo gli è rimasta cucita addosso: la maionese non si mangia da sola ma con pesce, carni, uova e verdure, in tempi più recenti con le patate fritte e l’hamburger. In questo modo è sicuro che se fosse stata una maionese dozzinale dal retrogusto chimico, praticamente nessuno se ne sarebbe accorto. Ragion per cui raccomando vivamente un assaggio al cucchiaio per testarne la bontà.
Negli anni in cui il colesterolo è diventato un nemico pubblico insieme all’uso corretto della punteggiatura e ai monopattini, si è cominciato a dire con insistenza che mangiare più di due uova a settimana fosse assolutamente sconsigliato. Così la maionese e tutti i prodotti che hanno le uova alla base, sono sembrati un po’ meno adatti ad essere divorati con una certa abbondanza. Oggi sul tema permangono questioni contrastanti che vengono poste in esame da tutti i medici seri: demonizzare le uova d’emblée non serve a nulla, ma il consumo va sempre ragionato. Peraltro io mi pongo nel filone degli eretici che ritiene validissima le creme vegane di nuova generazione che non chiamerò maionesi vegetali per non urtare la sensibilità di nessuno, ma che sono esattamente quello.
Il mondo poi si divide in altri due blocchi: quello che preferisce il ketchup e quello che preferisce la maionese. Questa distinzione è interessante se si ritorna a quello che si diceva sopra, ovvero che secondo una pratica comune la maionese non può essere mai mangiata da sola e quindi la dicotomia tra ketchup e maionese ha senso solo se vista nell’ottica in cui ci è stata presentata più di frequente: ovvero scegliere la salsa più adeguata per annegarci le patatine fritte, anche quelle da mangiare solo in accompagnamento a un hamburger, sennò niente. Come se uno non potesse mangiare entrambe, possibilmente non mischiandole (sulla salsa rosa non mi trovate favorevole, fatta eccezione per il colore, mi dispiace).
In realtà nel libro “L’arte e la scienza del Foodpairing” edito da SlowFood si scrive che è l’abbinamento ketchup e patatine fritte ad essere vincente perché “hanno in comune note di caramello e di formaggio, ma è il contrasto tra l’unto-salato delle patate e l’agrodolce della salsa a rendere la combinazione irresistibile”. C’è poi un riferimento cinematografico che ha legittimato molte persone a ritenere la maionese ontologicamente inferiore al ketchup: è una scena di Pulp Fiction in cui John Travolta e Samuel L. Jackson parlano nella macchina prendendo in giro l’abitudine degli olandesi di mettere la maionese sulle patatine al posto del ketchup. Maionese che Travolta chiama “merda gialla”.
Visto che abbiamo parlato di salsa rosa dobbiamo fare un accenno al fatto che la maionese abbia un potere intrinseco fortissimo: quello della fluidità. Vi si possono aggiungere praticamente ogni tipo di ingredienti per renderla comunque apprezzabile. I puristi storceranno il naso, ma le versioni ci sono e sono tanto più diffuse di quello che si potrebbe credere. Come la salsa tartara con aggiunta di capperi, prezzemolo o cetriolini, o la salsa tonnata che ha nel nome la sua aggiunta principale o la salsa rosa di cui dicevo prima.
C’è una salsa americana che ha un’origine complicata e prende il nome da un arcipelago di quasi 2000 isole che galleggiano sul fiume San Lorenzo, che scorre nel Nord America ed è diviso tra Canada e Stati Uniti. La salsa Thousands Islands ha come caratteristica quella di contenere una lunghissima trafila di ingredienti, come sottaceti, uova sode, cipolle, prezzemolo, erba cipollina, paprika, senape, aceto, peperoncino, tabasco, passata di pomodoro, salsa Worcestershire, mostarda e mi fermo qui ma potrei andare oltre. Un altro degli aspetti che racconta la potenza della maionese è la sua ridondanza, e questa salsa Thousands Islands lo conferma: in Italia se provi a mettere pasta e pane insieme o pizza e pasta insieme, sei bandito perché “carboidrato su carboidrato non si fa”. Però le uova in crema sulle uova sode sì, non lo capiremo mai.
Se volessimo elencare molte delle ragioni per cui la maionese è assolutamente amabile, potremmo citare anche i numerosi articoli in cui si consiglia di usarla per fare impacchi nei capelli, rendendoli più lucidi e robusti. Io preferisco non provarci, ma voglio andare sulla fiducia. Tra gli usi alternativi citati di questo prodigioso alimento, ci sono anche l’oliatura delle porte e delle maniglie che scricchiolano (molto intuitivo) e la pulizia delle macchie causate da residui di vernice. Cosa che non vi sto assolutamente consigliando di fare, mi ripeto.
La maionese si può fare a casa in pochissimi minuti, ormai. Prima non era così, come testimonia uno splendido spezzone del film “Grandi Magazzini” del 1986 in cui Renato Pozzetto in veste di corriere deve consegnare un pacco sfidando le grinfie di un enorme alano mentre la signora, la padrona di casa, non può uscire perché sta facendo la maionese a mano e non può interrompersi sennò quella “impazzisce”.
Nonostante i prodigi del minipimer, la maggior parte delle persone continua a comprare la crema gialla nella grande distribuzione. Uno dei motivi (più che legittimi) si può ricondurre alla paura delle uova non pastorizzate, che possono diventare un pericoloso veicolo di salmonella, come testimonia un episodio del 2016 in cui un’intera famiglia, nonna compresa, di Bassano del Grappa finì all’ospedale perché il padre aveva deciso di preparare la maionese in casa.
La questione della sicurezza alimentare ha permesso ad alcuni campioni di mercato, come Calvé, Kraft e Heinz (quest’ultime in realtà fanno parte dello stesso gruppo) di diventare famosi in tutto il mondo per le loro maionesi. Tra di loro, sia Calvé che Heinz offrono lo stesso numero di referenze, cinque tipologie di ricette che possono presentarsi anche con confezioni diverse. Nel caso di Heinz, oltre alla maionese “originale” c’è quella vegana, quella con il ketchup, quella al tartufo, quella al limone e pepe nero.
Per Calvé invece ci sono: la classica, la fresca, la cremosa, la raffinata e la vegetale. Kraft infine è quella che propone anche il secchio di maionese con 5 kili di prodotto, la bustina monouso e il tubetto tipo “dentifricio” da 150 ml, oltre al classico vasetto in vetro.
Nel 2021 Altroconsumo testò 21 maionesi del supermercato diverse, constatando che “Tutti i prodotti, anche quelli che si definiscono leggeri, sono nutrizionalmente sbilanciati e vanno consumati con moderazione”. Eppure per me la maionese continua ad essere uno di quegli alimenti che metterei anche sui biscotti per fare merenda, per quanto non la compri quasi mai. Il motivo mi pare semplice: la grassezza del sapore nonché la sua pienezza, il bilanciamento di punte d’acido, salato e dolce, la consistenza voluttuosa. Se poi si guarda questo video in slow motion in cui quello della maionese appare un miracolo della gastronomia, il colpo di fulmine è assicurato.