Fare slurp è concesso, anzi incoraggiato. Oggi ci occupiamo di noodles, il formato di pasta tipico dell’Asia orientale. L’area corrisponde più o meno alle origini della “pasta” vera e propria, con buona pace di arabi e italiani che ne rivendicano a loro volta la paternità. I noodles si consumano in Cina da ben quattromila anni, e la prima testimonianza scritta risale al III secolo AC alla voce mian pian nel dizionario cinese. Dalla Terra di Mezzo (Zhongguo) i noodles si sono diffusi dapprima nelle aree circostanti come Giappone, Corea e sud est asiatico per poi arrivare, tramite Via della Seta, fino in Occidente. All’inizio si trattava di piccoli pezzi tagliati da un impasto di frumento e fatti bollire velocemente nel wok. Da questi primi, grossolani esperimenti, tecniche e ingredienti si sono affinati e diversificati. Oggi ci sono master chef di noodles altamente qualificati che ricavano lunghi (a volte lunghissimi) spaghetti dalle materie prime più disparate: riso, soia, fagioli mungo, grano saraceno, patata dolce, addirittura alghe e ghiande.
Piccolo chiarimento: se in questa lista vi aspettate di trovare pad thai, pho e yakisoba questo non è l’articolo per voi. Qui si parla di noodles asiatici in quanto formato di pasta e non come vengono preparati nei piatti che li vedono protagonisti. Per fare un parallelismo all’italiana: invece di elencare carbonara, amatriciana e arrabbiata, il focus è su spaghetti, penne, fusilli e via dicendo.
Tutto chiaro? Molto bene, munitevi di bacchette che si comincia. Ecco i 15 tipi di noodles asiatici da conoscere, da udon a soba, somen, vermicelli, dangmyeon e molti altri.
Udon
Iniziamo il nostro viaggio dal Giappone. Gli udon sono il formato di pasta più popolare: si tratta di grossi e spessi noodles di frumento dalla caratteristica consistenza densa e gommosa. I metodi più comuni per preparali sono in brodo semplice di dashi, mirin e salsa soia (kake udon) o saltati (yaki udon) con carne e verdure. Di base sono diffusi in tutto il Sol Levante, ma ci sono varietà locali che spiccano per qualità, forma e metodo di produzione. Eccone alcune:
- Sanuki udon: specialità gastronomica della prefettura di Kagawa, sono impastati e tirati a mano e cotti rigorosamente al dente per mantenerne la caratteristica densità.
- Inaniwa udon: specialità storica della prefettura di Akita dal 17esimo secolo. Gli udon sono stagionati, impastati più volte e fatti leggermente essiccare: al termine del processo risultano sottili e lisci, più simili ai nostri spaghetti che agli udon classici.
- Himokawa udon: tipici di Kyriu (prefettura di Gunma), sono larghi e piatti simili alle nostre fettuccine.
Soba
I soba sono gli spaghetti giapponesi di grano saraceno immediatamente riconoscibili. Sottili, di colore marroncino, formato medio-lungo. Il nome stesso li identifica immediatamente: soba in giapponese vuol dire proprio grano saraceno. Attenzione però: la stragrande maggioranza delle volte contengono anche una percentuale di frumento, quindi occhio se siete allergici. Il loro consumo risale al periodo Edo (1603-1867) e tradizionalmente rappresentano la longevità. I piatti a base di soba dunque venivano consumati in occasioni importanti come il nuovo anno o il genetliaco dell’imperatore. Un motivo in più per riservare loro un’occasione speciale deriva dal sofisticato metodo di produzione. Un detto giapponese (riferendosi alle fasi di apprendimento per padroneggiarne la ricetta) recita: un anno per l’impasto, un anno per stenderlo, un anno per tagliarlo.
I metodi classici per gustare i soba sono caldi in brodo (kake soba) o freddi nel tipico cestino di bamboo che permette di eliminare ogni umidità residua. In questo caso si distingue in zaru soba (con alga nori) e mori soba (senza alga nori), Accanto ai noodles freddi c’è sempre la tsuyu, salsa a base di soia, dashi, mirin e zucchero per inzupparli. Ecco alcune varietà tipiche giapponesi:
- Shinano soba: dalla prefettura di Nagamo, è considerata una delle più pregiate. Fatti di grano saraceno, farina di frumento e acqua, questi soba si consumano freddi con tsuyu, wasabi, uova di quaglia e cipollotto
- Juwari soba: fatti con il 100% di farina di grano saraceno, hanno colore più scuro, consistenza granulosa e aroma tostato. Juwari è considerata la varietà più tradizionale e versatile per zuppe e insalate.
- Inaka soba: noodles rustici di grano saraceno (inaka sta per “campagna”) più spessi, scuri e dal sapore intenso.
- Sarashina soba: noodles di grano saraceno raffinato, più sottili, chiari e dal sapore dolciastro.
Ramen noodles
Bisogna sapere che il ramen non è solo il brodo. I ramen noodles sono gli spaghetti di frumento tipici usati in questa preparazione, di colore giallo pallido e consistenza abbastanza densa. Va detto che il ramen (di nuovo, il brodo) può essere servito anche con udon o soba. Cosa differenzia allora i ramen noodles dagli altri? La presenza del kansui, un tipo di acqua minerale alcalina che contiene carbonato di sodio, carbonato di potassio e tracce di acido fosforico. Questa formula chimica conferisce ai ramen noodles la texture scivolosa che li caratterizza, perfetta per lo slurp sonoro (tsuru tsuru) che in Giappone è considerato regola di educazione per dimostrare apprezzamento.
Somen
I somen sono i noodles giapponesi di frumento più sottili. Immaginiamo, appunto, uno spaghetto: se a un’estremità ci sono gli udon (densi e cicciotti), dall’altra ci sono i somen. In mezzo troviamo gli hiyamugi, formato di pasta da 1,3-1,7 mm di diametro. Le misure dunque, anche se minime, sono importanti. I somen si distinguono per la loro particolare storia ed evoluzione. Importati dalla Cina nel 700 DC, originariamente erano a base di farina di riso. Poi, specialmente dalle regioni sud e ovest del Giappone dove era il frumento era la coltura prevalente, la materia prima è stata gradualmente sostituita.
I somen così sono diventati status symbol della nobiltà per le loro caratteristiche di purezza e qualità dell’ingrediente di base. Un po’ come da noi dove, in passato, il pane bianco di frumento era contrapposto al pane nero dei contadini. Successivamente i somen sono stati associati al buddismo, in particolare al festival Tanabata (o festa delle stelle) celebrata fra luglio e agosto. Si riteneva che consumare i noodles in questa occasione sacra proteggesse dalle malattie. Da qui la componente tipicamente estiva dei somen, che oggi sono comunemente consumati freddi con l’immancabile salsa da inzuppo men-tsuyu ed eventuali topping di zenzero grattugiato, cipollotto, alghe, wasabi, semi di sesamo.
Shirataki
Zero calorie, anzi calorie negative. La giapponese shirataki è una tipologia di noodle più unica che rara. La materia prima è la radice di konjac, pianta asiatica detta anche Lingua di Diavolo. Il suo amido, combinato con acqua e acqua di calce, diventa konnyaku, una sorta di gelatina vegetale che può essere utilizzata per varie preparazioni, da caramelle gommose a sostituto vegano del pesce. Prendiamo il microscopio: l’agente gelificante del konnyaku è il glucomannano, un polisaccaride in grado di assorbire grandi quantità di liquidi (pertanto capace di aumentare il senso di sazietà) e inibire l’assorbimento di lipidi e carboidrati.
Ok la lezione bio-chimica, ma cosa c’è nel piatto? Gli shirataki sono noodles biancastri e traslucidi la cui cottura è quasi istantanea, candidati perfetti per la tecnica del fuoco spento. Il gusto c’è, ma solo se ce lo mettete voi. Grazie alla loro costituzione di acqua e fibra non digeribile vanno giù senza che quasi ci si accorga (riferimento per millenials: Casper). Noodles tipicamente estivi, sono perfetti per insalate, pokè bowl e brodi alla Gwyneth Paltrow.
Lamian
Dal Giappone ci spostiamo in Cina con una varietà di altissimo livello. I lamian sono lunghissimi noodles di frumento fatti a mano. La loro tradizione è molto antica, tanto che la prima ricetta scritta risale al 1504. Il nome stesso ci dice qualcosa sul loro laborioso processo produttivo: la significa tirare o stendere, mian significa pasta. Questi noodles possono raggiungere e superare il metro di lunghezza, con una tecnica altamente qualificata e una componente fisica affatto secondaria. Lo stile Lanzhou (dall’omonima città al nord della Cina dove hanno avuto origine) è particolarmente aggressivo, al limite del coreografico. Lo chef stende, getta e attorciglia ripetutamente l’impasto per fare in modo che il glutine si allinei su tutta la superficie. Di norma le estremità sono eliminate perché sono i punti in cui il glutine è distribuito meno uniformemente.
I lamian sono tipicamente serviti durante il Capodanno cinese. La loro lunghezza li rende simbolo di longevità e prosperità, da cui il buon augurio per un nuovo inizio. Vengono consumati in brodo di manzo (tangmian), stir-fry (chaomian) o in versione halal dalla minoranza musulmana Hui.
Yi mein
Gli yi mein sono i noodles cantonesi di uova e frumento. Potremmo azzardare un paragone con i bigoli nostrani: spaghettoni cicciotti, color giallo carico, di consistenza elastica e gommosa. Tuttavia, a differenza dei bigoli, gli yi mein fanno raramente il paio con la carne. Di solito sono consumati plain, con giusto un goccio di olio al peperoncino ed erba cipollina, oppure in abbinamento con i crostacei (granchio, aragosta, gamberi). D’altronde siamo nella provincia (Guangdong) costiera per eccellenza, direttamente affacciata sul Mar Cinese Meridionale. E, per lo stesso motivo, anche la più generosa in termini di emigrazione. Da qui la popolarità dei piatti cantonesi o presunti tali (vedi il riso fritto) nei ristoranti in giro per il mondo: se volete fare i saputi, la prossima volta ordinate un bel piattone di yi mein con cipollotto e funghi shiitake.
Lai fun
Altra specialità cantonese sono i lai fun, particolari per formato e ingredienti. Si tratta infatti di noodles medio-corti a base di farina di riso e tapioca. In particolare l’amido di tapioca conferisce loro una consistenza molto densa e masticosa, al limite del gommoso. Un formato di pasta molto simile sono i silver needle del Meizhou, città-prefettura a est del Guangdong. Sono corti e biancastri esattamente come i lai fun ma caratterizzati da un taglio particolare a “coda di topo”. Per questo motivo vengono soprannominati rat noodles, non esattamente invogliante ma tant’è. Un’altra differenza sta negli ingredienti: come addensante, al posto della tapioca, si utilizza l’amido di mais. Entrambe le tipologie sono servite in brodo, casseruola o saltate nel wok con verdure, carne e uova. Niente ratti, state sereni.
Migan
I migan sono fettucine fresche di riso tipiche dello Yunnan. Di colore bianco, piatte e larghe, sono costituite da acqua e farina di riso non glutinoso. Sono un classico da colazione, specialmente in brodo: la base è di pollo con pepe di Sichuan, coriandolo, aglio, salsa di soia, cipollotto, aceto e pomodori. Simili per ingredienti e provenienza troviamo i mixian. Stavolta però si tratta a tutti gli effetti di spaghetti di riso tondi, caratterizzati da texture liscia e sapore leggermente tostato.
Il piatto tipico da provare è il guo qiao mixian, letteralmente “noodles che attraversano il ponte”. Si tratta di una zuppa con uno spesso strato di grasso di pollo e olio piccante sulla superficie. Leggenda narra che il piatto fu inventato dalla moglie di uno studente che doveva recarsi tutti i giorni su un’isola per frequentare le lezioni. Ogni volta che attraversava il ponte per portare il pasto al marito però la moglie si accorgeva che la zuppa da casa era ormai diventata fredda. Così, per mantenere la temperatura, decise di aggiungere la componente grassa alla zuppa e di porre i noodles in un contenitore separato. Un piatto nuovo nasce, un matrimonio regge, una bella storia finisce.
Dangmyeon
Dopo la Cina ci spostiamo in Corea. Il formato di pasta più diffuso si chiama dangmyeon e fa parte della grande famiglia dei cosiddetti cellophane noodles (poi ci arriviamo). I dangmyeon sono sottili spaghettini a base di amido di patata dolce, dall’aspetto traslucido e consistenza collosa. Sono popolari in tutta la penisola coreana, Nord compreso. Il piatto tipico che più li rappresenta è il japchae, stir-fry che rispetta la regola dei cinque colori ubiquitari nella cucina coreana: verde spinaci, rosso carote, nero funghi, giallo e bianco uova. Il japchae è spesso vegetariano ma può contenere anche manzo o pesce.
L’alternativa nordcoreana è il naengmyeon, spaghetti a base di amido e grano saraceno in brodo freddo di manzo. Questa specialità tipicamente estiva viene servita con uova sode, ravanelli in salamoia, fette di pera coreana e condimento a base di aceto e semi di senape. Difficile che riuscirete mai a provarlo in loco, visto che la Corea del Nord è una delle dittature più chiuse e autoritarie del pianeta. Ma ehi, know your enemy e magari mangiaci insieme che a tavola fa un po’ meno paura.
Garak guksu
I garak guksu sono la versione coreana degli udon giapponesi. Si tratta di spessi spaghetti a base di farina di frumento e acqua salata, perfetti per essere inzuppati. Difatti garak guksu è anche il nome del piatto che li vede protagonisti: brodo di manzo con olio di sesamo, kimchi, polpette di pesce, uovo fritto. Corposo e nutriente, perfetto per i rigidi inverni coreani. Simili ai garak guksu troviamo i dotori guksu, a base di farina di ghiande; e gli olchaengi guksu, a base di chicchi di mais macinati e dalla forma tozza che ricorda molto gli spätzle tirolesi.
Cheonsachae
Un’altra curiosa tipologia coreana è costituita dai cheonsachae. Traslucidi e praticamente trasparenti, sono noodles di kelp, la super alga ricca di calcio nonché ferro e vitamina K. Zero farina e pochissime calorie, siamo a livello degli shirataki ma con un profilo nutrizionale un pelo più complesso. La pasta che se ne ricava ha consistenza croccante e può essere consumata cruda in insalata, oppure leggermente scottata e saltata in padella.
Bánh pho
Arriviamo in Vietnam con il cucchiaio in mano, pronti ad affondarlo nel profumatissimo pho. Fra le star indiscusse della cucina vietnamita, il brodo impreziosito da erbe aromatiche fresche ha una costante nei noodles che se ne stanno appena sotto la superficie. Si tratta dei bánh pho, fettuccine di riso piatte e allargate. Da crude sono di colore bianco mentre in cottura diventano traslucide, mantenendo tuttavia una consistenza poco più che al dente. Il pho è evidentemente il loro ambiente naturale, ma possono essere servite anche asciutte saltate in padella con tofu, verdure e funghi.
Vermicelli
Da non confondere con i vermicelli campani! I vermicelli asiatici sono stati inventati in Cina più di duemila anni fa alla corte dei Qin. Da quel momento in poi si sono diffusi in tutta l’Asia orientale: Vietnam, Malesia, India, Myanmar, Taiwan, Pakistan, Singapore. Forma, lunghezza e spessore variano di paese in paese, di piatto tipico in piatto tipico. La grande famiglia dei vermicelli è accomunata dagli ingredienti di base, acqua e farina di riso. I più popolari in Occidente sono sottili e trasparenti, ma possono essere piatti e larghi come fettuccine, o tondi e spessi come spaghettoni. Insomma, un universo da scoprire, anzi arrotolare!
Cellophane
Insieme ai vermicelli di riso, l’altro grande clan di noodles asiatici è costituito dai cellophane o glass noodles. In questo caso la materia prima è acqua più amido. Maggiormente diffuso è forse quello di fagioli mungo, ma anche patata dolce (come i dangmyeon), yam, cassava o canna, una pianta simile al giglio. Il glass o vetro si riferisce al loro aspetto sottile e trasparente. Anche i cellophane sono diffusi in tutta l’Asia orientale e, oltre a brodo e pasta, possono essere utilizzati nel ripieno degli involtini come spring e summer rolls vietnamiti. Per prepararli basta il calore a induzione: immergete i noodles quando l’acqua bolle e spegnete subito il fuoco. Mescolate per 3-4 minuti e scolate, preferibilmente in wok per una saporita passata in salsa di soia, aceto di riso, salsa di pesce e olio di sesamo.