Non sento la mancanza del matrimonio a cominciare dal pranzo

Da domani è Marzo, e a breve ricomincerà il walzer dei matrimoni in bianco, in rosa e in salsa cocktail. Anche io, pur lontana anni luce da qualsivoglia progetto a due, mi sono imbucata in una fiera di settore per scoprire cosa vogliono mangiare, quanto sono disposte a spendere e quali vertici mangerecci intendono raggiungere le novelle sposine – e le loro mamme – nella stagione 2011-2012. Entriamo in due, giovani fanciulle dalla faccia incuriosita. Ci attendono come ai blocchi di partenza, armati di menù prestampati e mise en place bordate d’oro. Fa caldo, luci forti e musichina di sottofondo per tutto il padiglione.

Mi ritrovo in mano una ventina di volantini in un’ora di vagabondaggio, comincio a sfogliare e scopro che per meno di 100 persone molti non si disturbano a organizzare un pranzo, a meno di non voler affittare lochescion esclusive dotate di piscine e viali di accesso che manco Versailles, con sale banchetto illuminate a giorno e profluvi di ori e broccati.

Se porto 100 festanti ed oltre, mi offrono anche i tableaux dai mille colori, menù con la mia faccia sopra, il parcheggio, l’aria condizionata (!) e il trionfo di frutta affogata nella fontana di cioccolato. Apperò.

Mi lascio incuriosire come sempre dai menù, e le hostess tentano di bordare un paio di domande. A sentirmi parlare di origine dei prodotti, preparazioni e cucine in loco, vengo dirottata, amica al seguito, verso i responsabili, che mi guardano sorpresi ma partono decisi con la formula standard. Innanzi tutto, il prezzo.

Budget di base 60 euro, che solitamente comprende aperitivi con buffet, antipasto, due primi, un secondo, frutta e torta nunziale. Più si sale di prezzo, più aumentano il numero di isole del gusto, o i secondi, fino ad arrivare a 160 euro a cranio. Acqua, vini d.o.c. non meglio specificati, Moscato o spumante, caffè e ammazzacaffè. Ma ancora non ho capito bene cosa offrirò ai miei ipotetici ospiti. Per 160 euro a capoccia, non mi aspetto la cucina molecolare di massa, ma neanche la cucina del buiaccaro old style.

Quindi insisto nel voler scendere nel dettaglio della proposta.

E qui si apre un mondo impensabile e scombinato, dove le consecutiones temporum et saporum sembrano smarrirsi in profluvi di salse rosa, letti d’insalata e trionfi di confetti e filetti, dove la convivialità si mescola allegramente al festeggiamento, ma anche all’approssimazione del gusto (e del buon gusto). Scopro che l’aperitivo nell’attesa degli sposi è d’obbligo, quindi ogni menù si apre con un benvenuto a base di prosecco, analcolici e succhi di frutta. Fanno presenza anche Bellini e Mimosa, che salutano con gioia gli anni ‘50 accompagnati da rustici e vol-au-vent (che diventano voul au vent, volevant, voulevoul e pizzette a seconda dell’estro del momento). Si aprono poi le isole, spazi di degustazione sparsi nel giardino e specializzati in varie portate.

Tra gli irrinunciabili o inevitabili:

i frittini (o il tavolo dei vezzeggiativi): mini supplì, crocchettine di patate, listarelle di melanzane, mozzarelline in carrozza, verdurine dell’orto, patatine e cuoricini di carciofi;
l’angolo del pastore, che propone latticini e formaggini, fagottini di bresaola e ricotta in presa diretta;
l’angolo del salume, con prosciutto al coltello, mortadella, capocollo, lonzino, pancetta, lardo, guanciale, salami in trionfo e porchettona affettata al momento. Contorno di marmellatine, gelatine e mieli a terminare la desustazione.

A voler aumentare il budget, si aggiunge:

l’angolo del pesce, con cascate di salmoni affumicati, pesci spada, cernie e piccole verdure, scampetti al limone, alici marinate al peperoncino, polipetti con patate e cocktail di gamberi in bellavista su scie di salsa rosa. Della serie, chi non muore si rivede.
— Poi, il pizzaiolo, che sforna pizza rustica alla cipolla, pizze farcite, rustici e focacce dal forno appositamente trasportato in giardino.
— Ancora, il tavolo del kebab di pollo e misto con camerieri in tema e musica araba in filodiffusione, l’isola dell’etnico con pollo al curry madras e latte di cocco, chili con carne di manzo e fagioli rossi, mais e guacamole, riso basmati con mandorle tostate, polpettine tailandesi in salsa piccante. O l’angolo del sushi (o sushy, come lo chiamano alcuni) con nigiri, California rolls, maki e chefs abbigliati alla nipponica. Volendo, potete avere anche l’angolo flambè, l’angolo fondue bouguignonne e quello delle ostriche, che comprende cameriere in tenuta marinara e rete da pesca alle spalle.

Poi, comincia il pranzo.

Per i primi, grandi classici. Pasta fresca all’uovo: tagliolini dello chef, paglia e fieno ai porcini con fiori di zucca e Cacio Cavallo, pappardelle al ragout d’anatra muta o fettucelle creative ai frutti di mare. Oppure un risotto: funghi porcini e mazzancolle, chiodini e tonno rosso, champagne e provola fumè, alla crema di scampi o al profumo del Mediterraneo. Su tutti, profumi di rosmarino, menta e basilico.

I secondi non regalano grandi sorprese, sono tutti rigorosamente accompagnati da verdure in fantasia, in bellavista, in trionfo o alla moda dello chef. Filetti e scaloppe in salsa, in gabbia o in crosta, anche se spopolano i gamberoni al brandy, gli scampi al gratin e i salmoni scottati.

Infine, i dolci. Anche qui, a scelta grandi buffet di monoporzioni, tipicamente mousse di caffè e fragola, panna cotta ai frutti di bosco e al caramello, tortini di cioccolato dal cuore fondente, delizie al limone, minisacher, crème brulée, babà, bavaresine, sbiciolate e semifreddi. Volendo, si aggiungono carretti dei gelati per i bimbi, assortimento di confetti, selezione di rum e cioccolate, esposizioni di frutta e fontane di cioccolato bianco. Pantagruelico non basta come aggettivo.

Su tutto, trionfa la torta nunziale nuziale. E qui ci piace strafare: mi consigliano caldamente una torta monumentale dalle dimensioni allarmanti, alta più di un metro e larga altrettanto, dalle sembianze del Colosseo, del Duomo di Milano o della cupola del Brunelleschi. Un pezzo d’Italia con tanto di fuochi d’artificio da mangiare a pezzi, con miniature degli sposi. Oppure, direttamente la foto degli sposi stampata sull’ostia da divorare con lo spumantino. Caffè, ammazzacaffè e digestivo a discrezione della direzione. Alcuni mi propongono con aria ammiccante l’open bar per gli amici a base di mojito e cuba libre. La cosa mi insospettisce.

Rintronata da tanta abbondanza, ho provato a modificare il menù, o a virare verso proposte più confacenti ai miei gusti. Proporre un certo fornitore o una determinata preparazione è impossibile: non c’è stato verso di saperne di più sulla provenienza dei prodotti, né avere maggiori delucidazioni sui vini presenti in carta. Eliminare i buffet impresa fallita, come parlare di strutturazione di percorsi di degustazione o menù tematici, anche per pochi commensali.

Attorno a me, mamme e figlie eccitatissime ed impazienti lanciavano gridolini di gioia sui menù più ampi, preoccupate che la scarsità di cibo potesse palesarsi durante il banchetto. Nessun accenno a menù per celiaci o vegetariani, o biologici. O anche semplicemente privi di finger food.

Io me ne esco con la convinzione che, alla prossima occasione, ai miei commensali offrirò un buon calice e due olive. O, al massimo, un buffet stile festa delle medie.

Eppure mi chiedo, quanto sareste disposti a spendere per un menù simile? Che tipo di offerta vorreste per la vostra ricorrenza? Ma soprattutto, perchè giustificare una spesa del genere a Il cactus di Tivoli e non alla Torre del Saracino di Vico Equense?

[Crediti | Link: Dissapore. Immagine: Michael Weimberg]