Cosa vi aspetta per la cena della Vigilia e per il pranzo di Natale?
Avete già l’acquolina in bocca pensando al classico tacchino di nonna farcito con mele, prugne e castagne?
Oppure, siete terrorizzati perché, anche questa volta, arriverà la pannosa spuma di prosciutto di zia che, chissà perché, si ostina a metterci ettolitri di brandy scadente?
Fra gioie condivise, mali comuni e mezzi gaudi, siamo tutti nella stessa barca e a tutti toccheranno prelibatezze e nefandezze. Specie se, come capita nelle famiglie più numerose, vige la regola che ognuno porta qualcosa: e non possiamo pretendere che tutte le nostre zie o le nostre suocere siano masterchef.
Se, fra un sonnellino postprandiale e l’altro, avete voglia di raccontarci il meglio e il peggio del vostro Natale, noi di Dissapore siamo qui a raccoglierli. E per invogliarvi ad affrontare la tastiera, comincia la sottoscritta.
Raccontandovi il piatto più buono, il più cattivo, quello che vorrei mangiare tutto l’anno e quello che non vorrei dover assaggiare mai più.
Selezionati fra il best e il worst delle mie Vigilie e dei miei Natali.
IL PIATTO PIÙ BUONO
Quando ero bambina, si partiva appena chiudevano le scuole per andare a fare il Natale in montagna. La casa che affittavamo era piccina e poco attrezzata, così si andava tutti al ristorante. In mezzo alle piste, la sala in legno addobbata con odorosi rami di pino fresco e agrifoglio, le candele tremolanti: l’atmosfera magica accoglieva un bendidio di specialità locali.
La più buona, e indimenticabile, arrivava su grandi vassoi ricolmi di costolette di cervo tenerissime, velate da una salsa rossa, scura e dolce (credo, al vino), con polenta taragna fumante, composta di mirtilli e porcini trifolati in un intingolo così cremoso e aromatico che mai più nella vita sono riuscita a ricreare.
La bontà di quel piatto fu eguagliata, quando ricominciammo a festeggiarlo in città, dal brasato di mia nonna, fette spesse che si sfilacciavano appena le toccavi con la forchetta, e il sugo, tanto sugo!
Niente polenta, però un ottimo purè. Ce ne era abbastanza per non rimpiangere i pranzi sulla neve ma… qualcuno ha una ricetta super per le costolette di cervo?
IL PIATTO PIÙ CATTIVO
A un certo punto, noi figli siamo diventati grandi. Il primo a mettere su casa fu mio fratello che, chissà perché, per ravvivare la sua nuova vita da adulto scelse l’hobby della cucina. In particolare, gli piaceva fare la pasta fresca e spesso la domenica portava da noi le tagliatelle paglia e fieno che, condite con il sugo di mamma, non erano niente male.
Così, tutti a fargli i complimenti, ma come sono buone, ma come stai diventando bravo. Creammo un mostro. Che un anno, per la Vigilia, arrivò con un quintale di ravioli di branzino e arancia, conditi con una salsa di panna e arancia.
Se, sulla carta, potrebbero anche sembrare una buona idea (al netto della panna, ma erano i primi anni Novanta), vi assicuro che non lo furono.
Forse, le scorze non erano state sufficientemente sbollentate, e sicuramente erano in quantità eccessiva, dentro e fuori, comunque amare, amare, amare.
Inoltre, ho il sospetto che avesse cotto il ripieno prima di farcire i ravioli, così la seconda cottura nell’acqua della pasta rese il pesce stopposo e asciutto. Ah, mancavano anche di sale.
Li mangiammo, comunque. Ma non facemmo mai più apprezzamenti sulle abilità culinarie di mio fratello. Che per fortuna, qualche anno dopo cambiò genere e si dedicò al fai-da-te.
No, mio fratello non legge Dissapore.
IL PIATTO CHE VORREI MANGIARE TUTTO L’ANNO
In realtà, non è un piatto ma un accompagnamento. La mostarda di Cremona. Che sotto le feste compare sempre sulla mia tavola per accompagnare le carni. E che io mangio in quantità industriali.
Massima libidine: con il mascarpone. A cucchiaiate, entrambi. Faccio persino la scarpetta nel piatto, per raccogliere tutto il succo sciropposo e piccantino.
Davvero non capisco perché si debba mangiare solo a Natale e dintorni. Così quando, a gennaio, è in vendita a prezzi scontati, ne compro una bella scorta (anche nella variante di verdura, che mi piace altrettanto). E non mi sento affatto strana a mangiare un paio di ciliegie, un’albicocca o una perina a luglio, insieme alla mozzarella fiordilatte o allo stracchino.
IL PIATTO CHE NON VORREI VEDERE MAI PIÙ
Una delle mie cognate, riconoscendo la sua inettitudine ai fornelli, ogni anno annuncia garrula che si occuperà degli antipasti e va dritta in gastronomia. Dove acquista generica roba in gelatina.
Dal pâtè alle tartine col gambero pallido fino all’astice in bellavista che, a suo dire, alla Vigilia non può mancare. E io mi domando immancabilmente: perché?
Detto da una che la gelatina la adora. Ma quella vera, il brodo di gallina che si rassoda in frigo formando una massa leggermente opaca ma saporitissima, che si scioglie in bocca e che potrei mangiare a cucchiaiate.
Ben diversa da quella cosa incolore e semovente, lucida come fosse plastificata. Per non dire di quel che ci sta sotto, ingredienti standard altrettanto incolori e insapori.
Ogni anno mi dico che dovrei suggerirle di cambiare genere e portare il panettone, lo spumante, la frutta secca. Invece non voglio offenderla e, immancabilmente, accolgo con gioia il pacchetto della gastronomia che anche quest’anno mi toccherà scartare.
Che poi, in fondo, non importa. Alla fine, tutti mangiano tutto e la nostra festa sarà bella come sempre. Con i suoi alti e i suoi bassi. Le sue prelibatezze e i suoi orrori.
E voi? Qual è il vostro piatto preferito, il più odiato, quello che vorreste sempre, quello che non vorreste mai più?
Mentre ci pensate, buon Natale!