Mangia, Prega, Ama e il cibo italiano: il doppiaggio salva dalle bruttezze Hollywoodiane

Per fortuna che il doppiaggio italiano riscrive i dialoghi in Mangia, Prega, Ama, correggendo gli strafalcioni sul cibo e salvando dall'imbarazzo lo spettatore.

Mangia, Prega, Ama e il cibo italiano: il doppiaggio salva dalle bruttezze Hollywoodiane

Sono passati anni dall’uscita di Mangia, Prega, Ama, il film tratto dall’omonimo romanzo basato su un viaggio volto a riempire un horror vacui che attanaglia Elizabeth (interpretata da Julia Roberts), e che rende il cibo italiano protagonista di 1/3 della pellicola. L’ho rivisto in lingua originale e ho notato che i nostri doppiatori hanno stravolto completamente i dialoghi legati al “mangia” a Roma. E credo proprio sia per correggere gli errori Hollywoodiani tra inesattezze grossolane e assurdità varie.

Negli anni ho messo molte volte nero su bianco che, personalmente, trovo inutile l’accanimento nazionalista sui piatti della tradizione e sono sempre in prima linea quando c’è da abbassare i toni di discussioni patriottiche sul cibo italiano come supremazia mondiale. Qui, però, il discorso è diverso. Parliamo di un film che ha avuto un mostruoso successo, nato per narrare la cultura italiana associandola a un percorso di redenzione e felicità interiore: ecco perché mi è difficile comprendere la scelta di raccontarla così male, così piena di cliché e con tante imprecisioni gastronomiche. Per fortuna, il doppiaggio salva dagli errori culinari commessi nello script (grazie, quindi al direttore del doppiaggio italiano Sandro Acerbo per l’immenso sforzo che non dev’essere stato facile). Magari non salva proprio da tutto, ma migliora una situazione davvero imbarazzante. Vediamo qualche esempio.

Il tipico cappuccino romano

mangia-prega-ama-espresso

Ultimo tango a Parigi ma a Roma (ok) e subito dopo la ressa in un bar, dove decine e decine di persone si accalcano al bancone schiamazzando e allungando le braccia per farsi notare dai baristi. C’è la Roberts in difficoltà, ed è qui che interviene una turista straniera come lei, Sofi, che è più esperta e ordina a nome di tutte e due. Poi diventano amicissimissime. Non è facile spiegare il dialogo in questa scena, ma in sostanza ho notato che il labiale delle attrici corrisponde a “cappuccino” mentre il doppiaggio pronuncia “espresso”. Stop, riavvolgiamo e analizziamo il dialogo prima in lingua originale e poi tradotto.

In lingua originale
Roberts
: Un cappuccino per favore, signore
Sofi, in aiuto della Roberts: Due cappuccini per favore, latte tiepido perché ieri troppo caldo mi sono scottata la lingua. E due napoleon per favore

Il dialogo doppiato
Roberts: Posso avere un caffè italiano con poco latte? In un bicchiere, caldo, senza zucchero
Sofi, in aiuto della Roberts: Due belli espressi al volo Enzo, macchiati, al vetro, bollenti, chiaro? Amari senza schiuma e con una spruzzata di cacao. E due diplomatici super.

Ma perché? Perché far ordinare il cappuccino a due turiste straniere che vogliono vivere profondamente la tradizione e la cultura italica a Roma, espressa a livello mondiale tramite il caffè espresso? Perché il regista non ha scelto spontaneamente l’espresso, in questo contesto? Persino George Clooney sa cosa sia, anche se sponsorizza le capsule. Apprezziamo il fatto che Sofi sapesse come fare un cappuccino decente specificando che la temperatura del latte non debba essere rovente, ma diamine questa bevanda è più europea che prettamente italiana. A differenza del caffè espresso (quasi patrimonio Unesco).

Napoleon o diplomatico?

diplomatici-mangia-prega-ama

Si tratta dello stesso dolce, che ha anche un terzo nome ovvero Mille-feuille (millefoglie). In Francia è chiamato mille-feuille per mano (si dice) dello chef François Pierre de la Varenne, mentre è chiamato Napoleon negli Stati Uniti e altrove in onore della liberazione di Mosca. In Italia si trova anche come Diplomatico: una versione di millefoglie con pan di Spagna inzuppato tra le sfoglie sottili. Ecco, anche in questo caso, lo studio attento dei doppiatori italiani.

La carbonara che è un’amatriciana

mangia-prega-ama-amatriciana

C’è una scena in cui la protagonista, ormai ben inserita e con tanti amici, prende l’iniziativa al ristorante e ordina molte pietanze per tutti. Ordina una carbonara, peccato che a tavola arrivi un’amatriciana. Anche in questo caso, i doppiatori correggono lo scivolone e aggiungono ulteriori specifiche finissime. Riporto i dialoghi.

In lingua originale
“Carciofi alla giudia, spaghetti alla carbonara, ricotta salata, trippa alla romana (…)”.

Nel dialogo doppiato
In corrispondenza della carbonara hanno detto “amatriciana” così da far coincidere l’immagine del piatto che arriva poi in tavola. Specificano, inoltre, “trippa alla romana anche se non è sabato”: è una finezza incredibile che fa riferimento al fatto che fino a qualche anno fa la trippa romana fosse riservata al pranzo del sabato. Credo che l’iniziativa dei doppiatori sia un valore aggiunto al dialogo originale, perché forse il regista non sa che la trippa è una pietanza non prettamente romana ma si presuppone che la protagonista sia, ora, una vera esperta di costumi e tradizione romaneschi.

Obesità in evidenza

scena-mangia-prega-ama

Di solito nei film e sui set non si lascia nulla al caso, ecco perché sono rimasta colpita dal notare un dettaglio. Liz pranza da sola in un ristorantino all’aperto, e nell’attesa di un copioso piatto di pasta col sugo, usa un quotidiano per allenarsi con l’Italiano. Tra tutti i quotidiani che potevano scegliere per questa scena ne selezionano uno che parla di obesità. Il titolo, infatti, è “Obesità, i bambini italiani sono i più grassi d’Europa”. Tutti conosciamo la situazione obesità in Italia… ma santocielo non c’era un altro titolo a disposizione? Se hanno correlato di proposito una turista che gode nel mangiare un boccone di pasta e l’obesità conseguente degli italiani, ok ma mi fugge lo scopo.

In Italia solo per pasta e “salsiccia”

Ad accogliere la protagonista a Roma c’è tutto l’affetto inquisitore e burbero di una anziana.
Tutto si sfascia cara mia, l’unica cosa che rimane è la famiglia. Non sei sposata (notando con tono sussiegoso l’assenza di fede al dito)”.
Sono divorziata, dice la Roberts, abbiamo rotto. “E sei più felice adesso?” Sentenzia con aria di sfida, la vecchia, per poi continuare dopo un offensivo volo pindarico: “ho una regola, ogni uomo che viene qui non si ferma a dormire la notte. Voi ragazze americane, quando venite in Italia, volete solo pasta e sausage!“. Qui c’è un livello bassissimo e pure poco chiaro: il regista del film ha scritto tale conversazione per sottovalutare le turiste compaesane (credendo che l’unica ragione per viaggiare fin qui sia per loro abbuffarsi e copulare), o per sfottere i pregiudizi italiani sulla sacralità del matrimonio? Lo sforzo per dare maggior valore all’Italia è folle, da parte dei nostri doppiatori.

Non solo correggono errori: i doppiatori arricchiscono i dialoghi

Elizabeth quindi cerca di imparare la lingua e, dopo aver mangiato e imparato la coniugazione del verbo “attraversare” (? boh), magistralmente sostituita in italiano da una serie di latinismi (banalotti, ma va bene), il Cicerone interpretato da Luca Argentero accompagna a casa la protagonista e le fa notare che il suo italiano è migliorato. I doppiatori, benedetti siano, optano invece per una conversazione più ricca e ampia, che riguarda il Rinascimento, Caravaggio, Michelangelo.

Insomma l’Italia dipinta a Hollywood è purtroppo quella da pizza e mandolino: gli italiani sono a zonzo per le piazze a dire “a bòna” alle ragazze, il dolce far niente (che odio!) come filosofia di esistenza, loro a mezzogiorno vanno in pausa e vanno a letto con le mogli dei colleghi, gesticolano a profusione. Inoltre, e qui cito molto volentieri testuali parole di Alessandro Bocchetti in un articolo del 2010 su Mangia, Prega, Ama per Scatti di Gusto, “gli italiani non lavorano mai, il solo momento competitivo è l’assalto mattutino al caffè del bar. Rigorosamente, passano il tempo tra un lubrico diplomatico, un sensuale fiore di zucca fritto, dolcetti golosi e spaghetti al pomodoro“.