C’è da dire che, alla luce di notizie poco confortanti sul legame tra virus, viaggi e vacanze, questo pezzo casca proprio a fagiolo. Perché una volta per tutte abbiamo l’occasione per ribadire che Malta è molto di più che discoteche e casinò, luoghi che peraltro ora più che mai sarebbe meglio evitare. Malta è la bellezza mozzafiato delle sue coste rocciose, la maestosità delle fortezze di La Valletta e Vittoria, la storia inscritta nei suoi siti archeologici (i templi di Ggantija a Gozo sono considerati i monumenti più antichi esistenti, sapevatelo), nelle viuzze piene di chiese e santi e sulle saline romane che si estendono sul litorale. E poi naturalmente c’è la cucina.
I piatti tipici maltesi sono caratterizzati da una delle più felici unioni tra terra e mare, tra pastori e pescatori. Così la torta di lampuga se la gioca con lo stufato di coniglio, e i capperi si sposano benissimo con il formaggio fresco di capra. Non solo: la cucina maltese risente chiaramente delle numerose dominazioni straniere che si sono succedute nei secoli. Basti pensare all’aljotta, la zuppa di pesce che assomiglia tremendamente alla bouillabaisse provenzale; ai dolci con mandorle, frutta candita e ricotta di ispirazione siciliana; o a quelli a base di sesamo e datteri, introdotti dagli Arabi intorno all’anno Mille.
E dunque, cari lettori, che senso ha rincorrere la movida a tutti i costi quanto intorno a voi c’è così tanta pace e bellezza, e soprattutto una marea di prelibatezze da provare?
Date un’altra prospettiva alle vostre vacanze e scoprite con noi la cucina maltese da provare, in 15 piatti tipici, per viaggiare con gusto e andare sul sicuro, in tutti i sensi.
Pastizzi
A colazione o metà mattina, per un pranzo veloce o una merenda piuttosto ricca, meglio ancora per la fame chimica notturna: è sempre l’ora dei pastizzi, rustici di pasta sfoglia ripieni di ricotta o piselli. I pastizzi sono i re indiscussi dello street food di Malta, e la loro popolarità è in larga parte dovuta alla cifra irrisoria cui vengono venduti (la media è sui 50 centesimi, ma se cercate bene ne trovate anche a prezzo dimezzato). Talmente buoni e convenienti che il termine “pastizzi” è entrato nel linguaggio comune, con espressioni quali Jinbiegħu bħall-pastizzi (equivalente al nostro “andare via come il pane”) e Jinħarġu bħall-pastizzi, per indicare qualcosa “prodotto in serie”.
Non solo: in maltese pastizzi è anche un eufemismo per l’organo genitale femminile. E come dargli torto, vista la forma allungata che si apre quel tanto che basta per indovinare il ripieno? Insomma, più seducenti di così non si può. Acchiappateli subito nelle cosiddette pastizzerie o in qualsiasi forno, bar o chiosco: vi accorgerete che i pastizzi sono dappertutto, e meno male perché diventeranno molto in fretta il vostro cibo preferito.
Qassatat
In pastizzeria però non trovate soltanto gli omonimi fagottini fragranti. Casomai voleste prendervi una pausa dalla pasta sfoglia (ve lo diciamo subito: le probabilità sono remotissime), potete sempre optare per la pasta frolla. Le qassatat sono l’alternativa burrosa e friabile ai pastizzi, tortine a forma di piccoli cesti che racchiudono un ripieno cremoso di formaggio fresco, verdure, acciughe, e naturalmente gli onnipresenti piselli.
Qualcuno di voi a questo punto potrebbe essersi accorto della vaga somiglianza tra termini culinari maltesi e italiani: pastizzi e pastizzeria si intuiscono anche senza traduzione, mentre in questo caso la qassatat ci parla di Sicilia e di cassata siciliana. Il fil rouge è sempre lui, il formaggio ovino che spunta dappertutto nelle cucine del Mediterraneo, ora in versione dolce, ora salata. Tenete poi presente che la lingua maltese (proprio come la sua cucina) è un gran fritto misto di dialetti arabi e siculi. Oltre alle papille dunque, allenate anche le orecchie: apprezzerete ancora di più le specialità locali di questo piccolo universo cosmopolita.
Bigilla
Nel tipico aperitivo mediterraneo non può mancare una crema o salsa a base di legumi: in Medio Oriente sono famosi per l’hummus, in Sicilia c’è il macco di fave, in Georgia il lobio di fagioli rossi e in Grecia la fava greca, ovvero crema di piselli spezzati. A Malta troviamo la bigilla, spread di fagioli di varietà ful-ta’ Girba conditi con aglio, olio, prezzemolo e peperoncino. Tutti sono d’accordo su quale sia il veicolo migliore per inzuppare la bigilla: si tratta dei galletti, i cracker sottili di forma rotonda a base di acqua e semolino.
Tuttavia è doverosa una piccola parentesi sul pane maltese, alimento storicamente così importante che gli hanno dedicato addirittura un intero villaggio. Qormi o Casal Fornaro è infatti il borgo dei panettieri dove ogni anno si tiene un festival per promuovere l’attività degli antichi forni, la cui fondazione risale all’insediamento dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni che governò l’isola dal 1530 al 1798. I prodotti tipici da assaggiare sono almeno due: hobza (letteralmente “il pane”), la pagnotta di pasta madre dalla crosta croccante e la consistenza compatta stile Altamura; e ftira, il pane-pizza di Gozo a forma di ciambella che di solito si mangia farcito con insalata di tonno, olive, pomodoro e cipolle.
Gbejniet
Piccoli, rotondi, decorati in mille modi diversi. In una parola: adorabili. Sono i gbejniet, formaggini di capra o pecora venduti assortiti in ogni angolo dell’isola. A base di latte crudo o pastorizzato, i gbejniet artigianali vengono fatti coagulare soltanto con l’uso di sale marino, risorsa che fin dai tempi dei Romani è cruciale per l’economia dell’isola. Successivamente la cagliata viene riposta nelle formine di giunchi e fatta asciugare in locali ventilati. A seconda del metodo di produzione e stagionatura, i gbejniet possono essere freschi (friski), essiccati al sole (moxxa), in salamoia (mahsula) o pepati (tal-bzar).
Come ogni formaggio che si rispetti, anche i gbejiniet danno il meglio di se stessi in degustazione sul tagliere. Uno in particolare fa al caso nostro: l’antipasto gozitano (Gozitan platter) a base di pomodori, cipolle, capperi e formaggini più o meno stagionati. Metteteci vicino un po’ di bigilla, due fettone di pane maltese, olio buono per condire e un bicchiere di Chardonnay del contadino. In men che non si dica, l’antipasto si è trasformato in un pranzo vero e proprio, uno di quelli davvero genuini e proprio per questo indimenticabili.
Soppa tal-armla
Talmente semplice e modesta che persino una povera vedova se la può permettere. Questo il succo della soppa-tal armla, letteralmente la “zuppa della vedova”. Sembra che, tra le pratiche in uso nel Medioevo, vi fosse la carità verso le donne rimaste sole, le quali guai se si azzardavano a mettersi in testa di lavorare per conto proprio. Tra le offerte più comuni vi erano quelle in natura, soprattutto i prodotti della terra: con qualche ortaggio e un pezzo di formaggio, una vedova tirava a campare.
E proprio di questo stiamo parlando: una minestra vegetariana a base di verdure (piselli, sedano rapa, carote, cavolfiore, fagioli) e gbejna, l’immancabile formaggino di capra che sta bene con tutto. Più che una zuppa, qui si assapora lo storytelling: ci immaginiamo la vecchina vestita di nero, i legumi freschi da sgranare, il pentolone fumante che sparge il suo profumo nella piccola e modesta cucina di campagna. Cercate il piatto della nonna? Eccolo qui, in versione maltese.
Aljotta
Prima di parlare dell’aljotta occorre precisare un paio di cose sulla cultura maltese. Per una serie di fattori storici – tra cui la diaspora dei cristiani perseguitati in epoca romana (tra cui si dice ci sia stato anche San Paolo), le dominazioni spagnola e normanna, e non ultimo il governo dei Cavalieri Ospitalieri (o se preferite, Cavalieri di Malta) che resero l’isola un vero e proprio Stato monastico – Malta è oggi un luogo profondamente religioso. La stessa Costituzione, all’articolo II, stabilisce che il Cattolicesimo è religione di stato. Di conseguenza, non sorprende che esistano tanti piatti che seguono il calendario della Chiesa e i periodi di digiuno spirituale imposti durante il corso dell’anno.
L’aljotta è uno di questi, legato in particolar modo alla Quaresima. Si tratta di una zuppa di pesce di scoglio cotta in salsa di pomodoro, spesso con aggiunta di riso e condimento a base di aglio, limone, maggiorana e kunserva, il tipico concentrato di pomodoro. La consistenza finale, soprattutto a causa della presenza del riso che proverbialmente “cresce”, è simile a quella del brodetto di pesce abruzzese e marchigiano: meno brodo, più sostanza. Tutto sommato, vista la qualità e varietà del pesce fresco sull’isola, rinunciare alla carne per una succulenta aljotta non è affatto un sacrificio: siete d’accordo?
Kawlata
Dalla Quaresima facciamo un passo indietro a momenti dell’anno più spensierati, ad esempio il Carnevale o le grandi festività. La kawlata infatti può avere tante varianti, ma un elemento rimane centrale: la carne di maiale. Questa corposa minestra invernale è costituita da verdure di stagione (zucca, cavolo, sedano rapa), salsiccia, pancetta e gli immancabili semi di finocchio.
Se andate a Malta e non la trovate da nessuna parte, la spiegazione è semplice. In tempi più recenti infatti si è trasformata in un piatto unico, soprattutto dal momento in cui l’Impero Britannico fa di Malta uno dei suoi numerosi protettorati. Come è noto, quando si tratta di considerare la pasta un contorno, nessuno è più entusiasta degli inglesi. E quindi oggi è molto facile imbattersi in kawlata che assomigliano meno a una minestra e più a un maccaroni and cheese con pezzi di carne e legumi. La soluzione? Dipende tutto da quanta fame avete.
Timpana
Sensazione di dejà vu? Non siete i soli: anche a noi il timpana ricorda moltissimo il pastitsio, specialità che abbiamo avuto modo di “assaggiare” tra i piatti tipici greci. In fondo la base di partenza è sempre quella, la grande famiglia delle paste al forno che attraversa tutto il Mediterraneo, ora tramutandosi in un generalista “pasticcio”, ora declinato in specialità locali e ben definite come pasta ‘ncasciata siciliana o frittata di maccheroni partenopea. Il timpana è l’ennesimo piatto unico di questo tipo da spuntare sulla lista, preparato con maccheroni al ragù ricoperti di pasta sfoglia, la stessa dei pastizzi. Per il ripieno si usano diversi tipi di carne, di solito macinato di manzo e maiale e fegatini di pollo. Poi, come ogni altro pasticcio che si rispetti, nello scrigno di pasta sfoglia tutto è lecito: uova sode, formaggi più e meno locali, zucchine, melanzane, bacon. Vale tutto, purché sia buono.
Ross il-forn
Anche qui a orecchio (e naso) ci possiamo arrivare: ross-il forn non è altro che riso al forno, altra variante sul tema di un classico come il timballo di riso al forno. Uno dei comfort food più amati a Malta, il ross-il forn di solito prevede macinato di manzo e maiale, polpa di pomodoro abbinata alla sempre presente kunserva, bacon, ricotta e uova. Un po’ piatto forte della domenica, un po’ cena svuota-frigo, un po’ pranzo sfizioso da rosticceria: di occasioni per una bella porzione di riso al forno maltese ce ne sono a iosa, basta coglierle al momento giusto.
Stuffat tal-fenek
Il dibattito su coniglio sì /coniglio no (sul piatto, ovviamente) non ci tocca da vicino. In Italia non ci facciamo troppi problemi sull’animaletto batuffoloso dalle carni piccole e delicate, e ne troviamo numerosi esempi in tutte le cucine regionali, dal coniglio alla ligure a quello in porchetta marchigiano. A Malta vanno addirittura oltre: lo stuffat-tal fenek detiene il titolo di “piatto nazionale maltese” e tutti sono d’accordo sulla faccenda. Essenzialmente si tratta di uno stufato di coniglio (ma sicuramente ci eravate arrivati da soli, con questa lista ormai parlate maltese) cotto molto lentamente nel sugo di pomodoro e aromatizzato con aglio, cipolla e alloro.
Da dove deriva il successo nazionale dello stuffat-tal fenek? Probabilmente da due fattori: il primo, beh, l’abbondanza di materia prima sull’isola, un po’ come succede per il coniglio all’ischitana; il secondo si fa risalire, per convenzione, al periodo in cui Malta era lo Stato monastico controllato dall’Ordine dei Cavalieri. I quali, applicando regole religiose con metodi militari, avevano in sostanza proibito l’attività di caccia su tutto il territorio. Cibarsi di coniglio divenne dunque un simbolo di resistenza passivo-aggressiva contro l’Ordine e, di conseguenza, un modo per ribadire l’identità nazionale attraverso la cucina. Quando alla fine del Settecento i Cavalieri vennero destituiti, i conigli erano talmente economici e numerosi che la popolazione cominciò ad allevarli e a inventare tantissime ricette. Ancora oggi il fenkati, un banchetto a base di coniglio stufato, fritto e al ragù, è un evento capace di riunire la comunità: tutti intorno a un tavolo a godersi una vera e propria leccornia identitaria.
Torta tal-lampuki
Dopo il coniglio, non c’è dubbio che una delle risorse gastronomiche più importanti di Malta sia il pesce. Uno in particolare si è guadagnato una certa popolarità: il lampuki, che come potete immaginare corrisponde alla nostra lampuga. Questo pesce osseo pelagico è di stagione da agosto fino a dicembre (segnatevelo sul calendario!) e, soprattutto nel periodo invernale, è protagonista della torta-tal lampuki. C’è bisogno che ve lo diciamo? E va bene: letteralmente “torta di lampuga”, viene preparata con pasta sfoglia ripiena di pesce, olive, spinaci, capperi e pomodori. Una sorta di strudel di pesce insomma, con gli ingredienti tipici della gastronomia maltese.
Bragioli
I bragioli sono gli involtini di roast beef maltesi protagonisti di un qui pro quo linguistico. Anzi, visto che la lingua degli equivoci in questo caso è l’inglese, sarebbe meglio definirlo un piatto lost in translation. Di solito infatti la traduzione per i bragioli è “beef olives”: bistecca e olive dunque, come ci aspetterebbe dalla ricetta. E invece no, di olive non c’è neanche traccia. Nella ricetta il manzo viene farcito con uova, bacon e aglio e brasato a lungo nel vino rosso. L’oliva fa riferimento unicamente alla forma finale dell’involtino: corta, liscia ed ellittica. Non solo: secondo il dizionario di Oxford, “to olive” è il verbo che da fine Cinquecento viene utilizzato per definire l’atto di arrotolare del cibo (soprattutto carne) su se stesso e sulla farcitura. Che ci serva da lezione: come abbiamo detto fin dall’inizio, a Malta parla come mangi (tanto capisci benissimo lo stesso).
Kwareximal
Un altro classico della Quaresima, stavolta in versione dolce, è il kwarezimal, ancora una volta nomen omen. Questo biscottone esiste dai tempi dei Cavalieri ed è, come dire, a prova di peccato: non contiene infatti né uova, né burro, ed è a tutti gli effetti vegano. L’impasto è a base di farina, zucchero e mandorle, aromatizzato con spezie e zest di arancia. La consistenza è un po’ gommosa ma ehi, bisogna pur trovare il modo per passare il tempo in penitenza: meglio farlo masticando un dolce senza sensi di colpa.
Qaghaq tal-ghasel
I qaghaq tal-ghasel sono protagonisti delle feste natalizie. Potremmo fare un paragone azzardato con i taralli siciliani, almeno per quanto riguarda la forma e stagionalità del dolce. Queste ciambelle-biscotto di Natale sono anche dette “anelli d’oro” o “anelli di miele” (il significato letterale di ghasel), anche se di questo non c’è traccia nella ricetta. Il riferimento è quasi sicuramente al colore ben dorato con cui ci si aspetta che questi dolci fragranti escano dal forno, mischiato al nero del cacao che li avvolge in veste tigrata. L’impasto dei qaghaq tal-ghasel è a base di farina, uova e margarina, e può essere aromatizzato con liquore o semi di anice, acqua di arance amare e zest di limone. Incredibilmente speziate, basta un morso di queste ciambelle biscottate: ed è subito Natale.
Imqaret
Dal nome al tipo di ripieno, gli imqaret sono i classici dolcetti dal sapor mediorientale. Il nome significa letteralmente “a forma di diamante”, proprio come l’involucro tipico di questi dolcetti. Ancora più interessante è il fatto che imqaret è plurale di maqrut, che in Nord Africa diventa makrout, makroudh o maqrud e designa praticamente la stessa cosa. Ovvero, dolcissimi biscottini di sfoglia fritta ripiena di pasta di datteri, a volte aromatizzati con alloro e semi di anice. L’origine comune è naturalmente araba, signori di Malta dall’870 DC fino all’anno Mille che, fra le altre cose, dettero il loro contributo all’integrazione culinaria con ingredienti esotici e preziosi. Ancora oggi li ringraziamo strafogandoci di questi dolcetti che ricordano tanto i settembrini ai fichi nostrani ma che, per fortuna, si mangiano tranquillamente anche tutto il resto dell’anno.