Non ho visto tutto Identità Golose ma generalmente ho apprezzato questa edizione. Bell’atmosfera vivace, pubblico appassionato, buone presentazioni, stand invitanti, caos contenuto. Alcuni momenti di sbigottimento gastronomico li ho avuti, ma la gran parte sono dovuti ai miei paletti personali. Per dire, il dessert con la pasta di Alessandro Gilmozzi non potrebbe mai essere nelle mie corde. Ma me ne faccio una ragione. Accolgo invece con meno fatalismo la carbonara del futuro pensata da Luciano Monosilio del ristorante romano Pipero al Rex, presentata con certa sufficienza dal giovane e talentuoso cuoco di origini abruzzesi, che ha fatto capire chiaramente di non poterne più della popolarità della versione tradizionale che ha reso giustamente celebre il ristorante dove lavora. Luciano ci fa notare che Pipero ha preso una stella Michelin e propone tantissimi altri piatti interessanti e che la carbonara sostanzialmente è un apripista: “E’ un piatto marketing” dice al pubblico. “Ma è comunque un piatto della tradizione che amo”, aggiunge correggendo un po’ il tiro.
Giusto, anzi sacrosanto, però a Identità alla fine ci ha cucinato quella tradizionale (nella foto) che era al solito di ottimo livello, Monosilio è in assoluto tra i migliori interpreti del piatto (anche se quella assaggiata è arrivata al pubblico dopo la preoccupante dichiarazione di poco amore per la cottura al dente: “io cucino rispettando i tempi di cottura segnati” ci dice…) mentre per quella del futuro mi sono sentito quasi fortunato a non averla provata.
A memoria uditiva ve la racconto e mi dite se faccio bene a dubitarne. Innanzitutto gli elementi base sono ridotti all’osso: non c’è pepe, il formaggio è pochissimo, come anche la pasta che diventa fredda e a dadini.
La base contiene invece tutto il contenibile ed è il tripudio del concettuale e dell’evocazione: abbiamo il tè verde, la polvere di radici di liquiriza, il miso, un crumble di pane di segale aromatizzato alla camomilla, il topinambur, la crema di guanciale, le zesche zeste di limone candito, dei germogli di daikon. Sopra il piatto uno spray di alcol e grasso di guanciale per il ricordo olfattivo. In effetti della carbonara qui c’è solo il ricordo e il futuro che evoca è quello post-apocalittico di tanta fantascienza distopica.
Impossibile giudicare un piatto senza averlo assaggiato quindi prendete con le molle il titolo e non mi crocifiggete: è chiaro come l’evocazione fantozziana sia solo per scrollarsi di dosso un certo sperimentalismo di maniera, anche un po’ annoiato.
Mi permetto solo di pensare che se qualche romano doc, poco incline a certi sperimentalismi, assaggiasse questa carbonara del futuro, il rischio del piatto volante al grido di “vuoi che muoro” sarebbe molto probabile. Ma d’altronde se così non fosse lo scollamento tra la concretezza semplice di molta cucina tradizionale e la sua sofisticata celebrazione dei nostri giorni sarebbe davvero a un punto critico.
[Crediti | Link: Dissapore, Identità Golose. Immagine: Tavole Romane]