L’isola di Sant’Erasmo, nella laguna di Venezia, è nota da secoli per la sua vocazione orticola, che le è valsa l’appellativo di “orto di Venezia”. Nota ai più soprattutto per il pregiato carciofo violetto, che è presidio Slow Food ed è tutelato da un marchio registrato, Sant’Erasmo deve il suo talento agricolo alla natura argillosa e molto salina del terreno, e al fatto che un tempo si concimasse con le scoasse (la spazzatura, in dialetto), oppure con conchiglie e gusci dei granchi, impiegati per correggere l’acidità del suolo. Non è un caso quindi che un gruppo di una quindicina di ristoratori veneziani abbia scelto proprio l’isola lagunare per dar vita ad un progetto di recupero di un vecchio appezzamento agricolo con l’obiettivo di coltivare e di ridare vita a varietà tipiche.
Il nome che si sono dati è, significativamente, “Osti in Orto” e gli osti in questione sono tra i nomi più in vista della ristorazione lagunare (Rioba, Riviera, Testiere, Trattoria Vittoria da Aldo, Marciano e Marcianino, Vini da Gigio, Antiche Carampane, Da Rioba, Trattoria Anzolo Raffaele, Covo, Covino, Trattoria da Ignazio, Da Guido – a Jesolo), cui si sono aggiunti un distributore (Rialto Frutta), l’azienda trentina Uova di montagna (nata nel 2016 da Giovanni Tava e Mattia Cristoforetti, che ora vogliono allevare una parte delle loro galline in laguna) e Davide Tozzato, che altrove si definirebbe come un giovane che ritorna all’agricoltura visto che sull’isola nel 2014 ha dato vita ad un progetto agro-gastronomico chiamato La Maravegia (La meraviglia).
Il terreno scelto per il progetto ha un’estensione di 4 ettari ed è parte di un più ampio appezzamento originariamente di circa 36 ettari (giusto per dare un paio di misure: l’intera isola di Sant’Erasmo è un rettangolo di oltre 4 km, largo tra i 500 e i 1000 metri) di proprietà della famiglia Milner e chiamato “La fattoria”. Tra i più grandi dell’isola, contava di terreni destinati alla coltivazione, alla produzione di vino e valli da pesca. In attività dagli anni ’50 sotto la gestione di Enzo Milner, è poi passata ai figli e, dopo una serie di cessioni, ai nipoti. Oggi sono appunto i discendenti di Enzo (Eloisa – titolare assieme al figlio Tomaso del ristorante da Rioba – e i fratelli Alessandro ed Andrea) i titolari dell’azienda (9 ettari), che ha prodotto ortaggi fino al 1997 e vino fino al 1995.
Qualche mese fa, tra un gruppo di chef veneziani si fa strada l’idea di poter disporre di un terreno dove coltivare prodotti biologici e autoctoni. Ecco allora che vengono messi a disposizione 4 ettari dei 9 totali e subito seminati a zucchine, fagiolini, pomodori, cetrioli. Non si tratta banalmente di Km0, quanto piuttosto dell’obiettivo di tornare a coltivare antiche varietà (tra le altre: asparagi rosa, pesche bianche, zucche e zucchine cui si aggiungono, tra i vini, trebbiano e rabosetto).
“Il desiderio era quello di essere integrati nella vita lagunare e di poter dare i nostri ospiti quello che la laguna ci dà di buono” – spiega Gp Cremonini, titolare del ristorante Riviera e uno dei più convinti ed appassionati sostenitori del progetto – “Ci è sembrato il modo più logico, normale e corretto di approvvigionamento, arrecando il minimo disturbo al pianeta. I nostri ospiti, in definitiva, vengono qui, respirano terra e acqua di laguna e ora possono anche mangiarla: abbiamo pensato fosse una forma assolutamente normale di accoglienza e di amore per il nostro territorio e per le sue persone. Non vogliamo rifare il mondo, semplicemente avere la fierezza di poter dire che qui si comprano cose salubri e per le quali l’etichetta siamo noi”.
Se gli ortaggi sono già in produzione e già disponibili nei ristoranti che partecipano al progetto, per riuscire ad assaggiare frutta e vino di Osti in Orto bisognerà aspettare la primavera del prossimo anno.
Crediti foto: metropolitano.it e tour.slowvenice.it