Mi sveglio alle sei, da vent’anni. Non mi pesa granchè, ma pur’io ho la mia mezz’ora di dita rattrappite e occhi pieni di limatura di ferro. Scendo a prepararmi il tè, una varietà molto forte dell’India del Nord di Bransworth e Flannaghan of London. Con il latte. E siccome il latte del Bancolat dura un giorno, nelle fredde e buie mattine invernali non ho cuore di uscire a prelevare e lascio correre la mano al frigor. Il latte UHT è nel tetrabrick. Lo apro sol da un lato, e il bianco liquido gloglotta in aperto conflitto con l’aria che vuole entrare. Tul tul tul dice il latte fluendo dall’angusto pertugio, e gli inevitabili spruzzi cercano con puntigliosa precisione i disegnini cachemire della cravatta E.Marinella, Napoli. Allora apro anche l’altro bordo per favorire la mescita: premendo i lati della confezione il latte tracima, sozzando la tovaglietta. Dico alcune parolacce assortite e prendo un bricco di succo di frutta, di quelli con il tappo di plastica a vite. Tento di versarlo nel bicchiere e il plàplàplà si conclude inevitabilmente con una o più macchioline sul reverse del gessato, ma proprio sulla riga bianca.
Ma dico io, siamo sicuri che il mondo abbia bisogno del tetrabrick? Dateci fiaschi, pistoni, bottiglie. In vetro, in cristallo ed anche in materie plastiche. Damigiane, otri, orci, ampolle, anfore, caraffe. Dateci quasiasi contenitore che ci possa liberare dal tetrabrick, la seconda più inutile invenzione della storia dell’uomo*.
*la prima più inutile invenzione della storia dell’uomo, come ognun sa, sono i dossi dissuasori di velocità.
[immagine: compradiccion]