Le fotografie di cibo, da quando ci sono gli smartphone, sono la quotidianità di tutti. Da quando c’è Instagram poi, sono un’ossessione mondiale. Tra #foodporn e #instafood, siamo tutti aspiranti influencer, maghi dell’impiattamento di ricette che poi magari non sanno di niente, specialisti nel far raffreddare i piatti che arrivano dalle cucine dei ristoranti nel tentativo di trovare la luce e l’angolazione giusta. Peccato, anzi per fortuna, che esiste la fotografia professionale. A questa, da 10 anni in qua, è dedicato il premio Food Photographer of the Year, che su iniziativa di Pink Lady snocciola, ogni anno, le migliori foto food alle quali ispirarsi, o sulle quali riflettere. Oppure, semplicemente, quelle da ammirare.
Varie le categorie: si va dal reportage alla foto d’arte. Qui vi mostriamo le più belle, che a volte sono anche quelle che raccontano meglio il nostro rapporto con una cosa così intima e quotidiana come il cibo.
Partiamo subito con un’immagine pesante, quella che ha vinto nella sezione World Food Programme Food for Life. È un cumulo di immondizia infinito, di quella plastica eterna che sta sommergendo il pianeta; è un bambino, un bambino povero del terzo mondo (siamo in Bangladesh). La foto tiene insieme il disastro che abbiamo creato – l’inquinamento – e il problema che dobbiamo affrontare – la fame nel mondo. Eppure nel suo complesso, sarà per i colori, questa foto inquietante contiene un che di allegro, una speranza. Vero, c’è una montagna di merda: eppure il bambino non ne è sopraffatto, ma sembra dominarla. Vero, non ha niente: ma beve.
Gli allevamenti intensivi sono uno dei problemi dell’industria alimentare contemporanea: questo brumoso paesaggio inglese che vince nella categoria Food in the Field, sembra provenire da un’altra epoca. Consolante, che esistano ancora pascoli così ampli, o consolatorio?
E a proposito di carne, eccoci qua, nella bottega del macellaio. Questo scatto preso a Taiwan vince il Philip Harben Award for Food in Action: e non è l’unica fotografia premiata in cui vengono mostrate carcasse animali. Oggi il consumo di carne si sta riducendo, per motivi sia etici sia ambientali sia salutari, e viene quasi da sollevare perplessità sulle scelte dei giudici. Perplessità che possiamo superare con questa considerazione: finché mangeremo carne, è normale e anzi giusto conoscere cosa c’è dietro la fettina che arriva nel piatto. Nella foto, significativamente intitolata Head to head, testa a testa, il macellaio sta estraendo la guancia dalla faccia del maiale, quel guanciale senza il quale la carbonara non può definirsi tale.
Ecco una foto che sembra proprio presa da Instagram: sia per il taglio verticale sia per il soggetto, il setting, tutto. Vince il premio Pink Lady® Apple a Day. Seguiteli per altre ricette.
Ancora un taglio verticale, ma siamo in tutt’altra atmosfera: i colori pastello, irreali; la posizione innaturale, in posa, dell’animale; il contesto rurale, apparecchiato: rendono questa foto un capolavoro di artificio, quasi un quadro. Galline allevate a terra… o su uno sgabello?
Ancora una volta, cambiamo completamente genere: per luci e composizione sembra uno di quei capannoni dove vengono tenuti i computer che ospitano i cloud, o che minano bitcoin. Solo che qui si tratta di spaghetti messi a seccare, anzi di noodles, ancora in Bangladesh. Vince il Fujifilm Award for Innovation.
Una serie di foto di Frank Weinert con lo styling di Martin Grünewald vince il Food Stylist Award: mentre le altre sono belle composizioni ma piuttosto piatte, questa ha i chiaroscuri di una natura morta su tela. Il titolo è Winteropulenz, opulenza invernale.
Una zucca sulla sedia del salotto? Lo scatto, intitolato Lumière d’automne, non dice niente, e dice tutto. È l’italiana Deborah Trocchia la vincitrice del premio, indovinate un po’?, Food Influencers.
Chiudiamo invece con due immagini più autentiche: la prima è scattata in Cina – si nota una quantità stratosferica di ravioli, li mangeranno tutti loro tre? E si nota anche la cucina “come una volta”. La seconda in Turchia: quella messa a seccare sull’aia è ocra, o gombo.