“La cucina della nonna” è forse l’espressione più abusata dagli chef e dalla narrazione che c’è intorno al loro lavoro. Una perifrasi per raccontare la loro ispirazione seconda solo a “tradizione e innovazione”. “La cucina della nonna”, nella loro testa – o in quella di chi li racconta – è la cucina casalinga, fatta di cose buone che riportano all’infanzia. E invece, bisognerebbe ricordarlo più spesso, la vera cucina della nonna è quella raccontata in “C’è ancora domani”.
Che si porta a tavola?
Il film – meraviglioso e commovente – di Paola Cortellesi (in questi giorni recuperato su Netflix dai pochi che non l’avevano ancora visto) racconta l’Italia delle nostre nonne. Quelle che hanno votato per la prima volta. Quelle che tiravano su le famiglie senza che nessuno glielo riconoscesse. Quelle che nella migliore delle ipotesi si trovavano un uomo buono con cui condividere la vita, e nella peggiore la condividevano comunque la vita, ma con un uomo orribile. Quelle che mettevano insieme il pranzo con la cena, costi quel che costi, pure quando non c’era nulla, né per pranzo né per cena.
E nel secondo Dopoguerra, in moltissime famiglie, era facile che non ci fosse molto da portare in tavola. Dunque no, la cucina della nonna non è realmente quella che oggi ricordano tutti. La cucina della nonna, quella vera, è facile che sia la pasta al forno fatta con quello che si recuperava, realizzata giusto in un’occasione speciale come l’annuncio di un fidanzamento. Non era la lasagna col ragù, o la pasta alla carbonara. La carne tritata costava troppo, e il guanciale era cosa da ricchi. La cucina della nonna, nella maggior parte dei casi, era rarissimamente quella cosa a cui oggi diciamo di ispirarci. Lo era forse una o due volte l’anno, e neanche tutti gli anni.
Per il resto, era più facile che fosse quel boccone – fatto con amore, con fatica, con tutto l’impegno del mondo – che la famiglia Moretti butta giù con tutto il disgusto che può provare per la povertà, lei che si è elevata di rango con il bar. Ecco, le vere ricette della nonna sono quella cosa lì, e bisognerebbe ricordarselo più spesso. Perché in fondo sono anche buone, e si sono anche tramandate senza nascondersi e senza imbellettarsi, di tanto in tanto. Mia nonna, nelle polpette, ci ha sempre messo più pane che carne, e a me le polpette piacciono così ancora oggi, pure se dal macellaio si comprano di sola tritata. E gli gnocchi li faceva con acqua e farina, senza patate. I miei gnocchi del cuore, da sempre.
La vera cucina della nonna, poi, era vegetale. Era contadina, per chi aveva un piccolo pezzo di terra, o per chi aveva un’amica che lavorava al mercato e magari ti allungava una cipolla, o un mazzo di cicoria. Altro che carne. La carne era roba da ricchi, e di ricchi, tra i nostri nonni e le nostre nonne, ce n’erano davvero pochi.
Ecco. Nessuno vuole che ritorniate lì, cari cuochi. La cucina è cambiata, la società è cambiata, le donne hanno cominciato a votare (prima di smettere per disaffezione politica, ma questa è un’altra storia) e le ricette si sono evolute, arricchite, impreziosite. Nel ricordo lontano di quelle della nonna, forse. Ma ci voleva Paola Cortellesi a raccontarci quest’altra verità: le nostre nonne cucinavano col cuore, più che con gli ingredienti.