Sarà veneto – e per la precisione padovano – il primo dolce fresco artigianale a marchio I.G.P.? Molto probabilmente sì e senza dubbi, contestazioni o attestazioni di paternità circa origini e provenienza geografica. Parliamo della “Pazientina”, il dolce per eccellenza di Padova e della sua provincia, per il quale nei giorni scorsi con la firma in Senato – da parte di una delegazione di una decina di pasticceri padovani – del primo disciplinare di produzione, è stato ufficialmente avviato l’iter di certificazione che dovrebbe concludersi tra un anno circa con l’ottenimento, appunto, del marchio. In caso di esito positivo, la “Pazientina” sarebbe appunto il primo dolce “strutturato” e non secco (a differenza, ad esempio, del Panforte di Siena, dei Cantucci Toscani o del Torrone di Bagnara, tutti a marchio, ma non freschi) a essere riconosciuto a livello nazionale.
Il percorso di riconoscimento ha un valore duplice: se da un lato infatti ha l’obiettivo di tutelare e promuovere il dolce, dall’altro è un esempio significativo di come l’impegno di un’intera categoria e di un territorio, in modo congiunto, abbiano consentito di arrivare a sostenere trasversalmente il progetto. “L’ottenimento del marchio I.G.P., tra l’altro, renderebbe la Pazientina il primo prodotto certificato ‘univoco’ della provincia di Padova: le attuali produzioni certificate, infatti, presenti in provincia sono condivise con altri territori veneti e di altre regioni – ci spiega Federica Luni, Presidente APPE Padova – E questo è sicuramente uno dei motivi che ci hanno dato la spinta per avviare l’impegnativo percorso di certificazione: avere un prodotto che altri territori, a livello nazionale, non potranno mai replicare, sarà sicuramente un bellissimo biglietto da visita per Padova e il suo territorio, anche a livello mediatico e turistico”.
Com’è fatta la Pazientina
Pasta bresciana (una frolla particolare, con farina di mandorle e – a volte – granella di nocciole) , zabaione, pan di spagna (bagnato con liquore con gradazione non inferiore a 14%) e, a coronare il tutto, una “selva” di cioccolato plastico. Se gli ingredienti della Pazientina sono limitati – facendola apparire semplice – è tuttavia la sua preparazione a determinarne la complessità. Gli strati si alternano dal basso verso l’alto partendo dalla pasta bresciana, proseguendo con lo zabajone, il pan di spagna, liquore o vino liquoroso, nuovamente zabajone e pasta bresciana, chiudendo con foglie di cioccolato plastico (altezza minima 2 cm nel punto più alto). La stratificazione si nota al taglio, con i componenti che tendono ad amalgamarsi fra loro con il passare delle ore e un sapore che vede prevalere le note morbide e liquorose dello zabajone, che contrastano – in termini di consistenza e gusto – con la dolcezza della pasta bresciana e la corposità del cioccolato.
Il disciplinare trae spunto da un atto notarile depositato a Padova nel 1999, voluto dall’Accademia Italiana della Cucina, sottoscritto anche dall’allora Sindaco di Padova e nel quale si cita Rita Chimetto Alajmo (che assieme al marito Erminio Alajmo ha dato vita alle Calandre e ad uno dei gruppi di riferimento del panorama gastronomico nazionale e internazionale).
Le origini della Pazientina
Come spesso accade, anche in questo caso le origini del dolce si perdono in un intreccio di leggenda e attestazioni certe. Se sulla funzione del dolce – vista anche la presenza dello zabajone come “ricostituente” – non sembrano esserci dubbi, più complesso è riuscire a risalire ad una versione condivisa circa la provenienza del nome. La versione più semplice e immediata è quella che lo vuole legato alla pazienza necessaria per realizzarlo. Più interessante è invece il riferimento alle “pazienze” o alle “supplicazioni” cioè i dolcetti preparati nei conventi e monasteri patavini.
Ancora connessa al mondo ecclesiastico è la tradizione secondo cui il dolcetto padovano sarebbe stato utilizzato come ricostituente per i “patientes”, gli ammalati, i sofferenti appunto. Si rimane nel contesto con il riferimento all’abbigliamento dei monaci, che indossavano lo scapolare, una sopraveste utilizzata durante il lavoro per tenere pulite le vesti: in particolare nei territori della Serenissima, i termini “scapolare” e “pazienza” avevano lo stesso significato.
Al di là delle leggende, certo è che il dolce comincia ad acquisire notorietà e diffusione: citata nella “Guida di Padova” pubblicata da Romano Dal Bianco nel 1920, commercializzata dal Caffè Pedrocchi e dalla Pasticceria Gobbo, entrambi di Padova, la Pazientina dagli anni ’70 – grazie i pasticcieri patavini e alla trasmissione orale della ricetta – consolida la propria fama. Nel 1981 il gastronomo e scrittore Giuseppe Maffioli ne riporta la ricetta nel volume “La cucina padovana dal cinquecento ad oggi”, mentre appunto nel 1999 l’Accademia Italiana della Cucina proprio per “codificarne” la ricetta ed evitare che fosse dimenticata, deposita un atto notarile che ha rappresentato la base su cui è stato steso il disciplinare firmato a Roma.