Dai posteri vorrei essere ricordata come un incrocio riuscito tra le mani sapienti del food writer britannico Nigel Slater e l’irritante perfezione di Csaba della Zorza, ammorbidito da un pizzico di burrosa nigellosità. In realtà, dalla manualità di un babbuino sono passata col tempo alla disarmante goffaggine di un’AntonellaClerici qualunque: la specie si evolve. E siccome ho deciso che “chi cucina senza sbagliare non è tuo amico“, confesso io per prima i molti momenti di imbarazzo vissuti da quando “La Ricetta Perfetta” si è abbattuta nella mia vita con la serialità settimanale di una rubrica di Dissapore.
I primi tentativi.
La mia carriera ai fornelli si segnala subito per l’attitudine ai fallimenti. A quattro anni ricevo in regalo il Dolce Forno che uso spento la metà delle volte. La prima crostata sembra un cerchio di cemento armato non scalfibile, è così che “mangiamo solo la crema” diventa il ritornello che perseguita la mia pubertà. Fallimentari anche i primi caffè, se volete dire “sciacquatura di piatti” o “piombo fuso”, ditelo. Famiglia molto contenta per il passaggio al tè. Altra regola di casa: non mangiare nessun dolce a me attribuibile. Dai pan di spagna, così duri e bassi da essere confusi con i piatti da portata, alle torte evanescenti, l’ultima disintegrata nel viaggio in motorino verso l’ufficio con grande sollievo dei colleghi.
(I veri nemici de) La ricetta perfetta.
Memoria farlocca. Per fare il creme caramel sono 500 ml di latte, non 5 bicchieroni. Risultato? La repentina formazione di un nuovo lago, giallastro e profumato di caramello, direttamente nel lavandino della mia cucina.
Mai fidarsi delle foto. Fidarsi ciecamente è pericoloso: i cappelletti, per dire. A vederli in foto sembra tutto chiaro, fai un cerchietto, metti il ripieno, richiudi. Peccato le n-mila incognite: umidità della pasta, spessore della sfoglia e saldatura dei due lembi di pasta. Quando ho provato a cuocere i primi cappelletti per capire se il ripieno teneva, mi sono ritrovata un’inguardabile poltiglia abitata da fronzoli di pasta anneganti. E ho rifatto tutto da capo.
Guarda in faccia il tuo nemico, la fretta. Delle persone mi piace il gastrofanatismo, anche nella cottura della pasta, che, loro spiegano, più che al dente dev’essere allo stadio superiore, il chiodo. Ci provo, ma scolare gli spaghetti dopo 3 minuti significa farsi del male fisico, per tacere le madonne della prozia causa dentiera.
Muffin che era meglio un’infografica, carbonare affrittellate, pasta all’uovo liscia come seta, il tunnel dei miei orrori culinari potrebbe unire davvero Ginevra con il Gran Sasso, altroché neutrini.
Nessuno vi guarda ora, nessuno vi può giudicare. Credetemi, non c’è momento migliore per confessare i vostri fallimenti in cucina, le ricette che non vi sono mai riuscite, gli orrori che gli amici ancora vi rinfacciano.
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