Avete presente quella sensazione fastidiosa e straniante di quando vi esce l’alluce dalla calza bucata? Potete ignorarla per un po’, ma alla fine il fastidio tocca lo Zenith e farebbe sbroccare anche un monaco buddista.
La domanda vera, dopo “La mia cucina italiana” (312 pag. 20 €, Mondadori) nuovo di una lunga serie di libri scritti da Marco Bianchi, è la seguente: puoi davvero rivisitare le ricette della tradizione italiana se sei un flexitariano integralista salutista (ecc, ecc)?
Ovvio che tutto è possibile, ma la cucina regionale in salsa depurata e slavata dal grasso siamo proprio così sicuri che sia credibile?
L’eroe dei presunti cuochi scienziati aka l’uomo con il nome più anonimo dopo Mario Rossi lo ha fatto di nuovo, un po’ come Britney Spears. E come è successo a lei, sottilmente attendo il momento gossip in cui il paparazzo di turno sveli l’arcano e ce lo immortali senza il suo sorriso affettato e anzi con dell’affettato di maiale nel panino.
Ah no, scusate: dimenticavo che Marco Bianchi non è umano, lui non ci cadrebbe in questi sputtanamenti da popstar della Disney che si trasforma in rockstar maledetta. Lui sorride, dispensa consigli nutraceutici, bacchetta i carnivori, si fa la piega coi boccoli e intanto scrive libri manco fosse Coelho, Cracco o addirittura la Parodi.
Dopo “Io mi muovo”, “Io mi voglio bene”, “Il talismano del mangiar sano” le cose sono due: o uccidiamo il titolista, o lo schiaffeggiamo a suon di guanciale.
Da poco Marco Bianchi lo ha rifatto, la sua faccia da capoclasse dei perfettini è di nuovo in libreria, e il mio fastidio da alluce ha raggiunto l’epifania.
Dopo averci propinato moralismi a mezzo stampa, tv e rete, ora si tocca l’intoccabile e mi si vuole proporre la versione marcobianchesca della cucina italiana. E’ giusto che voi sappiate: per sua stessa ammissione Marco Bianchi non usa burro, niente formaggi grassi per l’amor di Dio, carne niet, zero pasta “normale” (solo integrale, per carità), non c’è bisogno di dire nulla sull’olio di palma.
In compenso impazzano i legumi, i formaggi magri, la frutta e le verdurine, il pesce: tutti alimenti buoni e dignitosi, ma che me ne faccio se poi devo rinunciare al burro?
E soprattutto: come fai a (ri)scrivere la storia della cucina italiana con 200 ricette regionali senza mettere il burro in quelle a Nord del Po? Allora sarebbe stato meglio essere del tutto franchi e aggiungere un sottotitolo al volume, tipo: “La mia cucina italiana. Ciao, sono Marco Bianchi e non mangio burro”. Oppure “Il pizzochero alternativo che non è un pizzocchero”.
E no, dai. Liberi tutti di seguire regimi alimentari sani, di scambiarsi consigli di vegetarianismo online, accetto anche quelli che trasformano il seitan in salsiccia farlocca, ma prendere le ricette regionali e scardinarne i capisaldi burrosi, carnivori, per dirlo in una sola parola “grassi” mi risulta inaccettabile.
Marco Bianchi, ben oltre i tempi delle medie, pare il compagno di banco secchione indefesso che ti fa aumentare il senso di colpa quando non hai fatto i compiti.
E della sua versione della cucina italiana, devo dire la verità, ne faccio anche a meno.
[Crediti | Link: Dissapore, immagine: Dario Altamura]