Cos’hanno in comune queste 3 cose? La Pizza, il Sottovuoto, il Barbecue. Apparentemente niente. A meno che qualcuno (nello specifico, il vostro, qui) si auto-costringa a trovare la linea sottile che le unisce. Inizio dalla pizza, voi però seguitemi, eh. Usiamo la parola “Pizza” per identificare un oggetto, o un’idea, o una realtà. Quindi dire “pizza” significa dire molte cose, anche se di suo la pizza resta quel che è: un impasto di farina, acqua, lievito ca pummarola ncoppa.
In soldoni, ognuno di noi rappresenta la pizza per come la percepisce, e questa percezione ha un nome preciso: gnoseologia – dal greco “gnòsis” (“conoscenza”) e “lògos” (“discorso”). La gnoseologia studia i fondamenti, i limiti e la validità della conoscenza umana, intesa come relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. (Decidete voi come reagire seguendo il codice Castellari). Oggi proviamo a stabilire i fondamenti della relazione tra il pizzafan e l’oggetto della sua passione, la pizza appunto.
Dunque, ogni relazione si fonda su un contesto. La relazione tra marito e moglie (in teoria) si fonda sul contesto dell’amore. La relazione tra datore di lavoro e dipendente si fonda sul contesto professionale. Quella tra genitore e figlio si fonda sempre sull’amore, ma di tipo diverso rispetto al rapporto tra coniugi. Ed è qui che, agevolato da una pinta di Passito, mi è partito il brainstorming: su quale contesto si fonda la relazione tra pizzafan e pizza?
Complice Dissapore, ne ho individuati 7:
- Scientifico. Il nostro Marco Lungo ci ha fatto una capatànta parlando dell’effetto cammellizzazione della pizza, di glucano, di isomaltasi e di tutti gli enzimi che trasformano gli zuccheri complessi in zuccheri semplici durante la maturazione della pizza (72 ore).
- Tecnico.
- – Ingegneristico. Si fa presto a dire forno scriveva l’ex editor Maurizio Cortese parlando di Stefano Ferrara e additandolo come una semi-divinità del forno artigianale.
- – Gastronomico. Quando ci informavano sulle gesta del dream-team di Pizzaioli napoletani composto da Gino Sorbillo (Pizzeria Sorbillo), Enzo Coccia (Pizzaria La Notizia) e Franco Pepe (Pizzeria Pepe, a Caiazzo) per la Pizza Fest di Dissapore.
- – Gastrofanatico. Sempre Marco Lungo ci ha insegnato come dobbiamo valutare la pizza.
- Filosofico. Quando decidevamo che malgrado i disciplinari, i forni costruiti dagli artigiani partenopei negli angoli più remoti del mondo, le mozzarelle e i pomodori più o meno saporiti, resta complicato replicare altrove la perfezione napoletana.
- Sussiegoso. Quando Massimo Bernardi a muso storto, definiva poco credibile il giornalista del Guardian secondo cui la migliore pizza del mondo si mangia alla Pizzeria Frank Pepe di New Haven nel Connecticut. Oppure quando congetturava che la pizza migliore del mondo si sarebbe mangiata a New York visto che Stefano Ferrara stava costruendo lì il forno per la pizzeria di Donatella Arpaia.
- Culturale. Secondo l’editor Stefano Caffarri l’Italia è una Repubblica fondata sulla pizza. Con una tale varietà di gusti, tipi e abitudini da richiedere una vera classificazione enciclopedica. Lorenza Fumelli, inoltre, affermava che pizza e pasta sono le due grandi tette della nostra cultura gastronomica, dalle quali non abbiamo nessuna intenzione di staccarci.
- Storico. Quando Gino Sorbillo raccontava a cuore aperto sua nonna Esterina e la “storia della pizza napoletana”
- Romantico. Quando l’editor Antonio Tomacelli, prima che gli trapiantassero atri e ventricoli di Titanio, spiegava che non abbiamo ancora capito che l’unica vera pizza è lì, in una calda pizzeria del centro di Napoli, bollente di passione e pronta a soddisfare ogni nostro desiderio.
In attesa di chiarire cosa c’entra tutto questo con il sottovuoto e il barbecue vi chiedo:
Su quali altri contesti si fonda la relazione tra il pizzafan e l’oggetto del suo desiderio? E più in generale, perché l’amore di noi italiani per la pizza è così viscerale?
[Crediti | Link: Wikipedia, Dissapore. Immagine: Gianfranco Lo Cascio]