L’altro giorno avevamo a merenda un paio di amichetti dei nostri figli e abbiamo preparato loro latte e focaccia.
Sedutisi a tavola i nostri ragazzi hanno preso a fare quello che fanno sempre, che facevo io prima di loro, che faceva mio padre prima di me, sua madre prima di lui e così via fino a Cristoforo Colombo: hanno intinto la focaccia ne latte e se la sono mangiata bella imbibita.
Ah, che meraviglia, il sale e l’olio che incontrano la dolcezza del latte, il liquido che intride l’alveolatura prodotta dalle lievitazione. In Liguria –regione da cui provengo e in cui sono cresciuto– “pucciare” la focaccia nel latte – nel caffellatte, nel cappuccino – è una cosa che fanno in tanti. Non c’è niente di strano.
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Il fatto è che non abito più in Liguria. E che i due amichetti a tavola erano uno piemontese e uno laziale. Così, quando hanno visto i nostri figli tuffare la “figassa” nella tazza sono inorriditi.
— “Che schifo!” hanno detto.
— “Perché?” gli ho chiesto io.
— “Ma il dolce e il salato assieme!” hanno risposto in coro.
— “Guardate che il caramello salato è stata la più grande scoperta dopo la penicillina” volevo ribadire, ma il fatto che avessero sette anni mi ha trattenuto.
Ciò però mi ha fatto meditare: ci sono meraviglie gastronomiche che non superano i confini regionali; anzi: che oltre quelli appaiono obbrobri. Ricordo ancora mio nonno, calabrese, che –molto prima della moda delle “insalate con un po’ di tutto”– condiva le arance con olio e sale.
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Ogni regione ha le proprie tradizioni. E se alcune a prima vista sembrano stranezze o pazzie, spesso nascondo squisitezze. L’unico modo per scoprirle è provarle, superando magari lo schifo iniziale.
Ho tentato di spiegarlo anche agli amichetti dei miei figli ma mi hanno guardato come un vecchio rimbambito. Non importa. Ci riproverò.
Anche se mi pare d’aver sentito che si sussurrassero l’un l’altro “zio, la focaccia nel latte te la magni tu.”