“La dittatura del sapore”: le più assurde frasi dell’assurdo libro di Diego Fusaro sul gastronomicamente corretto

Anche Diego Fusaro ha ben compreso che parlare alla pancia funziona, così ci ha servito "La dittatura del sapore - Larve, insetti e grilli: contro il gastronomicamente corretto". La nostra recensione.

“La dittatura del sapore”: le più assurde frasi dell’assurdo libro di Diego Fusaro sul gastronomicamente corretto

Quando ho visto che era uscito un nuovo libro di Diego Fusaro – il filosofo televisivo che atteggiandosi a fustigatore del sistema finisce per difenderne le posizioni più reazionarie – e che il tema era il cibo, anzi La dittatura del sapore, come recita il titolo, ho prenotato un biglietto per l’Alaska. Ma non c’è stato nulla da fare: il dovere, con le sembianze del logo di Dissapore, mi ha raggiunto anche lì. Il fatto è che avevo un botto di (giustificabili) pregiudizi sui contenuti del libro, tanto che la mia pigrizia mi avrebbe spinto a farci un pezzo “al buio”, senza neanche guardarlo, in stile Schewiller, il grande editore che era solito dire: “non l’ho letto e non mi piace”. 

Invece ho comprato La dittatura del Sapore, l’ho letto, e mi sbagliavo, ho dovuto ricredermi: perché l’opera di Fusaro è molto meno e molto più di quello che mi aspettavo, che chiunque si potrebbe aspettare leggendo il sottotitolo Larve, insetti e grilli: contro il gastronomicamente corretto. In apparenza sembra un’operazione stile instant book, fatta per cavalcare l’onda generata dall’ultimo spauracchio delle destre da bar di paese, gli insetti commestibili: una supercazzola filosofica con morale melonian-salviniana.

Invece, da un lato è molto meno di questo: una ricognizione documentata e suffragata da una valanga di citazioni e note, di tutte le fonti più classiche del pensiero sul cibo – storiche filosofiche sociologiche antropologiche, da Brillat-Savarin a Levi-Strauss, da Montanari a Niola, da Michael Pollan a Marvin Harris – tanto che potrebbe benissimo essere frutto di un lavoro compilativo di qualche tesista o dottorando del prof. Fusaro, per costituire la base di un corso universitario di scarsa originalità ma di indubbia completezza. Dall’altro lato, vi si trovano delle tesi a dir poco bizzarre, ma soprattutto in clamoroso contrasto con le premesse. Fusaro insomma riesce in un’impresa che ha del miracoloso: partendo da assunti del tutto condivisibili, quando non banali, approda a conclusioni straordinariamente sballate. 

Ma su una cosa non si smentisce: il linguaggio creativo, immaginifico e surreale. Tradotto: le frasi assurde e al limite dell’incomprensibile che scrive (d’altra parte Fusaro è un personaggio capace di affermare in tutta serietà di essere lui quello che ha inventato l’espressione “turbocapitalismo”). Al limite però: perché sono proprio le espressioni più paradossali che celano (male) la sostanza paradossale dei suoi ragionamenti. Ecco allora una selezione delle frasi più estreme e divertenti, che però valgono anche come esempio delle contraddizioni appena evidenziate.

1. Parla come mangi

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L’ipocrisia di classe è una delle costanti dello sviluppo disuguale che accompagna il progresso interno alla “gabbia d’acciaio” del fanatismo economico connesso a quella astrazione concretissima chiamata capitalismo. Non stupisce che esibisca se stessa anche in campo alimentare mediante la celebrazione di presunte Delikatessen che gli abitatori dei piani alti – rigorosamente astenendosene – vorrebbero, con apparente generosità, far mangiare al “popolo degli abissi”. 

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Fusaro parla di haute cuisine come cibo dei ricchi e di junk food come cibo dei poveri, e fin qui sai che scoperta. Ma poi con uno spettacolare rovesciamento assimila il panino del fast food, super economico e iper processato, ai novel food tipo insetti o carne coltivata, tutt’altro che delle porcate golose e alla portata di tutti. Ma soprattutto mi viene da dire: se predichi tanto sul ritorno al cibo semplice, perché parli così difficile? 

2. Sushi primitivo

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Negli spazi sconfinati della cosmopoli tecnomorfa, il crudo e il selvatico sono assai frequentemente assunti come simbolo di scelte proprie di quanti aspirino a fuggire into the wild per ritrovare l’equilibrio perduto con la natura, incarnando al tempo del tardo capitalismo un inatteso revival del mito del “buon selvaggio” rosseauiano che, come noto, non cucina ed è massimamente felice.

Altro passaggio mirabile: si parte correttamente riportando la tesi classica che contrappone crudo/natura e cotto/cultura. Ma poi, gratta gratta, sotto i neologismi cyberpunk s’intuisce l’avversione per due cose: la moda del sushi come espressione della globalizzazione (e che però non è un ritorno alla preistoria, ma contemporaneità all’estremo) e il fatto che la gente (le donne) non cucinano più come una volta.

3. Pane al pane…

La tecnocrazia della civiltà cosmomercatista, in nome del nuovo codice gastronomicamente corretto, ha non di rado assunto come riferimenti polemici l’olio, il vino e il pane, vale a dire i fondamenti della “dieta mediterranea” e dell’identità occidentale a tavola: quasi come se, per inseguire le ragioni medico-scientifiche, avesse deciso di mettere in congedo quelle simboliche della tradizione e dell’identità.

Dopo aver passato pagine e pagine a illustrare la natura conviviale del pane, come elemento fondativo della civiltà, e a puntare giustamente il dito contro la società contemporanea che da un lato crea gli obesi e dall’altro li stigmatizza, Fusaro mette insieme Nutriscore, studi scientifici sull’alcol e fobia del carboidrato, fa di tutta l’erba un fascio, ed esprime puro salvinismo.

4. …e vino al vino

L’odierna società postconviviale, che alla giusta misura e all’equilibrato limite preferisce l’eccesso e la trasgressione, dichiara illegittimo il vino, dunque l’essenza stessa della nostra civiltà, e si consegna al subcultura dei superalcolici; i quali, assunti senza regole e senza limiti, generano la condizione ideale del disordinato ordine postmoderno, in cui gli sciami dei consumatori hanno interrotto ogni relazione comunitaria e sono dediti unicamente all’ebbrezza del godimento acefalo e senza interdizioni, emblema della libertà pervertita in desiderio individuale di trasgressione di ogni limite e di ogni tabù.

Indovinate un po’ chi regge gli acquisti online del vino? Indovinate un po’ chi regge gli acquisti online del vino?

Cioè il vino va bene perché è tradizionale anche se contiene alcol, i superalcolici fanno male perché fanno ubriacare, infatti col vino non si è mai ubriacato nessuno, e la grappa è superalcolica quindi non tradizionale, o tradizionale nonostante sia superalcolica? Mi sta esplodendo il cervello.

5. Tutti i gusti sono al limone

Infatti, mangiare è sempre in prima persona, ma rinvia a una dimensione sociale legata al gusto – che, lungi dall’essere solo individuale, è anche mediato dalla cultura e dalla società – e alle maniere del consumo e della preparazione. Insomma, per quanto ciò possa prima facie apparire paradossale, non si mangia mai da soli, non solo perché da sempre la maggior parte dei pasti si consuma in compagnia (familiare, rituale, la comunitaria), ma anche in ragione del fatto – studiato da Durkheim e da Simmel, da Mauss e da Lévi-Strauss – che, pure quando mangiamo in solitudine, il cibo con cui ci alimentiamo rimanda ad abitudini e a scelte condivise culturalmente e socialmente.

Impeccabile. Sostanzialmente dice che non solo i gusti sono personali e mutevoli, ma anche determinati dal contesto sociale. Allora, però, non si capisce perché non si possano, non si debbano, adeguare al nuovo contesto sociale attuale, o nuovo ordine mondiale come lo chiama lui.

6. Brutti e cattivi

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In coerenza con il paradigma dell’accumulazione flessibile e della produzione just in time propria del nouvel esprit du capitalism e del nostro tempo senza storia, il cibo, oltre a farsi esso stesso mondializzato nella forma del piatto unico gastronomicamente corretto, tende, poi, ad assumere tratti sempre più spiccatamente flessibili e postmoderni, liquidi e destrutturati. Dà luogo ad ibridazioni impensate, che fondono tra loro la tradizione nipponica e quella brasiliana, quella europea e quella asiatica producendo non tanto nuove sintesi alimentari quanto l’evaporazione generale di ogni identità gastronomica: non la sintesi ma il caos sembra, anche a tavola, il principio che governa la globalizzazione e il suo fondamentale principio di deregolamentazione. Trovando un proprio momento fondamentale nell’introduzione dell’alimentazione sul luogo di lavoro, il cibo postmoderno si presenta in porzioni sempre più piccole e più agili, composte su misura per individui che concepiscono il pasto come momento transeunte…

Passaggio fondamentale per illustrare il Fusaro-pensiero: visto che la società contemporanea fa schifo, deve essere avversato tutto quello che la caratterizza, anzi tutto cioè che essa contiene. Quindi tutto finisce nello stesso calderone di brutti e cattivi: le monoporzioni del pasto da single e il rito dell’aperitivo in massa, il fine dining e McDonald’s, la cucina fusion e Glovo, la spettacolarizzazione del cibo e l’ossessione medico-salutistica. Tutte contraddizioni che esistono, per carità, ma che appunto sono espressioni di una realtà sfaccettata e non monolitica – e tu vedi se mi tocca difendere il capitalismo (non lo sto facendo).

7. Desovranizzazione

I processi neoliberali di cosmopoliticizzazione generano, a un solo parto, la desovranizzazione politica e la desovranizzazione alimentare, sottraendo il controllo dei nuclei fondamentali dell’economia e della nutrizione alla gestione diretta delle nazioni e dei popoli, del locale e delle comunità territoriali.

Carlin Petrini corregge il tiro sulla carne coltivata, e ribadisce il suo “no assoluto” Carlin Petrini corregge il tiro sulla carne coltivata, e ribadisce il suo “no assoluto”

E questo potrebbe essere il manifesto della saldatura politica tra Slow Food e Meloni, cosa che purtroppo stiamo vedendo succedere.

8. Cos’è il finger food

Il food design progetta cibi serviti per essere mangiati in fretta e in ogni contesto, offerti in piccole porzioni concepite ad hoc acciocché si eviti che il desiderio sia interamente soddisfatto. Quest’ultimo, in coerenza con la struttura stessa della civiltà dei consumi e con il regime temporale dell’essere-senza-tempo, deve sempre di nuovo rinnovarsi, nella forma di un “cattivo infinito” che mantenga perennemente in vita la liturgia dell’acquisto e, in questo caso, dell’assaggio.

Esempio perfetto del rovesciamento di senso. Accecato dal furore ideologico, dall’ansia di dover attaccare tutto ciò che è moderno, F. ci butta dentro anche ciò che è un ritorno all’antico: mangiare con le mani.

9. Porco bio

È ormai un rito sempre più diffuso presso la tribù dei “selfie della gleba”, gli “egomostri” della civiltà globale – che ha sostituito Dio con l’io (e con il bio), trovando nel gesto del selfie la propria più plastica e patologica rappresentazione -, il fotografare al ristorante, con soddisfatto autocompiacimento, il proprio piatto variamente composto, per poi pubblicarlo sulle reti sociali e trasformarlo in spettacolo digitale.

Qui raga alzo le mani, perché devo ammettere che al gioco di parole Dio-io-bio mi sono eccitato così tanto che ho smesso di seguirlo.

10. I dispiaceri della carne

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L’abolizione della carne sembra uno dei punti saldi del nuovo menu omologato della globalizzazione infelice e ciò per ragioni simboliche e culturali, connesse anzitutto con lo sradicamento postidentitario che accompagna, anche a tavola, il nuovo profilo antropologico dell’homo neoliberalis.(…) La carne è in Occidente, da sempre, simbolo di virilità e di forza. Il nuovo ordine globalcapitalistico sembra contraddistinguersi anche per una generale sviriilizzazione della società che, funzionale al nuovo modello della produzione post patriarcale e liberal-consumistico per individui unisex, si manifesta nella sempre più ostentata accusa al maschio come figura autoritaria e aggressiva.

Questo è il capolavoro finale, perché riesce a mettere insieme tante di quelle minchiate argomentazioni delle nuove destre, da sembrare generato da un’intelligenza artificiale, da un comico che si esibisce in una parodia. Ma anche perché viene subito dopo la critica al fast food, al McDonald’s, al regno dell’hamburger, all’ultimo baluardo della bistecca.

Più di un italiano su due proverebbe la carne coltivata Più di un italiano su due proverebbe la carne coltivata

Le ragioni sanitarie, etiche, politiche e ambientali della scelta vegetariana sono elencate con precisione e chiarezza, ma non confutate – sembra quasi che Fusaro sotto sotto sia d’accordo. E la stessa cosa accade qualche pagina più avanti con gli insetti: alla fine l’unica argomentazione che gli resta in mano è che non appartengono alla nostra tradizione. E la critica puntuta si volge in piagnisteo infantile: ci vogliono costringere a mangiarli!

In definitiva che dire di questo libro. Si potrebbe riassumere citando quello che disse Gioachino Rossini a proposito delle composizioni di un suo ex allievo: c’è del buono e c’è del nuovo, ma il nuovo non è buono, e il buono non è nuovo.