Di fronte a differenze di prezzo che possono arrivare al rapporto 1 a 35 uno se lo chiede cosa hanno a che fare i panettoni industriali con quelli artigianali? Sono immangiabili i primi? Sono follie da nababbi i secondi? Niente di tutto questo. Per andare più a fondo, è necessario conoscere un po’ meglio l’industria, la pasticceria, il mercato. Tanto per cominciare, a decidere che cos’è un panettone è una legge dello Stato Italiano (si apre un pdf). Questo vale sia per l’industriale, sia per l’artigianale. Leggendola, scoprirete che tutti i panettoni devono essere fatti di farina, zucchero, uova fresche (tuorli: non meno del 4% del totale), burro (non meno del 16% del totale), uvetta e scorze di agrumi candite (non meno del 20% del totale), lievito naturale costituito da pasta acida, sale. In più, a discrezione del produttore, potranno esserci altri ingredienti, tra cui alcuni conservanti.
Ora, mentre gli artigiani che puntano alla qualità assoluta utilizzano gli ingredienti più costosi, dalle farine iperspecializzate ai burri nordeuropei, dalle uvette australiane 5 Corone alle bacche di vaniglia del Madagascar, ogni industria che fa il panettone dovrà comunque usare lievito naturale, cioè una pasta madre acida, i cui fermenti vengono alimentati quotidianamente con nuova farina, uova di categoria A, vale a dire fresche, destinate al consumo diretto, burro e non margarina, proprio come fanno gli artigiani; la base degli ingredienti, dunque, è la stessa.
Passiamo alla lavorazione, che dura un minimo di 30 ore. Si parte dal lievito naturale, che viene impastato la sera con parte degli ingredienti. La prima lievitazione dura in genere una notte; la mattina dopo si reimpasta con gli altri ingredienti. Dopo un ulteriore riposo, si procede alla spezzatura dell’impasto nelle quantità previste per i singoli panettoni e l’inserimento di quelle negli stampi in carta che daranno loro la forma. Dopo un’altra lievitazione si inforna. A cottura avvenuta, i panettoni si girano al contrario, per non far perdere loro la forma bombata, e si lasciano raffreddare per 10-12 ore. In alcune industrie, questa operazione viene ridotta a pochi minuti grazie all’utilizzo di tecnologie tipo il sottovuoto. A parte questa pratica, non condivisa neppure da tutti i produttori, le industrie utilizzano gli stessi sistemi degli artigiani. Il punto è, però, che per l’industria, il tempo è prevalentemente tempo-macchina, per l’artigiano è tempo-uomo, che ha un costo molto diverso.
L’industria ha anche altri vantaggi rispetto all’artigiano. Per affrontare il panettone, uno dei dolci più difficili e più faticosi, dispone di dottori in scienze alimentari che possono testare gli ingredienti, tenere sotto controllo temperatura, umidità e pH dei ceppi di lievito madre, progettare sistemi di lavorazione perfetti e sempre uguali a se stessi. L’artigiano, che non ha tutte queste facilities, deve affidarsi alla sua esperienza e al massimo a un piaccametro (misuratore di acidità), perché può succedere che l’impasto sia pronto per la fase successiva anche un’ora prima o dopo del previsto, quindi bisogna star lì a presidiare, magari per 30 ore di seguito, altrimenti 50 o 100 chili d’ingredienti possono andarsene a ramengo. L’industria, invece, può standardizzare i processi in modo da ridurre quasi a zero l’imprevisto, il dispendio di tempo-uomo e lo spreco di ingredienti, ed elevare al massimo il rapporto qualità/prezzo.
I panettoni industriali costano così poco anche per un altro motivo, indipendente dall’industria. Ad avere l’ultima parola sui prezzi è chi vende, cioè la grande distribuzione. Anni fa i supermercati hanno cominciato a utilizzare i lievitati da ricorrenza come prodotto civetta, cioè sottocosto, con lo scopo di attrarre clienti sui punti vendita. Questa politica ha fatto vendere tanti panettoni, ma ne ha svilito l’immagine. Da un paio d’anni la tendenza sembra invertirsi, ma comunque, per alcuni prodotti base e in certe zone d’Italia, il prezzo resta inferiore a quello del pane. Con questo dato l’industria è costretta a fare i conti. Ecco perché la produzione tende a concentrarsi in poche mani: le economie di scala diventano più favorevoli e la posizione contrattuale con la distribuzione più forte.
Ovviamente, l’artigiano ha altre frecce al suo arco. Laddove l’industria è costretta a standardizzare e andare con i piedi di piombo, l’artigiano può variare sul tema, inventando nuove squisitezze. La condizione è che la sua preparazione tecnico-scientifica sia sufficientemente alta da fargli prevedere i risultati. Insomma, non dev’essere un artigiano qualsiasi. Due esempi: sottoporre il lievito naturale a un colpo di calore può cambiare completamente il suo pH e di conseguenza il sapore del panettone. Altrettanto può fare l’innalzamento della percentuale del burro dal 16 al 19%. E le invenzioni, com’è giusto, rendono al loro autore. Così può succedere che si faccia pagare il proprio panettone 35 euro al chilo e non si riesca a soddisfare tutti i propri potenziali clienti.
Un paragrafo a parte merita la conservazione. Mentre l’élite dei pasticcieri lavora sul fresco (data di scadenza 1-2 mesi), l’industria – e gli artigiani che propongono al mercato quantità più massicce – devono puntare a una shelf-life lunga almeno 6 mesi. Il lievito naturale è già di per sé un conservante naturale, ma ha dei limiti. Nei prodotti che devono reggere così a lungo compaiono, quindi, i mono-digliceridi. Sono conservanti presenti anche in natura e del tutto consentiti dalla legge. Gli stessi delle merendine, per intenderci. Non vanno demonizzati, ma bisogna ammettere che una differenza c’è tra un panettone che li contiene e un altro che deve la sua freschezza solo al fatto di essere stato preparato pochi giorni prima.
Ricapitolando
INDUSTRIA: I prezzi bassi dipendono dalla politica della grande distribuzione, dal costo inferiore del tempo-macchina rispetto al tempo-uomo, dall’acquisto degli ingredienti in quantità rilevanti, dalla standardizzazione e ottimizzazione dei processi, dalle economie di scala, dalla più lunga conservabilità. Tutto questo, lungi dal farne prodotti di serie B, li rende un vanto dell’industria italiana, l’unica al mondo – per quel che ne so – ad essere in grado di gestire prodotti a base di lievito naturale su così vasta scala.
ARTIGIANATO: I prezzi alti dipendono dall’eccellenza delle materie prime, dall’inevitabile maggiore spreco rispetto all’industria, dall’alto costo del tempo-uomo, dal necessario riconoscimento all’abilità tecnica e alla creatività del pasticciere, dall’esclusività della ricetta quando c’è, e dall’estrema freschezza, elemento che da solo fa buona parte della differenza.
ERGO: Meglio un buon panettone industriale che un panettone artigianale così così. Anche se nessuno deve dimenticare che un ottimo panettone artigianale, fresco, è pura poesia.
Immagini: Stanislao Porzio, Il Panettone