Ingredienti africani: 10 cibi più o meno popolari che dovrebbero stare sulle nostre tavole

10 ingredienti africani che stanno finalmente arrivando da noialtri e merita conoscere a fondo, dal fufu al fonio, passando per l'okra e il platano, fino al rivalutabile olio di palma.

Ingredienti africani: 10 cibi più o meno popolari che dovrebbero stare sulle nostre tavole
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C’è una lenta, inesorabile “invasione” che sta avvenendo sotto i nostri occhi, e spesso nella totale inconsapevolezza. Se dico che arriva dall’Africa scatta qualche campanello? No, non sto parlando della dispercezione rispetto ai flussi migratori insinuata da certa propaganda politica ahimé prevalente in Europa. Mi riferisco all’invasione degli ingredienti africani, dai menu stellati alle tavole domestiche.

Poco a poco stanno arrivando anche da noi, attraverso ristoranti e supermercati cosiddetti “etnici”. Ci hanno messo un po’ di più rispetto ad altri paesi, ex colonialisti (Francia su tutti) ed ex schiavisti (Stati Uniti, Caraibi) dove discendenti e sopravvissuti hanno da tempo portato ed evoluto le loro cucine. Finalmente però cereali, tuberi e superfoods trovano mercato, Ed è importante includerli in una dieta più varia e (ci auguriamo) cosmopolita. Ecco quelli da conoscere, da fufu a fonio, teff okra, baobab.

Fufu

fufu pronto e servito con umido rosso

Se sbirciate TikTok a qualsiasi latitudine, probabilmente vi sarete imbattuti nella ricetta del fufu. Questo side dish tipico delle cucine di Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio e (per motivi tristemente storici) Caraibi corrisponde, se volete, a un mix tra cucchiaio e scarpetta del pane. L’impasto soffice e gommoso viene utilizzato infatti per raccogliere ricchi stufati, salse, zuppe di carne e verdure – rigorosamente con la mano destra.

Il fufu è diffuso in molti Paesi dell’Africa occidentale, con nomi e ingredienti che possono differire leggermente. Di base c’è la cassava: per renderla commestibile va fermentata, bollita e lavorata a lungo, e ciò è vero anche per il fufu. Servono almeno due persone per mescolare e “sbattere” vigorosamente la cassava in pezzi con l’acqua. Altri ingredienti tipici del fufu sono platano e cocoyam, una sottospecie di tubero yam. La versione caraibica, infine, si avvale anche di albero del pane.

Come si utilizza? Il fufu può essere diviso in piccole palline aggiunte direttamente nel (sempre sugoso) piatto principale. Oppure si prende un pezzetto con la mano e, fatta la pallina, si tuffa nella salsa. Il fufu, dal gusto neutro e consistenza spugnosa, è perfetto per assorbirla. Alcuni piatti tipici a cui abbinarlo sono: nkatenkwan, zuppa ghanese di noccioline; egusi, stufato nigeriano di zucca con carne; ata din din, zuppa di pesce e okra nigeriana. Perché no, anche a uno spezzatino nostrano a fare le veci della polenta!

Attiéké

Attiéké

Di nuovo cassava, ma stavolta siamo in Senegal e Costa d’Avorio. L’attiéké o acheke è un cous cous di cassava fermentata e uno street food molto apprezzato ed economico. Ma cos’ha di così speciale? La cassava è molto nutriente e calorica, indispensabile per l’energia; contiene amido resistente, facendone una preziosa fonte di fibra solubile; possiede alti livelli di vitamina C e rame, sostanza minerale essenziale la sintesi dei neurotrasmettitori e il metabolismo del ferro. C’è solo un potenziale contro: va trattata con attenzione perché mangiata cruda è tossica.

La sua preparazione è normalmente riservata alle donne, e richiede almeno due giorni di fermentazione per fare in modo che l’acido cianidrico della cassava (esatto, è così tossica) venga completamente rimosso. Nel caso dell’attiéké il tubero viene grattugiato, fermentato, disidratato e cotto al vapore. A questo punto il cous cous è pronto al consumo, irrorato dalla tipica salsa di cipolle pepata che lo contraddistingue. Altre combinazioni sono con pomodoro a fette, pesce fritto o pollo alla griglia speziato. Ricette fusion lo utilizzano come una sorta di tabbouleh condito con tanto prezzemolo, o semplicemente saltato con olio e/o burro.

Freekeh

Freekeh

Tutti ormai conosciamo il bulgur, ma che dire del freekeh? Questo ingrediente dell’area nordafricana (ma anche di Siria e Palestina) è un grano duro spezzato dal bellissimo colore verde. Il nome deriva dal verbo farik, letteralmente “sfregare”. I chicchi, raccolti ancora verdi e arrostiti, subiscono questo trattamento per eliminare lo strato più esterno. A differenza del bulgur, il freekeh non è parboiled.

Di questo cereale si dice abbia origini antichissime: corrisponderebbe al qaluy o carmel dell’Antico Testamento ebraico, grazie al quale il profeta Elisha sfamò per miracolo un centinaio di persone. Se ne trova menzione anche in un libro iracheno di cucina del Duecento. Nella ricetta medievale, il freekeh viene mischiato al coriandolo e servito come base per uno stufato aromatico di agnello. Mica male, considerato il nostro sincretismo alimentare dell’epoca che oggi ci parrebbe semplicemente immangiabile.

Il freekeh viene spesso cucinato pilaf, ovvero con un mix di sauté e vapore stile tahdig persiano. Si sposa molto bene con erbe e spezie (prezzemolo, fienogreco, cumino, cannella), frutta secca e disidrata (mandorle, datteri, albicocche, pistacchi), legumi (ceci, piselli, fave). Alcuni piatti tipici sono hamam bi’l-ferik, piccione ripieno egiziano; freeket lahma, pilaf con agnello, piselli e pinoli giordano; shurba-al-farik, zuppa di grano e pollo palestinese.

Fonio

porridge-fonio

Il fonio è sempre una buona idea, dal porridge mattutino a cous cous, pane e perfino birra. Questo pseudo-cereale senza glutine del genus Digitaria è tipico dell’Africa occidentale, specie Guinea, Mali, Burkina Faso. Ne esistono due tipologie principali: fonio bianco (Digitaria exilis), il più comune simile al miglio; fonio nero (Digitaria iburua) coltivato in Nigeria, Togo, Benin. Sebbene entrambi siano molto nutrienti e digeribili, il sottotipo nero ha una marcia in più in termini di contenuto proteico.

Il fonio è indispensabile all’economia e alimentazione locale. Riesce a crescere in zone aride, addirittura senza irrigazione; ha un largo range di altitudine; cresce molto velocemente e può essere raccolto a mano; più della metà della sua produzione è affidata alle donne. I suoi grani fini e piccolissimi contengono molti carboidrati e lipidi, ferro e zinco, vitamina B, amminoacidi essenziali.

Cucinarlo è molto semplice. Basta portarlo a bollore, abbassare la fiamma e mescolare per circa 15 minuti fino a che tutto il liquido di cottura è assorbito. Oltre a porridge e stufati dolci e salati, il fonio è molto versatile in cucina. Dalla farina si ricavano biscotti, pane, barrette proteiche; può essere utilizzato croccante come topping per insalata; oppure come addensante in zuppe e minestre.

Teff

Farina di teff

Da tempo in Italia ci sono ottimi ristoranti etiopi ed eritrei. Chi ci è andato ha sicuramente assaggiato il pane injera, la base spugnosa su cui versare contorni e condimenti tipici come misir wot e azifa (lenticchie rosse e verdi), kik alicha (piselli spezzati), gomen (coste) e molto altro. Bene, sappiate che quella base deve la sua unica e incredibile consistenza al teff, pianta erbacea dai semi piccolissimi.

Naturalmente senza glutine, molto nutriente e fra le più antiche specie vegetali addomesticate, il teff è sinonimo di Corno d’Africa. Nato e diffuso soltanto qui, può avere diversi colori (dal bianco al rosso al marrone scuro) e usi locali ingegnosi. A partire dall’injera appunto, che fa tanto da piatto quanto da posate. Con la farina, che oggi si trova facilmente anche in Italia, si possono realizzare torte e biscotti, polenta, pancake, birra senza glutine.

Ora, è abbastanza arduo cimentarsi nella laboriosa preparazione dell’injera. Ci vogliono fermentazione con starter ersho (ottenuto da injera precedenti) e cottura sul mitad, la tipica griglia circolare di diametro considerevole. Tuttavia, visti gli indirizzi promettenti, potete tranquillamente ordinarlo. Provatelo con zighinì, spezzatino al pomodoro; o in versione veg con missir (lenticchie rosse), shiro (ceci speziati), tanto berberé e mitmita, le miscele di spezie tipiche dell’Etiopia.

Platano

platano-grill

Cosa non è né cereale né tubero, eppure è una importantissima base alimentare? Il platano, cultivar di banana appartenente al genere Musa che si presta alla cottura. A differenza della banana da dessert infatti, il platano è particolarmente ricco di amido e contiene meno zuccheri semplici. Così diventa una fonte di energia molto versatile e interessante, per esattezza la decima al mondo per importanza.

Il platano è particolarmente importante nella dieta africana, specie di centro e ovest. Bollito, fritto, grigliato, al vapore, in farina, è protagonista di numerosi piatti tipici. Anche in questo caso, come nel fufu dove lo abbiamo già incontrato, il platano è stato esportato nelle principali isole caraibiche. Ecco alcuni esempi:

  • Aloco: platano fritto della Costa d’Avorio in salsa di pomodoro e cipolle servito con pesce fritto
  • Boli: platano e pesce arrosto della Nigeria servito con salsa di arachidi
  • Dodo ikire: crocchette di platano al pepe tipiche della Nigeria
  • Kelewele: platano fritto speziato (noce moscata, chili, zenzero) del Ghana
  • Matoke: stufato di platano tipico dell’Uganda, servito con verdure, arachidi e carne
  • Mofongo: menzione speciale al piatto tipico di Puerto Rico, un tortino di platano fritto mischiato con chicharrones, aglio e olio d’oliva

Okra

okra

Questa non è la nuance di giallo. L’okra è il baccello commestibile dell’Albemoschus esculentus, pianta nativa dell’Africa orientale. La sua versatilità e influenza in cucina ne ha propagato la diffusione in tutto mondo, specie negli Stati Uniti del sud dove è arrivata suo malgrado con le tratte schiaviste. Oggi viene usata praticamente ovunque, meno che in Europa. E il motivo è molto semplice: di media il nostro palato fa fatica.

Il “problema” sta nella consistenza dell’okra, che al suo interno contiene una mucillagine. Questa sostanza, nonostante la sua “bavosa” apparenza, è importantissima a livello nutrizionale e culinario. Da una parte infatti si tratta di preziosa fibra solubile; dall’altra, agisce come addensante chiave per numerosi piatti tipici. Uno di questi è il gumbo della Louisiana, zuppa creola di pesce con aggiunta di salsiccia. Ma anche nelle zuppa di okra e pesce tipiche del West Africa, in particolare Benin e Nigeria.

Se proprio non va giù, la mucillagine può essere ridotta previa cottura o abbinamento a cibi acidi come il pomodoro. Un modo per bypassarla completamente è un altro piatto tipico Southern: l’okra fritta. In tal caso però si perdono completamente i suoi preziosi nutrienti, fra cui vitamina C e K1. Infine, ricordiamo che l’okra è uno dei pochi vegetali con un considerevole contenuto in proteine.

Olio di palma

olio di palma

Esatto, proprio lui. L’innominabile, nemico pubblico numero uno che abbiamo a tutti i costi voluto eliminare dalla faccia delle confezioni di biscotti e merendine. Salvo poi scoprire che la dicitura “senza olio di palma” nascondeva ben più terribili sorprese. Insomma, per noi l’olio di palma è (stato) un mostro: eppure in Africa è un alimento base della dieta per milioni di persone. Ed è bene sapere che non esiste soltanto quello iper-raffinato e causa di deforestazione massiccia con tanto di carico residuale di oranghi e uccelli rari. A oggi è sempre più facile trovarlo biologico, e sarebbe un peccato non provarlo. Come ricreare altrimenti certi saporitissimi stufati di pomodoro, zucca, arachidi?

Nella Guinea-Bissau c’è una tipologia con radici antichissime e pure un Presidio Slow Food. È l’olio di palma selvatica, ottenuto esclusivamente da specie Elaeis guineensis con metodi tradizionali e comunitari. Mentre gli uomini si occupano della raccolta, alle donne è affidato il processo di estrazione. L’olio, ottenuto previa bollitura e spremitura dei frutti, è molto aromatico e nutriente, in particolare ricco di carotenoidi e vitamina E. Ha consistenza densa e viscosa, colore rossiccio, sapore fruttato e speziato, e ricorda in particolare il pomodoro. Viene utilizzato principalmente per condire riso, carne, pesce e verdure.

Baobab

Baobab frutto

Se c’è una cosa che ci ha mostrato il film Madagascar, oltre a frotte di lemuri pazzerelli, è il baobab. Questo albero massiccio e maestoso appartiene al genus Adansonia, otto specie distribuite tra Australia, Tanzania, Africa centrale. E appunto, Madagascar. Peculiarità a parte, a noi qui interessa il frutto e i suoi sottoprodotti. Polpa e semi infatti sono considerati dei veri e propri superfoods con claims quali perdita di peso, controllo dell’appetito, controllo dei livelli di zucchero nel sangue e molto altro ancora.

La specie Adansonia digitata è tipica di Angola e Zimbabwe. La polpa di questo baobab può essere consumata fresca in porridge, frullati, bevande. Da essiccata e bollita si fa gelado de múcua, dessert ghiacciato con latte e banane tipico dell’Angola. Ancora più interessanti sono i semi, da cui si ricava un olio vegetale e una polvere previa essiccatura. Quest’ultima, venduta come supplemento energizzante, contiene moltissima fibra, calcio, magnesio, potassio. Per beneficiarne basta un cucchiaio da sciogliere in yogurt, smoothie, bevanda vegetale.

Rooibos

tè rosso

Il rooibos è forse il prodotto più esportato del Sudafrica, insieme al rugby e alle odiatissime vuvuzelas. Ci piace definirlo tè rosso anche se non è davvero un tè. Le sue foglie infatti non provengono da qualche sottospecie di Camellia sinensis, ma dall’arbusto locale Aspalathus linearis che in afrikaans si chiama appunto rooibos. Durante la lavorazione le foglie vengono sottoposte a fermentazione ossidativa: in altre parole, il colore da verde passa a rosso.

L’infuso che se ne ottiene dunque ha il caratteristico color mattone, un gusto caldo e avvolgente che ricorda le spezie dolci, e soprattutto zero caffeina. Contiene molte sostanze antiossidanti, ma attenzione: i benefici sono pressoché azzerati se si beve il rooibos “all’inglese”. Ovvero, con tanto latte e zucchero (e magari pure i biscotti). Vi consigliamo di sorseggiarlo nature, oppure di utilizzarlo come ingrediente fuori dagli schemi per aromatizzare dolci al cucchiaio. Ad esempio panna cotta, gelato, tiramisù.