Meglio impastare a mano o con un braccio meccanico? Proviamo a sciogliere il dilemma ragionando su differenze e peculiarità di ogni tecnica di impasto: a mano, con planetaria o impastatrice.
Non fate finta di nulla, vi conosco.
Si sto parlando con voi, che vi fate salire ste incredibili febbri per la cucina, spendendo e spandendo tutto il possibile in ingredienti e attrezzature. Si comincia sempre allo stesso modo, una partenza soft, con la classica pratica di autoconvincimento: “Ma va, per quel che devo fare basta e avanza l’impasto a mano, non ho bisogno di nessuna macchina”.
Tempo qualche mese vi siete già presi la planetaria di ultima generazione, un mostro ultrasonico che non cambierete con nessun altro aggeggio al mondo.
Nemmeno il tempo di finire la frase, che il corriere vi ha già scaricato in casa l’impastatrice professionale.
Esatto, vi conosco, siamo fatti della stessa terribile malattia per la farina.
Eppure in tanti, ancora ignari del pericolo che stanno correndo nell’avvicinarsi all’arte bianca, ancora non hanno ben chiare le differenze e le peculiarità di ogni tecnica di impasto.
Urge una dissertazione in merito, ma vi avverto, potrebbe rappresentare l’inizio della vostra fine, un punto di non ritorno.
Ah, disclaimer, giusto per chiarire due o tre punti:
- No, no sto cercando di vendervi nessuna impastatrice;
- Chi vi scrive ha iniziato impastando a mano, per poi passare ad una planetaria e infine all’impastatrice, ma utilizza ancora abitualmente tutti e tre i metodi;
- L’uomo è andato sulla Luna e quella del buco nero non è una fake news.
Tutto chiaro?
Bene, si comincia.
Olio di gomito o olio di macchina?
Affermare che l’impastamento sia una fase parecchio critica in tutto il processo panificatorio è un concetto abbastanza scontato; in mancanza di una buona base, è impensabile costruire un prodotto perfetto, e sebbene una falsa partenza possa essere recuperata in corsa, le correzioni da attuare non sono certo semplici.
È possibile suddividere le tipologie di impastamento in tre macro-gruppi distinti:
- A mano;
- Con planetaria;
- Con impastatrice.
L’impasto a mano
È per ovvie ragioni quella dell’impasto a mano è la tecnica più antica, praticata tutt’oggi da parecchi professionisti di fama internazionale ancorati alle tradizioni. Ne è un chiaro esempio Franco Pepe, che millanta spesso l’utilizzo di una madia di legno con la quale ogni giorno vengono impastati chili e chili di acqua e farina per il servizio.
In un contesto prettamente domestico è l’utilizzo di una ciotola capiente, che viene fatta ruotare con una mano mentre l’altra porta l’impasto verso il centro, in modo da effettuare contemporaneamente tre azioni fondamentali:
- Miscelazione dei componenti;
- Trasmissione di energia cinetica;
- Ossigenazione dell’impasto.
I vantaggi dell’impasto a mano sono legati alla sua praticità in termini di spazio e all’investimento praticamente nullo, oltre al fatto che il calore trasmesso all’impasto (in riferimento a un tempo di 15-20 minuti) è di soli 2 °C. Per i malati come noi risulta poi essere un anti-stress naturale, motivo per il quale ancora oggi, nonostante la dotazione di macchine professionali, amo tornare “alle mani” in parecchie occasioni.
Anzi, un consiglio spassionato: se vi state avvicinando a questo mondo, un periodo più o meno lungo di lavorazione manuale aiuta a rafforzare la sensibilità per gli impasti, rendendo il passaggio agli step successivi ben più pratico ed indolore.
Tenete comunque conto che a parità di risultato i tempi si allungano notevolmente, in quanto la forza fisica non potrà mai avere la stessa energia e costanza di una macchina.
Peraltro, affrontare impasti molto idratati può dimostrarsi complicato, e richiedere numerose fasi di stop e di pieghe di rinforzo per asciugare il semi-lavorato e consolidare al contempo la maglia glutinica.
Risulta poi praticamente impossibile gestire un indiretto come la biga, troppo dura per essere sciolta uniformemente dalla forza delle mani.
La planetaria
Ad oggi lo strumento più utilizzato in ambito domestico per l’impasto è sicuramente la planetaria, uno strumento che presenta un il ciclo di lavorazione dell’impasto con doppio movimento: il primo intorno all’asse dello strumento e il secondo che avviene, contemporaneamente, intorno all’asse del contenitore della macchina.
Il termine “planetaria” si riferisce proprio al fatto che il sistema di rotazione ricorda il caratteristico movimento orbitale che i pianeti effettuano nello sistema solare. In contesto casalingo, parlando di “impastatrici” ci si riferisce spesso e volentieri in maniera imprecisa a questa tipologia di macchine.
Per la sua versatilità, la possibilità di variare le velocità e il suo costo contenuto la planetaria risulta parecchio apprezzata in ambito domestico, sia per il pane che per la pasticceria, in quanto è dotata di tre accessori principali:
- Un gancio ad uncino da utilizzare per la preparazione degli impasti. In alcuni modelli è presente un gancio impastatore a spirale, ben più adatto per la lavorazione di impasti idratati, in quanto ingloba più aria, chiude la maglia glutinica in maniera più stretta e soprattutto arriva in fondo alla vasca;
- Una frusta concepita per montare ed emulsionare;
- Una foglia per la preparazione di impasti morbidi.
Il principale svantaggio di una planetaria sta nella quantità di calore ceduto all’impasto durante una lavorazione classica (oltre i 12 °C per un periodo di 15-20 minuti); senza una macchina performante si rischia una rottura prematura del meccanismo, ma soprattutto va considerato che con un contenitore di 7 lt la quantità massima lavorabile è di 2 kg, sopra i quali il surriscaldamento risulterebbe troppo elevato.
Impastatrici professionali, un settore in grande sviluppo
Negli ultimi anni il settore delle impastatrici si è particolarmente sviluppato proponendo agli appassionati di cucina modelli di impastatrici professionali di ultima generazione che oltre ad essere tecnologicamente avanzati, grazie alle loro dimensioni riescono a trovare una collocazione nella gran parte delle cucine.
Esistono tre tipi di impastatrici professionali, ognuna nata per un diverso scopo e denominata in base al tipo di utensile presente per la lavorazione:
- Impastatrice a forcella;
- Impastatrice a braccia tuffanti;
- Impastatrice a spirale.
L’impastatrice a forcella
L’impastatrice a forcella è la macchina più lenta ma che sulla carta cede meno gradi finali all’impasto (circa 3 °C per un tempo medio di 30 minuti); nasce per le idratazioni minori (tra il 48 e il 65%) e per impasti asciutti e duri, come la biga.
Non è consibliabile per impasti più idratati, in quanto richiederebbe maggiori tempi, conferendo minor ossigenazione e di conseguenza minor volume finale ed una scarsa produttività.
L’impastatrice a braccia tuffanti
L’impastatrice a braccia tuffanti è la prima macchina apparsa agli inizi del 1900, conosciuta con il nome artoflex, e presenta due braccia il cui movimento simula quello delle braccia umane. Fu progettata per lavorare impasti molto idratati (60 – 85% di acqua) che richiedono una buona ossigenazione finale per sviluppare perfettamente la maglia glutinica.
È ampiamente utilizzata anche in pasticceria per la produzione dei grandi lievitati.
Il riscaldamento termico ceduto si attesta intorno ai 6°C, con tempi medi di impastamento di 20 minuti. Alcune macchine presentano poi la possibilità di regolare l’altezza delle braccia per facilitarne lo stacco dell’impasto dalla vasca e delle braccia stesse.
Purtroppo gli svantaggi principali consistono nell’ingombro elevato, ma soprattutto nell’alto costo di investimento.
L’impastatrice a spirale
L’impastatrice a spirale è una macchina nata dall’esigenza di diminuire i tempi di impasto, e risulta essere parecchio versatile. L’utensile principale è uno strumento chiamato spirale o verme, che genera una pressione dall’alto verso il basso chiudendo il glutine in maniera stretta, mentre il piantone centrale taglia l’impasto durante la lavorazione e lo espone meglio alla spirale stessa.
Tradizionalmente era la macchina che cedeva più gradi all’impasto finito (9°C per tempi medi di 10-12 minuti) e presentava un minor sviluppo; oggi tuttavia, le ingenti migliorie tecnologiche hanno consentito una diminuzione sia del riscaldamento che dell’ossigenazione dell’impasto, consentendo un maggior volume finale a fronte di tempi di impasto ridotti (grazie alla velocità di rotazione, che in molti casi supera i 300 rpm).
Alcune macchine sono dotate della possibilità di inversione di marcia per formare le bighe e per un miglior raccoglimento della farina.
L’investimento risulta relativamente economico soprattutto per le impastatrici piccole da banco, rendendola la naturale evoluzione delle più comuni planetarie.
Ah, sia ben chiaro, nell’eterna lotta tra uomo e macchina, c’è una sola cosa che conta sul tema impasto: la bontà del risultato finale.
Il resto sono solo chiacchiere e distintivo.
[ Crediti: Cristian Zaghini ]