Con un lungo pezzo adorante, il New York Times ha appena iniziato gli americani alle gioie del come fare il pesto al mortaio. Capirai, gli americani, che di norma cucinano in pochissimo tempo e hanno la metà della nostra dimestichezza con gli attrezzi da cucina non elettrici.
Ma l’articolo, mettendo a confronto l’antica manualità ligure agli infernali ausili della cucina moderna, ha riaperto vecchie ferite. Perché scegliere tra i due metodi –al mortaio o con il frullatore– rafforza amicizie o divide per generazioni, crea caste e sub-caste, rimanda a visioni della vita incompatibili tra loro.
[Pesto alla genovese: 5 errori da non fare]
Mai gli adepti della confraternita dell’oro verde capiranno gli altri. Per loro il mortaio è l’unico credo per fare il pesto alla genovese. E non parliamo del resto:
— Olio extravergine di oliva DOP di provenienza ligure: non per fare gli snob, ma ogni olio ha la sua caratteristica, a metterci robe di provenienza foresta –toscana o pugliese per esempio– capita di prevaricare il resto degli ingredienti. L’olio ligure, pur fruttato, ha una nota più equilibrata, che armonizza le spinte contrapposte della ricetta. Amen;
— Basilico genovese DOP, anche qui apriamo il capitolo local. Per il pesto serve il basilico giusto, coltivato sulle riviere di levante e ponente fino ai 400 metri d’altezza. Foglie piccole e giovani, non stropicciate, rovinate e soprattutto non lavate, ma pulite con un panno;
— Aglio di Vessalico, un presidio Slow Food che viene coltivato nel territorio dell’Alta Valle Arroscia, in provincia di Imperia. Difficile da trovare, va da sé, sarebbe già una gran cosa non usare aglio cinese, ecco:
— Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi;
— Fiore sardo DOP 10 mesi;
— Sale grosso, preferibilmente di Trapani, ottenuto a freddo;
— Pinoli. Si può srazzare, finalmente, vanno bene anche pinoli nazionali.
Ciò detto, ai tradizionalisti di ritorno, per esempio i Millenial che non hanno mai consumato quantità epocali di olio di gomito ruotando il pestello nel mortaio per una ventina di minuti (agli avambracci esperti ne bastano dieci), ma tuttavia sono tentati, va chiarito come usarlo questo benedetto mortaio. Bisogna fare il pesto al mortaio nella giusta sequenza: prima aglio e sale fino a ottenere una poltiglia cremosa, poi i pinoli, quindi il basilico (poco per volta), i formaggi e per ultimo l’olio, goccia a goccia. C’è anche chi pesta fino ai formaggi, poi emulsiona l’olio semplicemente mescolando.
A proposito: sapete sì che, a dispetto del nome, il pestello non va pestato in su e in giù ma ruotato, vero? Mica per niente la sua estremità e il fondo del mortaio sono arrotondati.
Visto che ci siamo, affrontiamo anche la questione estetica. Ai mortai fighetti, candidi e lisci in ceramica, senza asperità né personalità, sono da preferire quelli ruvidi in pietra o marmo un po’ grezzo, che esercitano un ulteriore effetto meccanico sugli ingredienti.
La ghisa invece è poco adatta: se macinando spezie secche non accade nulla, con gli ingredienti umidi del pesto fa subito ruggine.
[Il migliore pesto genovese in barattolo]
Su quelli in legno, souvenir dell’ultima visita a casa della nonna, meglio non pronunciarsi. Mentre un bel mortaio di ulivo, magari con pestello in pietra (più pesante), da riservare solo a questa preparazione, ha con la ricetta una specie di affinità elettiva.
Ma se lo faccio con il frullatore sono un farabutto?
Lo fa il 99% di noi, tranne i genovesi e una sparuta minoranza di italiani ai quali va la nostra riconoscenza eterna. Nel bicchiere del frullatore si mettono tutti gli ingredienti insieme, oppure tutti tranne l’olio, da versare a filo quando gli altri sono stati sminuzzati e amalgamati. Il bicchiere raffreddato in freezer, così il basilico non scurisce, è l’ingrediente segreto.
Tempo occorrente: circa 1 minuto.
Pratico, eh! Al punto che, con buona pace dei genovesi, dei confratelli, e pure del New York Times, le smanie da integralisti del condimento genovese vi stanno già passando. Tanto, quale sarà mai la differenza se condite le trofie, le trenette o i testaroli, come in Lunigiana, con il pesto lavorato al mortaio o al frullatore?
Beh, quella che vedete in alto, nella foto copertina di questo post.
P.S. Comunque sia, mortaio o frullatore, non mancate mai di diluire il vostro pesto con l’acqua della pasta, prelevata appena prima di scolare, quando è più ricca di amido.
[Crediti | New York Times]