Ridotte ai minimi termini il pane e la pizza sono una questione di acqua e farina. E sulla farina negli ultimi anni ne abbiamo sentite di ogni genere, ingrediente feticcio per eccellenza declinata in un milione di varianti, hypsterizzata nel sempiterno storytelling del “come una volta” e resa virtuosismo infinito da panificatori che fanno lievitare pressoché qualunque cosa. Sull’acqua però, mi pare, che ancora l’attenzione mediatica non si sia ancorata, fatta eccezione per l’adagio napoletano secondo il quale la pizza nel capoluogo partenopeo sarebbe migliore (come il caffè del resto) proprio grazie all’acqua (dell’acquedotto, non del mare).
Adagio magistralmente e definitivamente smontato dall’amico e collega Dario De Marco nel suo “Alla ricerca della pizza perfetta“(sixtysixthandsecond, 2021). Pizza, non pane quindi, ma comunque possiamo, senza tema di smentite, definire la pizza, se non sorella, almeno cugina di secondo grado del pane.
Eppure nell’ultima edizione di Sigep è tornato alla ribalta un argomento, non ignoto agli addetti ai lavori, quello dei lievitati preparati con l’acqua di mare, in cui l’acqua, per una volta, supera la farina nella scala dei valori. A prima vista non vi nego che anche a me è sembrata una trovata, così, per usare un eufemismo, oppure una “supercazzola” come diremmo qui a Dissapore che ci facciamo meno problemi. Eppure.
Ma quale acqua di mare?
Innanzi tutto l’acqua di mare non è l’acqua di mare, cioè è acqua che viene dal mare ma non è che qualcuno va in riva al mare con due secchi e se li porta in laboratorio. L’acqua di mare è un prodotto industriale che prevede un trattamento a freddo dell’acqua marina che viene fatta prima sedimentare e poi viene filtrata per eliminare le micro-plastiche e altri elementi grossolani e poi purificata con un trattamento a raggi UV.
La questione dell’acqua di mare in bottiglia ha avuto origine in Spagna con il gruppo Lactoduero che ha dato vita al marchio Agua de Mar, acqua di mare estratta nel mar Cantabrico, trattata, imbottigliata e venduta in tutta la Spagna. Ora esistono diversi stabilimenti in Spagna, in Francia, ma anche in Germania in Canada e in Messico.
In Italia ne esistono tre: il più celebre e il primo è stato lo Steralmar di Barletta, ma poi ci sono anche il Marentia in Sardegna e l’Acquamaris di Catania, anche se per il momento tutte le iniziative di lievitati all’acqua di mare di cui siamo a conoscenza usano il prodotto di Steralmar.
I prezzi dell’acqua di mare variano molto; alcune aziende la propongono al prezzo popolare di due euro al litro (su Amazon Marentia vende un box da tre litri a 6 euro circa) ma ci sono aziende che propongono acque trattate in maniera più accurata, con l’utilizzo di tecniche più elaborate, che arrivano a superare i 6 euro al litro.
Quello dell’acqua di mare è un mondo in evoluzione che sta dando vita ad una montagna di prodotti: tonno in scatola, gin e birra sono solo alcuni degli esempi, e nel vortice ci sono finiti anche i lievitati, per ora la pizza e il pane. Rodolfo Molettieri, il fornaio dell’Antica Forneria Molettieri di Napoli, che ho sentito dopo la sua apparizione al Sigep, mi ha detto che l’uso dell’acqua di mare in cucina è ormai una realtà anche in molte cucine casalinghe, cosa che forse è vera al Sud, dove questi stabilimenti sorgono, ma è decisamente meno vera al Nord, da dove scrivo, in in cui l’acqua di mare è ancora molto lontana dall’arrivare nella mia cucina o in quella dei miei amici.
L’acqua di mare fa bene all’ambiente
Eppure l’acqua di mare sembra avere un suo perché di sostenibilità: nel 2015 uno studio americano segnalava che 21 delle 37 grandi falde acquifere del mondo erano sotto stress per il troppo prelievo d’acqua. Usare acqua dolce per preparazioni che non lo richiedono, o in cui poi aggiungiamo del sale, è uno spreco particolarmente rilevante visto come siamo messi. Viene sempre dal CNR un altro dato abbastanza stupefacente: tra i prodotti da forno il pane è quello che viene più sprecato, quasi il 35% dei prodotti di panetteria preparati ogni giorno vengono buttati, ed è come se buttassimo 3,5 milioni di metri cubi di acqua. Dunque l’uso dell’acqua di mare microfiltrata potrebbe venire incontro all’esigenza di consumare meno acqua dolce.
Molettieri – mi perdonerà – appartiene pienamente a quella categoria che fuori da Napoli potrebbe essere definita “il Napoletano filosofo”, ovvero quegli uomini, il cui capofila riconosco in Luciano De Crescenzo, che hanno un amore per il sapere che scaturisce dalla passione, che non si prendono troppo sul serio e che non vogliono avere l’ultima parola su tutto. Di questa sua indole è storia emblematica come è nato il suo sodalizio con il CNR, e in particolare con il team di ricerca guidato dal professor Sorrentino che lo ha conosciuto durante un evento tenutosi al caffè Gabrinus in cui Molettieri illustrava i benefici del grano Tritordeum per il microbioma, attraverso lo stimolo ai recettori dei polifenoli. Da quel giorno Sorrentino passò tutte le mattine, durante la corsa che fa all’alba per schiarirsi le idee, davanti al forno di Molettieri. Dalla corsa si passò ad un caffè studio domenicale, e infine al grado di consulente ufficiale del CNR.
Con il CNR Molettieri sta studiando diversi aspetti, in primis quelli tecnici da lievitista, e in seguito, parte più interessante della ricerca, quelli legati alla sostenibilità, attraverso l’interazione chimica tra acqua di mare e farine di grani antichi coltivate nel territorio campano senza l’uso di pesticidi, in particolare Molettieri fa uso del grano Autonomia B, che sembra, tra i grani antichi locali, essere quello più performante. L’uso di cereali locali coltivati senza l’uso della chimica e l’impasto con acqua di mare fa di questo pane un presidio di sostenibilità. L’unico suo contraltare è il costo, circa del 20% più alto rispetto al pane preparato in modo tradizionale, costo che potrebbe essere abbattutto solo se questo pane fosse consumato su larga scala.
Il problema della “larga scala” mi sembra quello principale di questo tipo di lievitati. l’accoglienza rispetto all’acqua di mare è ancora abbastanza fredda, e la maggior parte delle volte il pubblico non è pronto, pensa che l’acqua sia stata usata così stante e non è certo disposto a pagare un sovrapprezzo per un lavoro di cui non riconosce la qualità. Altro aspetto da non trascurare è il gusto: il pane, così come la pizza all’acqua di mare hanno un sapore diverso, dovuto al fatto che la salinità non è data dal solo cloruro di sodio. Molettieri definisce questo sapore “diversamente salato” e forse anche a questo ci si deve fare l’abitudine. Insomma, sarebbe forse bene per tutti che questi impasti diventassero di moda.
L’acqua di mare fa bene all’impasto
L’impasto con l’acqua di mare e grani antichi ha una serie di caratteristiche tecniche che rendono forse più facile la vita del panettiere: la minor presenza di sodio accelera la lievitazione, dunque si può inserire meno lievito; in generale la lievitazione è più esuberante, quindi il pane viene più voluminoso [sì, anche più alveolato], e infine il pane dura di più.
Quello della più lunga durata del pane all’acqua di mare è un mistero che il team di ricerca del professor Sorrentino sta dipanando. Un primo motivo della maggiore durata è il basso contenuto di HMF, L’idrossi-metil-furfurale considerato un indice di freschezza dei cibi, in quanto basse concentrazioni indicano che le fermentazioni batteriche sono più basse e quindi che non si creano muffe. Ma il CNR ha anche usato un penetrometro [uno strumento che si usa in geotecnica per sondare la struttura dei terreni] e ha scoperto che rispetto ad un pane equivalente preparato con acqua e sale, quello con l’acqua di mare conserva al suo interno più aria ed è più soffice, dunque quando passano i giorni si mantiene più morbido. È possibile, conclude Sorrentino, che i due fenomeni siano collegati.
L’acqua di mare fa bene alla salute
Ma se la ricerca di Molettieri è molto contemporanea, qualcosa degno dei #fridayforfutures, qualche anno fa già si era parlato di impasti all’acqua di mare, e ci sono state altre ricerche scientifiche, che avevano riguardato il beneficio dell’acqua di mare sulla salute. Non a caso, tra i siti in cui si trova l’acqua di mare acquistabile dai privati online, ci sono quelli più noti che si occupano di biologico e medicine alternative.
Parlo del particolare studio fatto dall’università Federico II di Napoli sulla pizza con acqua di mare di Guglielmo Vuolo, pizzaiolo partenopeo di quarta generazione, oggi di stanza a Verona, nella pizzeria omonima, che dal 2015 lavora sugli impasti con acqua di mare, col fine di limitare l’uso del sale. Quelli erano i primi anni in cui anche l’alta cucina cominciava ad interrogarsi su come aumentare la salubrità dei propri piatti, e quella spinta fu celebrata da un convegno veneziano, Gusto in scena, che nel 2018 portò in cattedra “la cucina del senza” e Guglielmo Vuolo, alfiere del “senza sale nella pizza”. Vuolo è un pizzaiolo di sostanza, oggi stimatissimo e premiatissimo, docente e consulente, eppure uno di quelli che dà il primato all’occhio e alla mano, prima che allo studio degli elementi e delle loro reazioni chimiche, che gestisce gli impasti senza frigo e che non si scompone ad usare la farina 00.
La ricerca dell’università napoletana è stata portata avanti dai professori Stazzullo e Iaccarino, assieme a Vuolo, e fu uno studio su un campione di persone che ha assaggiato due pizze diverse: una preparata con sola acqua di mare e una preparata con acqua dolce e l’aggiunta di 5 gr di sale e che sono state monitorate in modo che bevessero, prima durante e dopo l’esperimento, la stessa quantità e qualità di liquidi. Alla fine, chi aveva mangiato la pizza con acqua di mare aveva fatto molta più pipì ed espulso molto più sodio, mentre chi aveva mangiato la pizza con l’aggiunta di sale aveva espulso solo un terzo dell’acqua bevuta durante l’esperimento.
Ritenzione idrica a parte, la pizza con acqua di mare riduce la componente di cloruro di sodio del 50% rispetto ad una pizza normale, e nessun altro sistema per preparare una pizza a basso contenuto salino ha finora dato un risultato simile. Inoltre l’acqua di mare è naturalmente ricca di oligoelementi, ce ne sono 92 di quelli della tavola periodica, che in tutto ne contiene 118.
Ma forse, come dicevo sopra, il Nord non è ancora pronto per questa innovazione, lo stesso Vuolo, che aveva dedicato due giorni alla settimana al servire pizze con acqua di mare, sta ripensando questa organizzazione, spinto forse dalla freddezza con cui il suo pubblico la accoglie: il più delle volte – mi par di capire – nel cliente di pizzeria prevale la perplessità che la pizza sia fatta appunto con acqua di mare prelevata tale e quale dal mare.