Sei appassionato, anzi ossessionato dal cibo. Passi metà della tua giornata a guardare programmi di cucina e l’altra metà a sperimentare intrugli che neanche Mago Merlino. I momenti passati lontano dai fornelli sono vuoti e privi di senso e pure un po’ tristi e col tempo comprendi che esiste una sola soluzione: devi diventare cuoco. Perché il cuoco fa un lavoro bellissimo, perché il cuoco esprime la sua creatività, perché il cuoco rimorchia pure un bel po’. Bene. Ma è poi così facile diventare cuochi? Lo abbiamo chiesto a Cristina Bowerman, chef stellata di Glass Hostaria a Roma e Direttrice del comitato scientifico della scuola di cucina Italian Genius Academy, nostro sponsor.
LF. Parliamo di cosa si ha bisogno per diventare cuochi. Un buon palato?
CB. Il palato si può educare. Certo, avere buon gusto e saper riconoscere i diversi sapori all’inizio può aiutare. Esistono dei veri e propri esercizi da fare, come l’assaggio al buio degli ingredienti: si parte da quelli più semplici fino ad arrivare a riconoscere le diverse spezie utilizzate in una preparazione. Un passo per volta si può migliorare. Comunque, il miglior esercizio è prestare molta attenzione a quello che si mangia.
LF. Bene, una volta verificato che non si scambia il sale con lo zucchero, ci sono altre attitudini che è meglio avere?
CB. In questo mestiere tutto si può imparare. Si impara ad essere ordinati e puliti. Si impara ad organizzare il proprio lavoro in modo efficace e si apprendono tutte le tecniche di cucina. Persino l’umiltà si può imparare. Certo, quello che nessuno può insegnarti è la tenacia e la determinazione a non mollare mai. Sono queste le doti più importanti per chi vuole diventare cuoco. Se sei uno che cambia idea ogni due mesi, forse questo mestiere non fa per te.
LF. E la creatività? Pure quella è una cosa che si apprende?
CB Certamente. Il processo creativo si nutre di tanta tecnica e di tantissimo studio. Studiare è l’unico modo per conoscere nuove tecniche, per stimolare nuove sperimentazioni, per elaborare abbinamenti innovativi. Un piatto è fatto di diversi elementi ognuno dei quali necessita di molta cura, dal food design fino al gioco delle consistenze, passando per odore e sapore. Un piatto riuscito in ognuno di questi aspetti nasce dopo tanto lavoro, tanti tentativi e moltissimo approfondimento. Ognuno poi trova e personalizza il proprio modo di lavorare, di creare.
LF. Lo studio prima di tutto, ho capito. Ma in particolare, cosa bisogna sapere prima di affrontare un tirocinio in una cucina professionale?
CB. Intanto le norme H.A.C.C.P (Hazard Analysis and Critical Control Points), ossia le regole dell’igiene e della conservazione degli alimenti. Poi le basi della nutrizione e magari i tagli principali, tipo brunoise, julienne, chifonade, tourné e via così. Anche distinguere i diversi strumenti di cucina e conoscerne la funzione ha la sua importanza, così come aver giocato coi fornelli, avere famigliartà con le tradizioni culinarie, sapere usare le tecniche di base.
LF. Ammettiamo di aver iniziato il tirocinio vero e proprio. Come funziona?
CB. Per i ragazzi della Italian Genius Academy c’è un programma che dura 200 ore durante le quali si deve arrivare a coprire un po’ tutte le partite di cucina. Stessa cosa succede negli stage, a partire da diversi livelli di preparazione. Si inizia dalle postzioni che ti sottopongono a meno pressione e dove gli errori si possono correggere, come per esempio la panificazione. Lo step successivo sono i dolci e poi il garde manger (antipasti caldi e freddi), dove si affrontano le tecniche di cottura e si apprendo le regole base dell’impiattare. Quando si è in grado, si passa alle partite principali, i primi e i secondi.
LF. Cosa succede dopo?
CB. Dopo inizia la gavetta e come in tutti i mestieri devi fare il maggior numero di esperienze possibili. È qui che la propria determinazione conta più di ogni altra cosa. Grazie al tirocinio si ha il vantaggio di aver già lavorato in partita nella cucina di un ristorante di alto livello, di aver affrontanto le prime difficoltà, la pressione, alcuni fallimenti e alcune vittorie. Dopo c’è il mondo del lavoro professionale, e lì comincia la giostra.
LF. Cosa diresti ad un ragazzo che vuole diventare cuoco?
CB. Gli direi di abbandonare l’idea romantica del cuoco poeta, e visto che ci sta, di abbandonare anche l’idea del cuoco rockstar e mattatore di programmi televisivi. Gli direi di prepararsi ad un periodo di studio intenso e di apprendistato durissimo. Fare il cuoco è davvero un mestiere molto bello ma necessita di grande fatica per raggiungere obbiettivi stimabili, come in tutte le cose della vita.
E voi lettori? Cosa direste al vostro amico o amica, figlio o figlia, che ha il sogno di diventare chef?
[Crediti | Immagine: Porzioni Cremona]