Se dovessi pensare a un aggettivo per descrivere il nuovo libro sulla panificazione, Il lato oscuro della crusca, e il suo autore, Gianluca Fonsato, penserei alla parola “genuino”. In fondo lo dice l’autore stesso: ha scoperto cosa sia davvero il pane andando a tenere una conferenza in una casa di riposo. “Non si può parlar di pane se non si sa cos’è la fame” è il postulato, espresso nell’introduzione, di una discussione filosofica e pratica nel mondo della panificazione.
L’oscurantismo della crusca
Ma genuino non sta per semplicistico, tantomeno per sempliciotto, anzi le basi teoriche e bibliografiche sono solidissime: il libro è organizzato in tre parti, e la prima di queste, lunga quasi metà del totale, è una digressione storico-filosofica che si apre con la teoria di Rudolf Steiner e prosegue con un dettagliato resoconto dell’affinamento della tecnica molitoria nell’800 che portò alla macinazione a cilindri.
E tra filosofia e storia c’è anche qualche passaggio euristico, come quello in cui si analizza come la dieta mediterranea non consista soltanto nell’assunzione di questo o quell’alimento, ma come sia piuttosto uno stile di vita che prevede innanzi tutto la condivisione del cibo; in quest’ottica il cotechino con le lenticchie sulla tavola imbandita di Natale è dieta mediterranea molto di più che la pasta e ceci consumata in solitudine davanti alla tv.
Sempre in questa prima, densissima parte, si dedica un intero capitolo alla farina: dalla pulitura del grano alla costruzione di una farina. In queste parti tecniche l’autore tira fuori tutta la sua competenza, il che dà vita ad un approccio serio e molto diverso dal mainstream. Eppure Fonsato non è affatto un rigorista: non preferisce il biologico, ha le sue riserve sulla macinazione a pietra, non ha nulla in contrario a comprare il grano canadese, quello su cui usano il glifosato, per intenderci.
Tra tutte le opinioni dell’autore, quella che spacca di più è di sicuro questa: dovremmo mangiare il pane perché è buono e perché è una fonte di amidi. Sembra banale, ma è una guerra aperta condotta contro la tirannia del consumo di fibre, e contro quella tecnologia alimentare che vuole le farine sempre più proteiche e i pani sempre più gonfi e croccanti. Il lato oscuro della crusca è dunque l’oscurantismo della crusca.
É qui che si inserisce la sua apologia del pane a pasta dura, cioè quello tipico del Nord Italia: dalla mantovana alla coppia ferrarese. La sua lezione è in sostanza quella per cui quel pane è “naturale” per delle zone che producono un grano povero di glutine, così come al Sud è naturale un pane di semola di grano duro. Il pane che piace oggi è un pane estero, che necessita di farine ad altissimo valore proteico.
Che si sia d’accordo o meno, è indubbio che si tratta di un ragionamento coerente, anche da un punto di vista economico: la pagnotta bruna e molto alveolata che spopola su Instagram spesso ha un costo al chilo che farebbe inorridire la nonna di cui sopra. Anche il valore inclusivo del pane fa parte di quei valori tradizionali a cui Fonsato è legato, e per cui si fa fatica a dargli torto.
Le tecnica e l’uomo
Nella seconda parte del libro si parla degli elementi, non quelli della tavola periodica, ma quelli che si aggiungono alla farina per fare il pane e gli altri lievitati: grassi, sale, zuccheri e acqua. Lì si vede il tecnico di mulino al lavoro: ci sono molte tabelle, formule per calcolare l’idratazione, la ricetta per creare il lievito madre liquido… Eppure questa dedizione al tradizionale e al nazionale è sempre all’erta, come quando l’autore sancisce di usare lo zucchero nazionale, di barbabietola e bianco, e non quello di canna. In questo Fonsato può ben dire la sua, abitando in quel Polesine che solo fino a cinquant’anni fa era lo zuccherificio d’Italia e che invece oggi è un insieme di fabbriche abbandonate. Ma tutto il libro è così: si passa dalla misurazione del W alla critica sociale senza soluzione di continuità, ed è proprio questa la cifra del lato oscuro della crusca, un libro che parla di uomini prima che di pane.
Nella terza parte, chiamata “le formule”, ci sono invece le ricette. Un po’ relegate nel fondo, sicuramente lontano dall’essere il focus di questo libro, ne sono invece la messa in pratica. Il pagnottone con il lievito madre c’è, ma quasi non si nota sommerso com’è da mantovane, grissini, piadine e pizze: un nazionalismo gastronomico che risulta simpatico, mai urlato, consapevole di non fare parte del mainstream ma sobrio.
A sottolineare l’allure carbonara del tutto, ogni ricetta è affiancata dalla sua variante “oscura” che usa ingredienti ancor meno moderni, tra tutti lo strutto. Punto d’onore di queste ricette sono le dosi, studiate per il consumo casalingo, e la spiega “narrativa”, come si dice adesso.
La forma e la sostanza
L’autopubblicazione ha permesso all’autore di curare maniacalmente anche l’aspetto formale del libro, che è impaginato con il susseguirsi di una serie di illustrazioni originali, pensate da Fonsato e realizzate dalle Grafiche Turato. Sono illustrazioni piene di rimandi dotti all’alchimia, alla scienza e alla filosofia, ma sono anche un modo per far sì che tutto quello che qui è esposto, ricette comprese, resti nella forma dell’idea e del suggerimento, come a dire “io ci metto la scintilla, fatene ciò che volete”. Le foto del cibo fatte in sudio di posa, pompose e tiranniche, non fanno per lui.
L’autore ha avuto da dire anche sulla scelta della carta, una Favini Crush, costruita a partire dagli scarti dei cereali.
In definitiva Il lato oscuro della crusca è uno di quei libri in cui è abbastanza probabile incazzarsi con l’autore, ma difficilmente lo si può cogliere in fallo. Il suo nazionalismo non è mai un’ideologia, così come il suo tradizionalismo è talmente sincero e così chiaramente vissuto che non può essere contraffatto. La dedizione al progetto e al mestiere invece, quelle sono di esempio.
Il libro è in vendita a 39 euro su calmadimare.it