L’edizione 2023 di Gente di Lago e di Fiume si è conclusa lasciando molti, sani e doverosi interrogativi sul pesce lacustre e sul futuro della ristorazione, quanto a sostenibilità. Protagonista di queste giornate sull’Isola dei Pescatori, Lago Maggiore, è stato un dessert di carpa creato per suggerire una narrazione sia simbolica sia realista. Si chiama Carpe Diem ed è parto di Cristiano Catapano – pastry chef nella brigata di chef Marco Sacco, Patron del bi-stellato Piccolo Lago a Verbania (celeberrima la sua carbonara au Koque) nonché presidente e fondatore dell’evento. Come possono, un dessert d’alta cucina e uno street food a tema, salvare il pesce di lago?
Ovvero carpa ma anche storione, gardon, siluro e decine di altre specie sottovalutate rispetto al più blasonato persico. Il motto di questa sesta edizione è stato “coltivare l’acqua dolce“, laddove il verbo non è scelto a caso: implica un procedimento lento e difficile, un impegno attivo e concreto. Ed è proprio l’intento di Gente di Lago e di Fiume procedere in questo modo: si parla ancora poco di pesce lacuale, di leggi per salvaguardarlo, di stagionalità, di come valorizzarlo, di chi lo pesca nel modo giusto (pagando permessi, dazi feudali vecchi come il mondo, investendo in reti adatte per peso e spessore dei fori). Per chef Marco Sacco (che, sull’Isola dei Pescatori, possiede Il Verbano hotel e ristorante) e altri colleghi è invece una missione ben delineata, ecco quindi perché sono volontari in questo evento che – anno dopo anno – chiama a raccolta esponenti, appassionati e sostenitori da tutta Europa.
Qualche esempio: chef Paolo Casagrande con tre stelle Michelin al Lasarte di Barcellona, Chicco Cerea di Da Vittorio a Brusaporto, il critico gastronomico Luigi Cremona, Renato Bosco, chef Andrea Lo Cicero, chef Giancarlo Morelli, Marcello Arcangeli di Lavazza, chef Paolo Griffa, e davvero tanti altri tra cuochi, associazioni, aziende, sponsor, esperti ittiologi (come i vicepresidenti dell’evento Pier Paolo Gibertoni e Angelo Ruffoni), esperti di ristorazione come Giacomo Pini. Il quadro è chiaro, passiamo al dolce con la carpa oggetto della nostra attenzione.
Il dessert Carp(a) Diem a Gente di Lago 2023
Una delle prospettive cui ambisce chi è nell’alta cucina è abbattere completamente i limiti che, spesso, mortificano e vincolano gli alimenti. Eppure esistono aromi che insieme fanno faville, per quanto strani. La carne del pesce di lago ha una consistenza peculiare e anche una dolcezza naturale davvero molto versatile: è questa caratteristica il perno per il bilanciamento con miele, zafferano, latte, rosmarino, dattero, vino rosso. La carpa, poi, è un animale prezioso per moltissime culture. Generalmente è simbolo di coraggio e fedeltà, perseveranza: tutte caratteristiche che rappresentano ogni singolo pescatore nel momento in cui colgono l’attimo (significato di “carpe diem”), ovvero quando il pesce abbocca all’amo.
Siamo quindi davanti a un omaggio (o un’allegoria) che la brigata di chef Marco Sacco ha voluto fare alla Natura, umana e animale (e che potrete trovare nel menu de Il Piccolo Lago). Omaggio che inizia con il croccante di latte fresco, alimento che mantiene in vita dopo la nascita; lo zafferano cremoso invoca il benessere interiore. Importante anche la ganache al miele, alimento legato all’operosità instancabile delle api che trasportano il messaggio dentro e fuori di noi (ecco perché è inserita a forma di alveare).
Altri aromi partecipano all’insieme emotivo, come il gin usato per la quenelle di gelato al rosmarino (pianta legata alla felicità) o la barbabietola usata per la decorazione insieme ai fiori viola. I datteri sono anch’essi simbolo di coraggio e concentrati in una caramella cubica, e il vino rosso per la meringa sbriciolata è delicato e rappresenta il “brindisi” di celebrazione. In tutto ciò la carpa, usata in tre consistenze e declinata in tre aromaticità: fondo per il cremoso posto alla base, pelle essiccata e fritta posizionata come elemento centrale, squame candite. Niente, della carpa, è sprecato.
Che sapore ha la carpa in un dessert
Il dessert è sviluppato in lunghezza sul piatto, ed è arduo assaporare tutti gli aromi in un boccone unico: lo chef suggerisce, senza tuttavia vincoli, di iniziare dalla ganache al miele per arrivare fino alla conclusione di gelato al rosmarino e gin. Tra partenza e conclusione c’è la carpa concentrata, al centro, nelle tre forme descritte: difficile quindi andarci piano e testarne piccole quantità, arriva tutta, e intensamente. Il “sapore di carpa” non è riconoscibile in quanto carpa: sappiamo che è lei, e i più attenti potrebbero riconoscerne la pelle. Che ci sia un aroma di pesce è inequivocabile, ma accostato alla dolcezza zuccherina può essere piacevole.
A rendermi perplessa, tuttavia, non sono né la presenza di pesce né tantomeno i singoli elementi tecnicamente superbi. Il miele è molto dolce, il rosmarino è molto balsamico, lo zafferano si armonizza lentamente al palato e al resto: in tutte queste esperienze, la gestione della carpa è complicata e rischia di non trovare un compagno preciso cui legarsi. Rimane un po’ a sé come scrivevo prima, oppure si lega all’uno o all’altro ingrediente, e dunque a mio parere le manca sempre qualcosa. Detto questo, ritengo che sia tassativamente necessario andare oltre al mero gusto personale per concentrarsi su messaggio e arditezza della pietanza.
La morale del dolce
Come scrivevo: della carpa nulla è sprecato. Ed è lo spreco (letterale e metaforico) il flagello che (anche) l’alta cucina dovrebbe evitare e insegnare ad evitare. Evitare lo spreco inizia con la pesca consapevole nonché con il rispetto per la vita strappata alle acque, in un equilibrio etico doveroso.
Del pesce non si butta via niente: facile ammetterlo, se nei piani ci sono un risotto o un fumetto da tenere di scorta. Riciclarlo in un dessert, e in modo tale che possa parlare di una causa così attuale, è tutt’altro discorso. E mi viene in mente Hemingway ne Il vecchio e il mare: “ora non è tempo per pensare a ciò che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che c’è“.